LEZIONE 8:
La Verità è che io sono quello che sono, la Verità è che tutti siamo quello che siamo.
La cena andò meglio del previsto. Eccezion fatta per le continue battute di Michele, per quello che era diventato il nostro divertente scherzetto ai danni dello zio, che a detta sua un debole per gli uomini ce l'aveva sul serio. In compenso ci allietò proprio l'ottima cucina del signor Ti prego non lasciarmi, come l'aveva soprannominato dopo la quinta birra e la storia della loro temporanea separazione. Da quel racconto, persino io avrei concluso che lo zio fosse perdutamente innamorato di Michele, ma l'uomo in questione sembrava non darci assolutamente peso e trattare quella quasi ossessione come la cotta di una bimba dell'asilo per il suo papà.
- Non vorrai davvero tornare a casa? – mi chiese Edoardo, mentre uscivo dal kotatsu.
- Non dovrei? – chiesi perplesso.
- Certo che no! – esclamò partecipe, forse anche per i troppi brindisi – So che sei solo e sono l'unico responsabile per te adesso, perciò dovresti restare qui – spiegò premuroso.
- Scherzi? Non lo vedi che non sai badare neanche a te stesso? – lo punzecchiò Michele.
Si stava diligentemente occupando di vuotare l'ultima bottiglia di vino, nella sua bocca, come peraltro aveva fatto con tutto il resto, eppure sembrava perfettamente in sé; l'unica differenza rilevabile nei suoi modi era un lieve aumento di tono nella voce. Sfilò una sigaretta dal pacchetto sopra il tavolo e se l'accese. Per un attimo mi parve che fosse proprio una discarica e mi chiesi cosa mai avesse potuto trovarci in un tipo simile il quasi perfetto Edoardo. Come se mi avesse letto nel pensiero, Michele mi piantò addosso uno sguardo indagatore e un mezzo ghigno strafottente gli si disegnò sul volto.
- Non devi obbedire agli adulti, piccoletto – disse, soffiandomi il fumo quasi in faccia.
- Smetti di provocarlo – lo rimproverò lo zio e con un sorriso vacuo aggiunse – Fa' come preferisci, piccolo Kaede. –
Trattenni l'impulso di picchiare a sangue sia l'uno che l'altro per il modo in cui mi trattavano, cioè come se fossi un bambino, e posai una mano sulla spalla di Sakuragi per avvisarlo che stavamo per andarcene, ma quest'ultimo non ebbe alcuna reazione. Solo allora mi accorsi che si era addormentato sul tavolo e mi sfuggì un'espressione seccata.
- Puoi lasciarlo qui, non serve svegliarlo – disse subito Michele. – Tu vai pure. –
Edoardo lo rimproverò con lo sguardo.
- E smettila – lo contraddisse, ma era comunque bonario, tanto che passatogli un braccio intorno alle spalle, avvicinò le labbra al suo orecchio. – Non ti sei accorto di cosa prova Kaede? – sussurrò.
Michele lo guardò perplesso e subito riportò gli occhi nei miei. Scattai in piedi, ma lui non perse il contatto. Mi fissò intensamente, in silenzio, per almeno cinque minuti. Corrugò la fronte e assunse un'espressione grave.
- Mah... - disse infine.
- Sei proprio un idiota - commentò lo zio con un sospiro. – Povero, piccolo Kaede, speriamo che Sakuragi non sia come te. –
L'espressione del biondo si illuminò e si rabbuiò allo stesso tempo; aveva capito l'antifona. - Speriamo piuttosto che il povero, piccolo Kaede non sia come te – replicò acido e si passò una mano tra i capelli.
Edoardo gli rifilò un pizzicotto di una violenza inaudita, ma riscontrò una resistenza invidiabile, infatti sul volto della vittima apparve a malapena un fugace segno di sofferenza.
- Allora, sentiamo – disse rivolto a me, e nella voce si distinse una leggera incrinatura, dovuta alla punizione subita. – Sei come lo zietto? Hai intenzione di perseguitare questo malcapitato per il resto della sua vita? –
La testa mi pulsava per il nervosismo e mi ero ormai convinto che si fosse ampiamente meritato la rissa che stavo per scatenare. Strinsi il pugno nella mano destra. Sfortunatamente Edoardo mi precedette, schiacciandogli a sorpresa la faccia contro il tavolo. Quindi si avvicinò nuovamente con le labbra al suo orecchio, ma questa volta non c'era nulla di amichevole in lui.
- Ora basta, Michele – sibilò perentorio e per un lunghissimo minuto ricadde il silenzio, quindi socchiuse gli strani occhi verdi e sospirò appena. – Loro sono diversi da noi e potrebbero semplicemente stare insieme – aggiunse, recuperato il consueto tono morbido.
- Appunto! – convenne il biondo e si alzò in piedi. Prima di andare a buttarsi sul divano, mi puntò un dito contro. - Guarda che io non sono come te! – dichiarò, mentre mi passava accanto.
Quel tipo sembrava davvero un idiota, anzi peggio, un idiota insensibile. Dopo averlo seguito con lo sguardo, mi girai verso Edoardo, ma si era già allontanato e stava sistemando la cucina. Il loro dialogo mi aveva confuso, perché non avevo capito bene a cosa si riferissero e dovetti ammettere che in quel momento mi interessava più di qualunque altra cosa, perciò lo raggiunsi.
- Zio – lo chiamai, per la prima volta, a quel modo – Tu sei gay? – chiesi piano.
- Come spiegartelo? – poggiò sul lavello la pirofila, che aveva usato per cucinare il primo piatto, e si sfilò i guanti.
Sospirò e si allungò verso la mensola più in alto, ne prese una scatola, che conteneva una selezione di pregiate miscele di tè, quindi preparò il bollitore e lo mise a scaldare. Dal vano, nascosto dentro un portaincenso decorato, estrasse un bastoncino e lo accese. Un rumore di sottofondo si riversò nella stanza, Michele aveva acceso la tv e per un istante mi aspettai di sentire la telecronaca di una qualche partita o gara, invece riconobbi una melodia di Classica. Mi girai a guardare lo schermo: sullo sfondo un drappeggio rosso, oltre di esso una grande orchestra e infine il direttore. Sorpreso capii che era proprio un concerto e per di più di Karajan. L'essenza sconosciuta ma piacevole mi arrivò alle narici. Spostai lo sguardo su Michele: il divano era vuoto. Lui era seduto a terra nella posizione del loto e ad occhi chiusi dava le spalle alla tv. Era a torso nudo, la felpa abbandonata sul bracciolo, e completamente assorto. Osservai il suo volto disteso e all'improvviso mi parve di una bellezza quasi divina, proprio come una statua millenaria; viva, immortale ed eterna, eppure nello stesso istante già morta e intoccabile. Riuscii a non farmi assorbire dalla sua immagine, così non cercai di ritrovare il movimento del suo respiro e misi da parte il desiderio di unirmi ad esso per conoscere la sua pace. Edoardo mi passò accanto e andò a prendere un libro dalla libreria. Inforcò un paio di occhiali da lettura, rettangolari, piccoli e dalla montatura leggera e flessibile, sfogliò le pagine e mi si avvicinò. Notai che in realtà era un quaderno, scritto a mano. Passò il dito sotto una frase, più marcata rispetto alle altre:
Insegna solo Amore, perché è ciò che sei.
Lo guardai perplesso.
- Ecco, diciamo che io sono questo – disse con un sorriso candido.
Rimasi in silenzio a fissarlo. Ero stupito dalla semplicità di quel concetto e allo stesso tempo meravigliato della sua grandezza. Faticavo ad afferrarne il senso con la logica, eppure qualcosa dentro di me aveva vibrato alla lettura di quelle poche parole e mi era parso che non vi fosse niente di più perfetto per rappresentare ciò che sentivo. Sentivo che quella era la strada giusta. Lo zio mi sorrise, un sorriso che sembrava capace di abbracciarmi, e con la mano libera mi carezzò i capelli.
- Anche tu lo sei – disse semplicemente – Tutti lo siamo -.
Mi fece segno di aspettare un istante e sparì nella camera. Quando tornò portava con sé un quaderno identico a quello che mi aveva mostrato e me lo mise tra le mani.
- Questo è il mio regalo – spiegò – Smetti di avere paura e trova le risposte dentro di te. –
Lo sfogliai: era immacolato. Carezzai la copertina di pelle con le dita.
- Come? – chiesi.
Prese una penna, dimenticata accanto al frigo, e me la diede.
- Scrivi a te stesso – rispose tranquillo e mi indicò il tavolo.
Tornai a sedermi e squadrai il foglio bianco, finché non decisi di scrivere i miei pensieri, le domande e le risposte che mi si affacciavano alla mente. Mi fermai, soltanto quando gli occhi stavano per chiudersi. Non avevo fatto la chiarezza che mi sarei aspettato e pensai che avrei dovuto rileggere tutto per trarne una qualche conclusione, ma scoprii che Edoardo aveva preparato il divano letto e la tv era già stata spenta. Michele mi passò accanto diretto al frigo. Lo osservai, mentre beveva a canna dalla bottiglia d'acqua, ma non mi sembrò più una discarica. Senza che potessi spiegarmene il perché, la sua immagine era radicalmente mutata. Quando la ripose, lanciò un'occhiata a me e al quaderno aperto, si avvicinò e con la mano grande mi diede due colpetti sulla spalla.
- Adesso va' pure a dormire – disse con un tono molto più morbido del solito.
- Hn – risposi atono.
Quell'atteggiamento paterno mi aveva messo a disagio, per fortuna lo zio mi diede una maglietta, dei pantaloni e un paio di boxer di ricambio e mi mostrò il bagno, fornendomi una scusa per non dire altro. Non mi sfuggì che il letto nella camera fosse matrimoniale, eppure non mi chiesi neppure come facessero quei due a dormire beatamente insieme, mi parve persino scontato che per loro potesse essere la cosa più naturale del mondo. Mi lavai e mentre mi rivestivo, entrò Michele che nudo e senza alcun pudore si infilò sotto la doccia. Lo zio si scusò al suo posto, affacciandosi oltre la soglia, e aggiunse che lui era fatto così, ma sembrava più divertito che dispiaciuto. Ero abituato agli allenamenti, quindi la cosa non mi imbarazzò, ma, quando il biondo cominciò a cantare sotto la doccia, scoppiai a ridere. Cantava La Traviata di Verdi, perché aveva appena finito di ascoltarla, ma con le stesse doti canore di un'otaria spiaggiata. Si interruppe per lanciarmi un paio di scongiuri e sfidarmi a fare di meglio, così dovetti fuggire di nuovo in salotto, perché altrimenti non sarei riuscito a smettere di ridere. Diedi un'ultima occhiata a Sakuragi, pensando a quanto sarebbe stato bello potersi svegliare ancora una volta l'uno accanto all'altro, e mi infilai sotto le coperte. Non avevo il coraggio o la sicurezza di svegliarlo con una simile proposta.
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