Capitolo 19
Massimo Pirozzi non riusciva a riprendersi dallo sgomento che le dichiarazioni della sua paziente gli avevano provocato. Steso sul letto della sua camera, ripensava stordito alle ultime confidenze che Elsa Ferrari, drogata dal Cerizen, gli aveva fatto. Nello stato cosciente non avrebbe mai ripetuto o ricordato quanto aveva detto, ma nel suo subconscio queste ipotetiche fantasie avevano una struttura ed una costruzione a dir poco perfetta. Aveva parlato della sua vita e di luoghi molto diversi dalla realtà oggettiva, lo aveva informato su situazioni, persone e scoperte irrealizzabili concretamente ma teoricamente possibili. Per Elsa Ferrari ci sarebbe dovuta essere una sola luna, al contrario di due come avevano per secoli cantato i poeti e gli scrittori di romanze su Terram. Una delle cose più assurde comunque, restava la convinzione da parte della sua paziente, che in quel mondo fantastico, l'uomo avesse calpestato il suolo lunare. Il dottore provò ad immaginare una notte stellata con un'unica luna in cielo e si sentì solo. Perché la bellezza della volta celeste era stata mutilata dall'immaginazione psicotica di Elsa? Perché quella donna si era accanita contro la perfezione del creato, ma soprattutto perché aveva descritto l'uomo come il centro della Natura? Nel suo immaginario l'essere umano viveva in un mondo tecnologico poco rispettoso della forza e della potenza della Dea Madre. Il computer pareva essere alla portata di tutti e mezzi di comunicazione avveniristici ed inutili, riempivano le stanze delle case. Che senso aveva guardare delle immagini dentro un apparecchio chiamato TV, quando la bellezza del creato era fuori? La sua gente non avrebbe avuto il tempo per sollazzarsi con quegli inutili passatempi, partoriti sicuramente da una mente disturbata e stravolta. I suoi simili dovevano ricostruire e far rinascere Terram, distrutta e resa inospitale dallo stravolgimento climatico a cui era seguita la "Grande Carestia e pestilenza". Tali calamità che avevano ucciso 3/4 della popolazione del pianeta, si erano verificate a seguito del passaggio di un corpo celeste, mai totalmente identificato. La popolazione aveva distinto un'enorme palla di fuoco sfrecciare in cielo e fondersi al sole di Terram, che inglobandola, era aumentato esponenzialmente di volume. A seguito di tale sconvolgimento, i ghiacci dei poli si erano sciolti provocando indescrivibili alluvioni, che avevano causato morte e devastazione. La terra abitabile, visto l'aumento del livello del mare, era rimasta quella al centro del pianeta. Un enorme isolotto contornato dal mare e bruciato dal calore del sole. Diversi ed importanti fiumi si erano prosciugati, impedendo l'irrigazione delle culture durante le interminabili estati, per poi gonfiarsi d'acqua straripante durante la stagione dei monsoni. Riflettendo sul presente, ritornò col pensiero alla sua paziente. Avrebbe dovuto scrivere una pergamena al governatore, chiedendone l'immediato ricovero presso la clinica "Vita Emotiva Armonica" , meglio conosciuta con la sigla V.E.A. Indubbiamente la donna soffriva di una rara forma di psicosi o almeno era questo ciò di cui voleva convincersi. Si alzò dal letto e cercò sul comodino la lavagnetta con gli appunti. Aveva scritto che Max Pirozzi, l'amico immaginario di Elsa, aveva avuto una compagna. Era sicuro che la mente malata della donna avesse costruito questo ipotetico personaggio, usando la sua identità. Spesso i pazienti si innamoravano o fantasticavano sul loro terapeuta ma sebbene fosse conscio di questa probabile possibilità, qualcosa continuava a turbarlo spasmodicamente. Forse era il fatto che la compagna del Max Pirozzi , frutto della mente traviata di Elsa, portasse il nome della sua ex moglie? O ancora peggio che la figlioletta di quest'ultimo si chiamasse Zoe, come lui ed Antonella volevano chiamare la loro bimba nata morta? Pirozzi si portò le mani alla fronte, massaggiandola con i polpastrelli, incapace di farsi una ragione su quelle assurde coincidenze. Sapeva di non aver mai parlato con lei della sua vita privata e non riusciva a spiegare razionalmente il motivo di quelle fatalità.
Uscì dalla suo stanza da letto e si recò nello studio. Afferrò una pergamena e si sedette allo scrittoio. Dopo aver intinto una penna nell'inchiostro, cominciò a scrivere una lettera di ricovero per la paziente da sottoporre al governatore. Solo lui, dopo aver opportunamente esaminato la diagnosi e chiesto a sua discrezione alcune delucidazioni mediche, avrebbe stabilito se la malata fosse idonea al ricovero nella struttura di igiene mentale. Stava quasi ultimando il resoconto per il governatore, quando il cameriere bussò alla porta della stanza.
«Professore è arrivata una staffetta da Korkian con un dispaccio per lei», esclamò l'uomo sulla cinquantina.
«Grazie Herbert», rispose il medico. «Hai pagato il corriere?»
«Certamente, signore», rispose il domestico consegnando la missiva.
Pirozzi staccò la ceralacca dal plico e srotolò la pergamena, osservando poi la calligrafia elegante che la vergava. Con un cenno del capo licenziò Herbert che muto e composto uscì dalla stanza. Era una lettera di Egle, sua madre, che viveva nella vicina cittadina di Korkian. La città era una delle più grandi metropoli dell'occidente ed ospitava più di diecimila abitanti. Pensò all'atmosfera vivace e spensierata di quell'agglomerato urbano, tanto diverso dal paesino nel quale ora risiedeva. Korkian era la sua città natale e la città natale di tutta la sua famiglia. Suo padre era stato un eminente biologo, deceduto durante un'epidemia di glin glen che lo aveva condotto ad una morte prematura e veloce. Tale malattia che raramente risparmiava chi la contraeva, si manifestava all'improvviso con febbre altissima e dissenteria. Il pover'uomo ne era stato contagiato in un remoto villaggio del sud, dove si trovava per cercare di isolare alcune rare sementi dalle ultime piante di soia ritrovate su Terram. Dopo la dipartita del genitore, lui e la madre erano tornati a vivere a Korkian, nella casa del nonno paterno. Il patriarca li aveva accolti con affetto e aveva, grazie alla sua agiatezza, permesso loro di vivere una vita abbastanza serena e comoda. Sua madre, tramite l'ospitalità del suocero, aveva potuto continuare i suoi studi di astronomia. Era famosa per aver inventato un apparecchio che aveva chiamato "Tubocchiale" , uno strumento per poter osservare più da vicino, le stelle della volta celeste. Grazie a tale scoperta sua madre, poteva scrutare gli astri più grandi e rendere noto a tutti la loro connotazione.
Lesse la pergamena sorpreso e divertito. Egle lo invitava a casa sua per passare insieme la festa della Dea Madre, una celebrazione antica che riuniva le famiglie intorno al focolare una volta all'anno. Durante questa celebrazione, tutti insieme ringraziavano la Dea per aver protetto la famiglia ed aver concesso loro di riunirsi. Nella sua missiva la genitrice non ammetteva rifiuti e lo esortava a raggiungerla al più presto, dato che non lo rivedeva da quasi due anni. Massimo biasimò se stesso. Aveva trascurato anche la madre dopo l'abbandono di Antonella, ma ora a più di due anni dalla tragedia che li aveva colpiti ed inesorabilmente separati, doveva trovare la forza di ricominciare a vivere. Non sarebbe stato facile ma valeva la pena provarci.
Mise la pergamena in uno dei cassetti della scrivania e controllò se l'inchiostro della lettera per il governatore si fosse asciugato. Notò con sollievo che tutto era a posto, avrebbe potuto far chiamare un messo che entro la notte avrebbe fatto recapitare il messaggio al dirigente. Ma non lo fece.
Elsa Ferrari poteva attendere la fine delle celebrazioni prima di essere rinchiusa in quel luogo di cura ma anche di costrizione. Glielo doveva.
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