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12. Occhi da gatto

Il suo timbro mi parve ancora più virile e profondo di quello che ricordavo.

Cole era appoggiato al muro, con indosso una felpa nera che tirava sui bicipiti scolpiti, questi emanavano una forza dirompente mentre un paio di pantaloni scuri esaltavano la fisicità atletica delle gambe lunghe e sode. I capelli scompigliati e l'atteggiamento irriverente da arrogante ostinato, irradiavano una sensualità magnetica e smaliziata. I suoi occhi che ricordavano il colore di un fondale caraibico scivolarono lungo tutta la mia figura, fissandomi intensamente. Si soffermò ad analizzare ogni impercettibile particolare, esaminò l'insieme caotico di emozioni che mi stava bruciando il viso, poi studiò il mio abbigliamento, dai jeans chiari alla semplice maglietta bianca, e d'un tratto, come colto da un improvviso interesse, imprigionò un dettaglio in particolare del mio corpo su cui indugiò senza alcun pudore: la pelle candida che spuntava fuori dalla manica stracciata della miamaglietta.  Inaspettatamente, arrossii quando percepii il suo sguardo tenebroso addosso, così feci un respiro profondo e con uno sforzo inaudito, mi convinsi a dire qualcosa così da spostare il focus della sua attenzione altrove.

«Mi stai perseguitando per caso?» lo incalzai per distoglierlo dai suoi pensieri.

«No, ma forse è ciò che vorresti...» controbatté furbamente. «Questo è il tuo modo di accogliere le persone? Se è così mi impegnerò affinché io venga a trovarti più spesso» sussurrò volutamente lascivo, mentre un lampo di malizia gli colorò le iridi vitree. Sorrise compiaciuto e si avvicinò a me di qualche passo. Cercai di non mostrarmi sopraffatta dalla sua figura, dal profumo afrodisiaco che emanava e dalle sue labbra che, da quella distanza, mi parvero più carnose della sera precedente. Mi resi conto del significato perverso del suo messaggio velato soltanto dopo averci riflettuto qualche secondo. 

«Non sei divertente...» borbottai e indietreggiai per recuperare la giusta distanza. Gli assestai un'occhiataccia prima di voltarmi di colpo per tentare di nascondere dietro le spalle il mio evidente imbarazzo. Cercai di tranquillizzarmi, socchiusi le palpebre per un momento e inspirai una gran quantità d'aria, come se fossi rimasta a corto fino a quell'istante. Poi, mi toccai le guance e, purtroppo, potei constatare quanto fossero diventate bollenti, così feci un lungo sospiro buttando fuori tutto il disagio che stavo provando a causa delle sue impertinenti provocazioni. 

«Non ho mai detto di esserlo» la voce di Cole, bassa, profonda e baritonale mi costrinse a guardarlo di nuovo. Mi voltai verso di lui con immensa fatica. 

«Che è successo alla tua maglietta?» domandò dubbioso.

«Si è impigliata in un chiodo» risposi sbrigativa. Era chiaro che non volessi soffermarmi troppo sulla vicenda.

«In un... chiodo? Quanto sei sbadata, dovresti fare più attenzione...» mi redarguì con una smorfia che avrei voluto cancellare dalla sua faccia a suon di schiaffi. L'antipatia istintiva e la curiosità sincera che mi suscitava insieme erano qualcosa di incredibile; qualcosa che mai nessuno mi aveva mai scatenato prima di allora. Forse era proprio per tale ragione che la sua presenza mi destabilizzava così tanto.

«La coordinazione non è il mio forte, dovresti saperlo»

«Dovrei saperlo? ...» aggrottò le sopracciglia in un cipiglio confuso e mi osservò scettico, come se non avesse compreso il significato della mia frase.

«Non ti ricordi? Mi sono quasi rotta una caviglia...» spiegai incredula. La ruga d'espressione che poc'anzi gli aveva accarezzato il volto, scomparve lasciando spazio ad uno stupore contenuto.

«Ah, sì. Ora che mi ci hai fatto pensare, sei davvero scoordinata» mi rispose in modo risoluto, afferrò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans per controllare l'ora, oppure qualche messaggio. Non seppi dirlo con precisione. Poi, lo ripose immediatamente.

Mi stava prendendo in giro?

«Ti...ti sei dimenticato?» strabuzzai gli occhi sorpresa e dispiaciuta al tempo stesso. «Sul serio?»

«Non ho una grande memoria e poi non è successo niente di così importante da dover ricordare quella notte...» ribatté deciso e mi rivolse un'occhiata scaltra. Incrociai le braccia all'altezza del petto e lo gonfiai indispettita, inspirando rumorosamente con aria nervosa.

«Hai preso a pugni un tizio che mi aveva trattenuto con la forza. Mi sono quasi rotta un piede e mi hai riaccompagnato a casa con la tua auto. Hai conosciuto mia madre» sottolineai irritata dalla sua indifferenza. «Ah...e come se non ci fosse stato limite al peggio, hai anche dettato come unica condizione per cui te ne saresti andato dal mio vialetto, il fatto che dovessi darti un bacio»

Cole curvò lentamente le labbra verso l'alto e sorrise di gusto.

«Tutte queste cose per me sono la normalità, non hanno alcun significato rilevante tale per cui dovrei contrassegnarle nella mia memoria, Joy» puntualizzò ed io a stento credetti a quello che avevo appena sentito. «Sai quanti deficienti ubriachi ho preso a pugni nella mia vita? E quante ragazze carine ho riaccompagnato a casa? Non le conto neanche più...»

Rimasi in silenzio a guardarlo per una manciata di secondi che apparvero eterni, profondamente sconvolta dal modo freddo e distaccato con cui mi aveva parlato. Mi sentii frastornata.

Come si era potuto dimenticare una cosa del genere? Non me ne capacitavo.

«Aspetta... forse per te non è la stessa cosa...» disse e il cuore fece una capriola nel petto.

«Avresti voluto che mi fossi ricordato?» sussultai e impallidii.

«Ti sbagli. Stavo solo facendo il punto della situazione» mi affrettai a smentirlo.

«Bugiarda. Cosa avresti voluto che ti dicessi?»

«Niente» puntualizzai decisa, contraendo la mascella.

«Non mentire, non sei capace...»

«Perché credi che stia mentendo?» cercai di gestire il panico e mi morsi il labbro inferiore così duramente da rischiare di farlo sanguinare.

«Te lo leggo negli occhi» commentò sorridendo, con aria quasi...dolce.

«Wow, ci siamo visti solo tre volte e già sei capace di leggermi dentro?» lo sbeffeggiai per tenergli testa anche se mi risultava sempre alquanto difficile contrastarlo.

«Sono bravo a comprendere le persone, non serve conoscersi da una vita per capire che stai dicendo una bugia» si avvicinò con portamento sicuro, fermandosi a pochi metri dal mio corpo che, mio malgrado, cominciò a muoversi nervosamente sul posto, in preda alla frenesia del momento.

«Oh davvero?» lo derisi con apparente sicurezza, ma riconobbi nel suo sguardo tutto il divertimento che stava provando nel sapere di avermi in pugno e mi sentii ancora più piccola e indifesa.

«Ti mordi il labbro mentre resti a fissare il nulla» esclamò con il suo solito atteggiamento strafottente.

«Cosa?»

Dallo sguardo incredulo e sconvolto con cui lo guardai, Cole intuì di aver fatto centro.

«Quando dici cazzate. Fai esattamente così»

«Non è affatto vero» mi intestardii, mentre il livello della mia agitazione aumentò così tanto che cominciai a stringere gli angoli della bocca fra i denti, ancora più forte.

«L'hai fatto di nuovo»

Maledetto.

Sbuffai e mi passai le mani sopra la testa, confusa e disorientata da tutta quella strana situazione che si era creata e poi mi accarezzai le guance roventi, nascondendo l'imbarazzo dietro i palmi sudati. Non feci in tempo a recuperare la lucidità che il suo busto mi venne incontro quel tanto che bastava per mandarmi ancora più nel panico. Mi afferrò le mani e cercò di fare pressione per aprirle, scoprendo il mio viso accaldato. Quel gesto delicato ma intenso mi turbò ulteriormente e non mi aiutò affatto a scacciare via quell'eccitazione folle che avvertivo dentro.

«Avresti desiderato che mi fossi ricordato quanto era buono il profumo dei tuoi capelli quando mi sfioravano?» mormorò seducente, mentre le sue nocche presero a toccarmi lo zigomo. «Oppure, avresti preferito che mi fossi ricordato quanto batteva forte il tuo cuore nell'avermi vicino, ad un soffio dallo strapparti un bacio?» disse ed io mi bloccai. Mi parve di non riuscire più a ragionare, il cervello si spense del tutto.

Calò un silenzio inesorabile, graffiato solo dai suoi respiri controllati che incontravano i miei, pesanti e rumorosi, fino a fondersi insieme. Sollevai lentamente gli occhi per allacciarli ai suoi e vidi riflesso il mio volto, tramortito da emozioni indecifrabili. Ero confusa, ma anche eccitata e curiosa. Avevo paura di quel ragazzo tanto affascinante quanto impetuoso che scaturiva in me il desiderio crescente di lasciarmi andare, di vivere e liberarmi delle catene che mi imprigionavano da tempo. Al suo fianco mi sentivo sempre vulnerabile, scoperta, nuda e non facevo che tremare, forse per il timore di cedergli, o per la paura di perdere me stessa. Desiderio, delusione, rabbia, sensi di colpa, smarrimento. Erano questi i sentimenti che provavo quando mi era vicino e me ne vergognavo terribilmente. Avrei tanto voluto che mi fosse indifferente, ma ero ormai certa dell'attrazione che ci univa e questo mi turbava. Mi chiesi cosa invece stesse pensando lui, mentre mi guardava. Tuttavia, mi riscossi subito da quelle stupide considerazioni e scacciai via quel pensiero sciocco dalla mente, non indugiai oltre, perché ero sicura che se lo avessi scoperto, avrei fatto del male solamente a me stessa. Quella consapevolezza mi diede la forza per allontanarmi. Lo scostai di lato e lo oltrepassai con una calma gelida.

«Hai finito?» domandai in tono profondamente severo, mentre gli rivolgevo un'occhiata torva.

«Dimmelo tu, vuoi che continui? Perché mi stanno tornando in mente tante cose belle ora che ti guardo meglio...» sollevò l'angolo della bocca e sorrise beffardo.

«Tu non mi guardi affatto» scossi la testa e lo redarguii. «Sono solo l'ennesimo divertimento della giornata, non è così? Stai solo giocando, come hai sempre fatto finora. Ti diverte provocarmi continuamente»

Per Cole ero solo una delle tante ragazze con cui intrattenersi, non provava le mie stesse emozioni. Inoltre, continuava ad avvicinarsi, nonostante io cercassi disperatamente di allontanarlo. Si prendeva confidenze che non gli avevo concesso e come se questo non fosse già abbastanza, si concedeva di toccarmi senza il mio permesso, troppo preso dal raggiungere il suo obiettivo, ignorava persino i segnali che il mio corpo gli stava disperatamente lanciando.

«Chi ti ha detto che sto giocando?» disse e mi irrigidii, dandogli le spalle.

«Me l'hai fatto capire nel momento esatto in cui non ti sei ricordato cosa è accaduto tra di noi» dichiarai ingenuamente, senza pensarci due volte e mi morsi la lingua l'attimo dopo.

Maledizione.

Non avrei mai dovuto dirglielo.

Fortunatamente ero girata di schiena e lui non poté vedere il velo di rabbia che mi attraversò il viso, oscurandolo di colpo. Provai pena per me stessa per essere sempre troppo sincera; peccare di ingenuità così miseramente con uno come lui poi, era veramente da stupidi. Me ne resi conto quando mi voltai nuovamente e incrociai il suo sguardo traboccante di malizia. Le sue iridi brillarono di una luce nuova ed ebbi conferma dell'irrimediabile errore che avevo appena commesso.

«Allora avevo ragione» replicò carico di orgoglio.

«Su cosa?» tentai di mostrare indifferenza. Inutilmente. Cole mi guardò come se mi avesse scoperta con le mani nella marmellata, e ammiccò un sorrisetto sfrontato, seguito da un'espressione sensuale alla quale nessuna donna avrebbe saputo resistere. Men che meno io. Divorò in una sola falcata quei pochi metri che ci dividevano, come il più letale tra i predatori. Si fermò poco distante da me ed io mi ritrovai di nuovo nella tana del lupo. Sentii il suo profumo solleticarmi la mente, già troppo incasinata, le labbra piene evocarono in me fantasie lontane che avrei voluto per un istante assaporare. Continuò ad osservarmi con un'arroganza odiosa, tanto da farmi arrivare il sangue al cervello, poi, incastrò il labbro inferiore tra i denti e lo fece lentamente, con atteggiamento dilettevole, prima di regalarmi una smorfia irriverente che aveva tutta l'aria di essere una presa in giro.

«Ti è dispiaciuto che non mi sono ricordato di te» rimarcò l'ultima parola per rendere bene il concetto.

«Smettila» sospirai e gli posai la mani sul petto per spintonarlo, ma il mio rifiuto lo divertì a tal punto da ridere di gusto. Mi stava davvero facendo perdere la pazienza, avevo i nervi a fior di pelle e tutti i muscoli del corpo contratti in una tensione folle, sarebbe bastato un leggero refolo d'aria per riuscire a spezzare definitivamente in due il mio autocontrollo.

«Ho molto da fare qui, non ho tempo da perdere» feci appello a tutte le mie forze e con movimenti incerti lo oltrepassai, portandomi dietro tutto il mio disagio. Arrestai la corsa proprio di fianco al tavolo che era posizionato al centro della stanza, ma incespicai sui miei stessi passi, maldestra com'ero, e urtai il legno con il sedere, facendo vibrare nell'aria il suono stridulo delle zampe che strisciarono contro il pavimento.

«Che cosa vuoi Cole?» brontolai e lui mi fissò con un cipiglio. Sembrava quasi irritato dalla mia presa di posizione.

«Mi costringi a specificarlo ma...non sono venuto qui per te» mi rimbeccò soltanto per infastidirmi ancora di più.

«Ci conosciamo a malapena e a stento ti sopporto, inoltre non ti ho mai parlato del mio lavoro in questo posto, quindi no, non credo minimamente tu sia qui per me, puoi starne certo» precisai indispettita e sconcertata dalla sua presunzione.

«Sono più sollevato ora che me l'hai detto. Vorrei dare un'occhiata ai gatti che sono in stallo in questo rifugio...» prese a camminare, guardandosi attorno curioso, scrutando ogni angolo del posto dove eravamo e raccogliendo con lo sguardo ogni particolare che lo caratterizzava.

«È il compleanno della mia sorellina e come desiderio ha espresso di volerne adottare uno...» spiegò, mentre sollevava con fare annoiato un volantino appeso alla bacheca degli avvisi.

«Per fortuna tua sorella non ha ripreso da te...» commentai sarcastica ma il mio affronto non lo scompose di un centimetro. «...Comunque, sono felice abbia preso questa decisione, adottare è un bellissimo gesto d'amore e sono sicura che un gattino possa renderla davvero felice, quanti anni ha se posso domandartelo? ... »

«Compie tredici anni oggi» rispose secco. La sua espressione mutò all'improvviso e si fece inspiegabilmente più cupa. Cambiò nuovamente stato d'animo e tornò ad assumere il suo solito comportamento freddo e apatico. Per un momento mi era parso quasi disorientato dalla mia domanda.

«Oh, ok... aspettami qui, vado a prendere i documenti da compilare per la pratica d'adozione...» esclamai con una certa titubanza. Stare dietro ai suoi cambiamenti d'umore era un'impresa ardua.

«Fa pure...»

Perché aveva reagito in quel modo?

Quel ragazzo era davvero strano e complicato da capire.

Mi diressi svelta nella stanza di fianco per recuperare tutto il necessario, poi tornai di là e lo trovai appoggiato ad una parete, con le braccia incrociate e le gambe accavallate tra loro, un'espressione torbida e minacciosa aveva cancellato il bagliore ardente dai suoi bellissimi occhi. Sembrava pensieroso e ogni mia sicurezza vacillò.

Mi avvicinai intimidita al tavolo e afferrai una matita dal porta penne che era posizionato sull'angolo. Mi piegai sopra di esso, inarcando la schiena per reggermi sui gomiti, poi cominciai a scrivere il giorno e l'ora sui vari fogli da riempire. D'un tratto, mi voltai.

Cole se ne stava fermo e imperscrutabile a guardarmi intensamente. Notai una scintilla di fuoco incatenarsi alle mezzelune che gli addolcivano lo splendido viso e arrossii di conseguenza perché sapevo perfettamente che il modo discutibile e del tutto contestabile di sedermi aveva scatenato dentro la sua mente una serie infinita di pensieri osceni. Quella posizione non era di certo una delle migliori per dialogare con un abile seduttore come lui, ma, ahimè, me ne resi conto troppo tardi.

Mi schiarii la voce per stemprare l'evidente disagio e deglutii. Pensai anche di spostarmi ma decisi di non dargliela vinta, così lasciai perdere, strinsi i denti per costringermi a non dire nulla e continuai a scrivere. Avevo quasi terminato di annotare tutto quando di colpo mi bloccai. Un ricordo, non troppo lontano, mi solleticò la memoria, catturando la mia attenzione: il primo giorno d'Università e il litigio che io e Cole avevamo avuto. Lo stronzo aveva rubato la mia matita e mi aveva impedito di annotare gli appunti per tutto il tempo rimanente della lezione. Sospirai e feci una smorfia rassegnata. Avevo constatato ormai che il suo atteggiamento strafottente non sarebbe mai cambiato...

Alzai gli occhi su di lui e balbettai: «Devo inserire alcune informazioni personali, perciò dovrò farti alcune domande» aspettai di ricevere la sua approvazione e lui si limitò ad un cenno di consenso con il capo. «Cognome?» iniziai.

«Carter» replicò gelido e calmo.

«Indirizzo? ...»

Raccolsi tutte le informazioni di cui avevo bisogno e, mio malgrado, quell'interrogatorio arrangiato mi aveva permesso di conoscere alcuni dettagli della vita di Cole a cui non avrei avuto mai accesso diversamente. Tra le tante domande che gli feci, una risposta in particolare aveva catturato la mia curiosità. Alla richiesta: "Da quante persone è composta la vostra famiglia?", aveva spiegato che erano soltanto in due, lui e sua sorella. L'aveva ammesso con voce incerta, ed era seguito poi un profondo e lungo sospiro che testimoniava il fastidio, o forse la difficoltà (non seppi dirlo con certezza) che aveva provato nel dover rispondere in quel modo.

Che fine avevano fatto i suoi genitori?

Una fitta di dispiacere mi colpì il petto mentre me lo domandai.

La stampante aveva quasi finito di fotocopiare gli ultimi documenti rimasti. Decisi così di utilizzare quel breve tempo a disposizione per riorganizzare le scartoffie all'interno della cartella per le adozioni. Erano pochi fogli, avrei potuto riporli subito, ma decisi di prendermela con comodo. Posizionai tutto secondo la data, dalla più vecchia alla più recente.

Tra me e Cole era calato il silenzio. Nessuno dei due aveva più proferito parola ed ora un clima di tensione aleggiava per tutta la stanza, rendendo l'aria quasi soffocante, tanto che mi sembrò come se le pareti si stessero inspiegabilmente restringendo intorno a noi. Sbuffai e desiderai di andarmene il prima possibile. Purtroppo, però, non avevo ancora finito il mio lavoro, così rimasi in piedi accanto alla scrivania che avevo appena terminato di riordinare, cristallizzata nel mio imbarazzo.

Cole si incamminò in un angolo lontano, isolandosi con il cellulare stretto tra le mani. Digitò qualcosa sul display e mi sembrò molto indaffarato. Dopo qualche minuto, lo ripose nella tasca dei jeans, si schiarii la gola, incrociò le braccia al petto e tornò ad osservarmi, sorprendendomi a fare esattamente la stessa cosa. Ci stavamo studiando a vicenda.

Lui mi guardava in un modo tutto suo. Unico e inspiegabile. Era profondo, totalizzante, capace di trasportarti in paradiso e farti toccare l'inferno con un dito. Il suo sguardo era come velluto caldo sulla pelle. Potente, dolce come un bacio sussurrato sull'anima. Riusciva a penetrare con veemenza fin dentro le ossa, accarezzando il cuore con gentilezza. Era in grado di sconvolgermi totalmente. Era assurdo e questo mi spaventava.

Quando capii costa stesse fissando così intensamente, un brivido mi graffiò la spina dorsale. Gli occhi da gatto erano incatenati alla bretella ricamata in pizzo del mio reggiseno nero, la quale spiccava indisturbata a lato della spalla scoperta. Mi sembrò di sentirlo addosso, schiacciato contro il mio corpo, senza però che le sue mani mi toccassero veramente. Stritolai il lembo di stoffa penzolante e cercai di sollevarlo ben oltre il collo per nascondermi. Per proteggermi da lui, ancora una volta.

«Puoi smetterla di guardarmi così?» lo ammonii.

«Così come?» mi provocò a bassa voce.

«Come se volessi mangiarmi da un momento all'altro»

«Magari è così...»

«Fai così con tutte? Oppure, sono l'unica fortunata a cui riservi un trattamento così sgarbatamente sfacciato?» replicai velenosa. Le parole mi uscirono fuori dalle labbra in modo impetuoso, ma i modi timidi e impacciati con cui gesticolavo, ansiosa, tradirono la mia combattività.

«No, sono così spudorato solo con te e con la mia ragazza, sarà forse perché vi somigliate molto e rischiate di confondermi...»

Rimasi incredula.

Non mi sarei mai aspettata che dicesse una cosa del genere.

«Che stronzo...» commentai inorridita. «Non so proprio come riesce a stare con uno come te, a quelle condizioni poi...» lo guardai con disgusto, ricordandomi il discorso rivoltante che mi aveva fatto quella sera sulle sue presunte amanti.

Per me era completamente fuori di testa. Il tipo di relazione che viveva era qualcosa di surreale ed io, al contrario della sua fidanzata, non sarei mai stata capace di accettare una situazione simile, neanche per amore. Per me un rapporto doveva fondarsi e costruirsi su una base solida di certezze: sulla fiducia reciproca, sulla comprensione assoluta, sul dialogo costante e sul rispetto più sincero. Il pensiero di condividere con altre donne l'uomo che amavo non mi sfiorava la mente neanche per sbaglio. Era inconcepibile. Non avrei sopportato tanto dolore. Tuttora, morivo dentro al solo pensiero di Seth circondato da altre mani o baciato da altre labbra e quella sensazione soffocante la provavo spesso nonostante, ormai, non stessimo più insieme da tempo. Immaginarmelo tra le braccia di qualcun'altra era un pensiero fisso che mi disarmava, mi distruggeva con una lentezza atroce, causando ferite e squarci così profondi da rendere inefficace qualsiasi cura e qualunque medicina.

La gelosia era qualcosa che mi aveva sempre causato molta sofferenza. Facevo fatica a controllarla, figuriamoci gestirla. La paura di perdere chi un tempo del mio amore s'era colorato il cuore, mi terrorizzava e annientava insieme. Era sempre stata la mia eterna insicurezza, l'incubo peggiore, il punto debole da premere con fermezza se mai qualcuno avesse desiderato ferirmi davvero.

Ed anche se io e la sua ragazza ci somigliavamo, a detta sua, io non l'avrei mai condiviso con nessun'altra. Avrei fatto qualunque cosa pur di bastargli.

«Uno come me... perché cosa c'è che non va in me?» mi ridestai dai miei pensieri e lo guardai.

«Non ho più voglia di sprecare altre parole per descriverti, ti commenti da solo» dissi risoluta, al che lui sollevò un angolo della bocca e abbozzò un'espressione compiaciuta. Cosa ci trovasse di divertente nelle mie parole non lo sapevo proprio.

«Dai, forza...» mi incitò, e dal tono derisorio con cui mi parlò, capii che era divertito da tutta quella strana situazione che si era creata tra di noi.

«Te l'ho già detto, sei arrogante, presuntuoso, ambiguo e la malizia che nascondi dietro ogni cosa che dici è snervante, per non parlare del fatto che sei testardo, contraddittorio e cambi umore così velocemente da lasciarmi sempre senza parole. Sei davvero irritante quando fai così e sei presuntuoso perciò...»

«Presuntuoso l'hai già detto.» Puntellò l'indice verso di me per ammonirmi.

«Va al diavolo» sbottai furiosa e lui sembrò stupito dal mio affronto.

«Mi chiedo come faccio a piacerti se pensi tutto questo di me?»

«Come scusa?» sperai di aver sentito male.

«Smentiscimi allora...» sorrise con sufficienza, ostentando una fierezza fastidiosa.

«Non mi interessi, credimi» risposi di getto, deglutendo a disagio mentre continuava a fissarmi impassibile.

«Oh sì, ti credo...»

«È la verità» chiarii ancora, mostrando una finta sicurezza.

«Guardami e dimmi che non ti piaccio»

Che stronzo. Ma stavolta non avrei ceduto tanto facilmente.

Mi accostai così tanto da poter percepire la forte tensione in atto tra i nostri corpi. Sollevai il viso, inchiodai i miei occhi ai suoi, lo fronteggiai e facendo appello a tutte le mie forze, ammisi: «Non mi piaci, neanche un po'»

D'un tratto, mi si avvicinò di un passo e mi resi conto di quanto fossimo vicini soltanto quando il suo torace sfiorò il mio naso. Inclinò la testa di lato, si abbassò alla mia altezza e mi guardò così intensamente che temetti persino di annegare in quel mare di smeraldi che tempestava le sue iridi brillanti. Mi spostò una ciocca di capelli dal viso e la incastrò dietro l'orecchio, su cui posò delicatamente le labbra facendomi saltare il cuore in gola.

«Sicura che quando ti sono vicino non ti senti nervosa?» sussurrò e rabbrividii quando percepii il suo respiro caldo accarezzarmi il collo. «...E sei certa che il tuo viso non prenda fuoco quando mi soffermo ad ammirare i dettagli del tuo corpo incantevole?» continuò a torturarmi. «Non ti tremano le gambe quando mi spingo al di là di quel confine immaginario che la tua stupida testolina ha creato soltanto per proteggerti dalla mia perversa imprevedibilità?»

«Ti sbagli, non sento niente di tutto ciò» fu tutto ciò che riuscii a dire. Mi sentivo tremendamente piccola e lui così immenso a sovrastarmi.

«Ah no?» domandò. «Allora perché hai gli occhi chiusi e il respiro affannoso?»

Mi ridestai all'improvviso, sollevai subito le palpebre e tentai di scostarmi dal suo tocco, senza alcun risultato però. Cole mi afferrò con un gesto molto scaltro, circondandomi i fianchi con un braccio. Mi strinse con possesso, incombendo su di me con la sua figura troppo imponente, troppo intimidatoria, troppo vigorosa per riuscire a contrastarla.

«Lasciami...» balbettai con un filo di voce, tanto che stentai a riconoscermi. Avevo sbagliato a permettergli di avvicinarsi così tanto e avrei fatto meglio ad allontanarmi immediatamente. Mi stava mettendo alla dura prova e temevo di non riuscire a resistergli. Stavo oltrepassando un limite pericoloso e stavo correndo un rischio fatale, al di là del quale ero sicura avrei perduto me stessa. Tuttavia, rimasi ferma, schiacciata contro i suoi pettorali, a corto di fiato.

«Perché lo fai?» chiese ed io non capii.

«Faccio cosa?»

«Fingi di essere più forte di quello che desideri, ma non lo sei affatto»

«Forse sei tu quello che spera in qualcosa, sennò perché tanto interesse?» chiesi.

«Mi stai provocando?» la sua autorità mi causò un fremito. Mi schiarii la gola e cercai di celare l'effetto che aveva su di me, anche se era davvero difficile.

«Esattamente come stai facendo tu» replicai.

«Ma non sei così brava come speravo...»

«Tu credi?» lo stavo sfidando, ma non mi importava. Ormai, non avevo più nulla da perdere.

«Sì, non è nella tua natura provocare. Profumi di purezza e ingenuità» disse, poi il suo sguardo mi si posò sulle labbra. «Sono sicuro che hanno lo stesso sapore dolce dell'innocenza» mormorò lento. Sentii inspiegabilmente il bisogno di bagnarle e in totale naturalezza le umettai con un colpo di lingua. Lui seguì quel gesto ipnotizzato e un gemito sommesso scappò via dalla sua bocca, causandomi uno sfarfallio al basso ventre. Qualcosa gli avvampò le iridi lucenti e un fuoco intenso prese vita dentro di me. Bruciai di un'emozione inspiegabile, strana, dolorosa e piacevole al tempo stesso, tanto che persino Cole mollò di colpo la presa sui miei fianchi, come se fossi diventata all'improvviso incandescente.

Colsi l'attimo e decisi di sgattaiolare via dal suo potente magnetismo. Indietreggiai, inciampando sui miei stessi passi e mi allontanai. Mi ritrovai aggrappata ad una parete con il cuore che fuoriusciva dal petto, le gambe tremolanti e il respiro bloccato a metà.

«Continua pure a fingere Joy...mentire non è il peggiore tra i peccati» la sua figura imponente si mosse decisa verso la mia direzione, marciando con atteggiamento prevaricatore. Non voleva proprio lasciarmi in pace, dannazione, ma non potevo permettergli di avvicinarsi ancora, non avrei resistito ad un altro assalto e lui, da gran bastardo, lo sapeva, così lo ripresi.

«No, non ti avvicinare!» esordii, fermandolo con il palmo.

«Hai paura di me?» sussurrò con un timbro basso che mi fece rabbrividire. Ero mentalmente confusa, sovraccarica di sensazioni ustionanti e incontrollabili che mi dilaniavano le viscere. Lo stomaco era talmente in subbuglio che temetti di vomitare da un istante all'altro, tuttavia, mi riscossi, sforzandomi di gestire il panico e anche se non ebbi il coraggio di guardarlo in viso, brontolai: «Non ho paura di te».

«Dovresti averne invece» ribatté deciso. «Potrei scegliere di prendermi oggi quello che mi sono negato la scorsa notte...»

«Io sono innamorata di un ragazzo!» lo esclamai quasi urlando.

Il suo sguardo si incupì.

La rabbia, la furia nella mia voce.

Fu un attimo e tutto intorno a me scomparve. Vidi nero. Un buio profondo mi investì all'improvviso e offuscò la mia ragione. Il corpo divenne di pietra e la testa sembrò fluttuare in un'altra dimensione. Restai immobile, disconnessa dalla realtà per dei secondi interminabili.

Perché avevo detto una cosa così importante in un momento del genere?!

Perché rivelare un sentimento intimo, puro, come quello che provavo per Seth, ad una persona come Cole? Dopo tutto quello che gli avevo permesso di fare finora?!

Una moltitudine caotica di domande mi tempestò la mente, oscurando la mia lucidità.

Perché ero stata così ingenua?!

Mi chiesi come avessi fatto a commettere un errore del genere.

Era stata una mossa davvero avventata, da perfetta idiota, senza un briciolo di cervello.

"Sono innamorata..." gli avevo detto.

Che stupida...

«E perché me lo dici?»

Trasalii con una vertigine.

Cole mi osservò con un'espressione seria in volto.

«Perché è così» mi limitai a rispondere.

«Ah sì? Però cinque giorni fa mi hai chiesto di baciarti» insinuò lascivo.

«Te l'ho fatto semplicemente credere. Era l'unico modo per mandarti via, sapevo non l'avresti fatto e anche se ci avessi provato non l'avrei comunque permesso» replicai con un'asprezza forse esagerata, ma mi sentivo messa all'angolo, bloccata con le spalle al muro, a causa della sua insinuazione.

«È veramente ciò che provi o lo dici solamente per mettere a tacere le emozioni che ti esplodono dentro?» la sua domanda mi addentò l'anima.

«Lo dico perché è questa la verità, il resto non mi interessa, non ti devo dimostrare niente» tremai ancora una volta, cosciente dell'enorme casino in cui mi ero appena cacciata.

«Se stanno davvero così le cose, dimmi, dove si trova ora l'uomo di cui sei così tanto innamorata?»

Mi pietrificai.

«Sa almeno della tua esistenza?» continuò imperterrito.

«Certo!» controbattei decisa.

«Ma?» torreggiò su di me, assottigliando lo sguardo felino.

«Stanne fuori, non ti riguarda» affilai le palpebre. Non gli avrei permesso di sparare sentenze affrettate sulla mia storia incasinata, né tanto meno esprimere giudizi inappropriati su quelli che erano i miei sentimenti confusi.

Non sapeva nulla di me.

E non avrebbe mai saputo niente.

«Ah, adesso tutto mi è più chiaro...» esordii con un mormorio basso, così lo guardai di traverso e vidi i suoi occhi chiari splendere di una luce nuova.

«Amare qualcuno e non averlo più accanto, è doloroso, Joy. Ma rassegnarsi a questo tipo di sofferenza, è un supplizio costante»

«Non...» tentai di dire qualcosa, ma mi si incrinò la voce e le parole mi morirono in gola.

"Non dirlo, ti prego" avrei voluto implorargli.

«Credi davvero valga la pena soffrire così alla tua età? Per qualcuno che neanche ricambia il tuo amore?» sussurrò ed io smisi di respirare. Mi sembrò come se al pronunciare di quella fatidica frase, la mia anima si era staccata dal corpo per allontanarsi chissà dove. Non seppi cosa rispondere. Mi sentii smarrita. Odiavo quando mi venivano dette quel genere di cose, perché rendevano ancora più reale la mia sofferenza. Era come ammettere che io e Seth non stessimo più insieme. Che non ci sarebbe più stato un futuro. Che i ricordi erano tutto ciò che mi rimaneva di lui.

Le mani tremarono.

Tutta la frustrazione che provavo esplose.

Due lacrime mi solcarono le guance.

Una goccia scese per la sofferenza che provavo nel sapermi così triste e disillusa. Mentre l'altra, invece, cadde per l'amore che comunque, nonostante tutto, provavo ancora, ma che giorno dopo giorno, stava lentamente scivolando via, strappato pezzo dopo pezzo dagli artigli appuntiti dello scandire ineluttabile del tempo. Entrambe mi sfiorarono le labbra e si tuffarono al di là di esse, scappando dal dolore, ormai lontane dal rimorso.

Sapevo che Cole aveva ragione. Non era stato il primo e non sarebbe stato nemmeno l'ultimo a sbattermi duramente in faccia la verità. Ciononostante, faceva sempre male sentirselo dire e anche se la mia mente era arrivata ormai da tempo a quella consapevolezza così cruda, triste e...amara, il mio cuore non voleva ancora crederci. Non lo accettava proprio. Continuava ostinato a sperare e risperare in un finale diverso.

Mi affrettai ad asciugare le lacrime con i palmi, cancellando i solchi della mia angoscia. Tirai su col naso, proprio come una bambina ferita e sollevai il viso spento per guardarlo. Notai qualcosa di diverso in lui. Sembrava turbato, anzi pareva addirittura infastidito dalla reazione che avevo avuto.

«Prenditi il tuo tempo per metabolizzare. La verità ferisce, a volte» disse e sussultai. Mi parlò con una freddezza tale da ghiacciarmi il cuore. Inghiotti l'amaro in bocca che mi aveva lasciato e cercai di respingere tutto dentro. «Vado di là a dare un'occhiata da solo. Quando vuoi, ti aspetto...». Era tornato il ragazzo impenetrabile e insensibile che non riuscivo a capire. Ma stavolta, neanche mi sforzai di provare a leggerlo dentro. Non ne avevo le forze, così lasciai perdere e risposi con un semplice cenno del capo. Non volli neanche immaginare cosa stesse pensando di me in quel momento per riuscire a trattarmi con così tanta indifferenza, malgrado il mio umore.

Si incamminò, elegante e misterioso, si diresse nella stanza accanto e mi lasciò andare.

La consapevolezza di quello che avevo fatto si fece spazio dentro di me in modo doloroso e soffocante. Rimasi sola per un po', assorta nei miei pensieri e riflettei su ciò che mi aveva detto. Oscillai sul posto, muovendomi lentamente, come una piccola fogliolina piegata dalla forza del vento. Spinta dal potere impetuoso dei sensi di colpa, tentai di camminare, di reagire, ma non feci neanche mezzo passo avanti. Il mio corpo non rispondeva agli impulsi nervosi, pareva come raggelato. Tutto ciò che riuscii a fare fu fissare il vuoto con lo sguardo perso. I miei occhi erano madidi di lacrime che stavo cercando disperatamente di trattenere. Un silenzio glaciale mi albergava dentro, mentre la malinconia impazzava furiosa sotto la pelle. Allo sconforto assoluto in cui era sprofondata la mia coscienza, si aggiunse un fortissimo senso di inquietudine che mi soffocò i sentimenti in una morsa opprimente.

Mi sentivo strana.

Mi percepivo lontana, distante persino da me stessa.

Sarei voluta tornare a casa.

Avevo l'impellente bisogno di rifugiarmi nel mio posto sicuro. Allontanarmi dal mondo e rinchiudere il mio caos in un cassetto a chiave. Avrei anche potuto farlo se d'un tratto non avessi udito il mio nome.

«Joy, che stai facendo?» la voce civettuola di Mya infranse l'aria e il mio cuore si svuotò. All'istante dimenticai tutto quello che era appena successo. La rabbia, il dolore, il pentimento, la vergogna, tutto scomparve. Sentii solo montare dentro il dovere di finire quello che avevo cominciato. Glielo dovevo. Così feci un profondo respiro, strinsi i denti e decisi di raggiungere Cole nella stanza accanto, stavolta insieme a Mya.

***

Mi auguro che questo nuovo capitolo possa piacervi. Mi ha dato un gran bel da fare, ma alla fine sono piuttosto soddisfatta di come è venuto. Spero voi la pensiate allo stesso modo.

Un bacio ai miei cari lettori, e a presto.

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