LEZIONE 4:
La Verità è conoscere se stessi e riconoscere i propri limiti.
Il venticinque Dicembre, al risveglio misi a fuoco il soffitto bianco di una stanza a me sconosciuta. Avevo un leggero cerchio alla testa, che riuscii dopo poco ad attribuire alla bevuta della sera precedente a casa di Sakuragi, in cui presumevo di essere ancora. Quello che non riuscivo ad afferrare era come facessi a trovarmi a letto e soprattutto che cosa fosse la macchia rossa che scorgevo con la coda dell'occhio alla mia destra. Eppure ero quasi certo di essermi addormentato sul divano...Mi pareva di ricordare la sua spalla, ma mi venne il dubbio di averlo sognato. In fondo poteva essermi confuso per via della sbronza. Mi risolvetti a voltare la testa. Sakuragi giaceva a pancia in giù, sopra le lenzuola alla mia destra, i corti capelli ribelli arruffati e l'espressione tenera di un bimbo addormentato. Un sorriso mi sfuggì. Scoprii che era sveglio, perché dischiuse le palpebre, scoprendomi a fissarlo.
- Allora non succede solo quando bevi – commentò, sorridendo a sua volta, mentre io riacquistavo a fatica la mia faccia di bronzo. - Ho sonno... – aggiunse sbadigliando – Ti da fastidio se resto qui? – concluse, rubandomi il cuscino e portandolo a coprire la testa, credo per ripararsi dalla luce del mattino inoltrato. Restò a sbirciare da sotto di esso, con sguardo vago, in attesa della mia reazione.
Scossi il capo. Come avrebbe potuto darmi fastidio un comportamento simile? Decisamente stavo sognando, non poteva essere altrimenti. Mi aveva trattato con estrema gentilezza, qualcosa di assolutamente inimmaginabile per i nostri standard, e stava beatamente disteso accanto a me, come fosse invece la cosa più naturale del mondo. Una piccola parte della mia coscienza ripeteva che non dovevo esserne contento, perché non sarebbe durato, mi assicurava che dovevo aspettarmi un brusco risveglio, ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, perciò per la prima volta in vita mia la ignorai e mi limitai a sospirare. Tuttavia non ero in grado di restagli tanto vicino, non così apertamente, perciò decisi di preparare la colazione. Insomma, un po' sapevo cavarmela, e mi sembrava il minimo per ricambiare l'ospitalità e soprattutto la gentilezza insperata. Mentre preparavo la moka, cercai di ricordare il viaggio che mi aveva condotto al letto, ma la mia mente pareva rifiutarsi con accanimento di collaborare, l'unica cosa che riuscivo a cavarne era una strana nebbiolina scura da cui emergeva un dolce mormorio indistinto. Delle braccia, lo ricordai di colpo, mi avevano sollevato con gentilezza; non erano state le mie gambe a condurmi fino al letto. Questa rivelazione non fu di aiuto al processo di riequilibrio di sensi e sentimenti che stavo cercando di portare a termine. Anzi la mia mente passò da una cieca e testarda non collaborazione con il proprietario, ad una fantasmagorica visualizzazione di scene allusive che potevano con facilità colmare il lasso di tempo che non trovava continuità nella memoria. Visioni improbabili, per non ammettere la loro impossibilità, e tutt'altro che fredde, sufficienti a mandare in frantumi in un istante la mia ferrea capacità di controllo. Cose che non solo non credevo possibili, ma fino a quel momento neppure avrei creduto immaginabili, almeno non da parte mia. Stavo quasi per buttare all'aria l'impasto e mettermi le mani nei capelli, nonché prendere a testate la dispensa (cosa in cui lui si sarebbe riconosciuto parecchio), quando lo sentii entrare nella stanza.
- Buon giorno – mi salutò con la voce impastata dal sonno.
Strinsi spasmodicamente il manico della padella, su cui stavo cuocendo le crêpes, "amorevolmente" preparate senza pensarci. Cercai di recuperare il mio solito contengo, persino mi imposi di visualizzare l'aura gelida che avrebbe dovuto espandersi dal mio stesso corpo, ma l'unica cosa che riuscii a sentire fu il sangue che mi affluiva alle guance, quando lui, interessato alla colazione, si avvicinò e poggiò il mento sulla mia spalla. Salutai definitivamente anche quel misero straccio di razionalità che mi rimaneva, non appena parlò, soffiandomi inavvertitamente sul collo.
– Ma che bravo – sussurrò ammirato e allegro.
Non riuscii a discernere se fosse una presa in giro o un effettivo complimento, ma sentivo che l'unica possibilità di riabilitazione che mi rimanesse era tirargli un bel destro dritto in faccia. Ovviamente avrei perso in via definitiva qualsiasi possibilità di essergli amico. Poteva essere un dubbio amletico per chiunque, ma non per Kaede Rukawa; il gelido, borioso, egoista, insensibile Kaede Rukawa. Tuttavia quel giorno avrei voluto essere chiunque altro, meno che me stesso, addirittura avrei dato qualsiasi cosa per non esserlo mai stato.
- Ti sorprende? – riuscii a rispondere con sarcasmo.
- Affatto – ribatté acido lui, allontanandosi.
Andò a sedersi sul divano e accese la tv, evitando incredibilmente di cogliere la provocazione. La voce atona dei cronisti del telegiornale si riversò nella stanza. Ringraziai la mia buona stella per averlo fatto allontanare, prima che potessi avere un altro tipo di reazione, magari qualcosa da ragazzina isterica. Ascoltai distratto il servizio che riguardava i disagi nei festeggiamenti natalizi e d'improvviso compresi che era davvero mattino e che cosa questo significasse: lo sciopero era terminato e io potevo andarmene. Certo, in tal caso Sakuragi sarebbe rimasto da solo in casa, proprio il giorno di Natale. In fondo io c'ero abituato. Una sorta di rassegnata tristezza mi avvolse. Fu allora che me ne resi conto, non era per lui, era per me che volevo restare. Non avevo scampo, perché non era soltanto un interesse particolare o una rivalità stimolante. Non mi sentivo solo, io volevo restare con lui. Per la prima volta mi sfiorò il dubbio di essermi innamorato. Il panico mi assalì. Ero diventato, se possibile, ancora più pallido. Per mia fortuna ero di spalle e l'espressione allarmata che mi sfuggì non poteva essere vista. Quando la colazione fu pronta, Sakuragi si mise a mangiare seduto a gambe incrociate sul divano, invece io presi posto al tavolo, bevevo distrattamente la mia spremuta, cercando di mantenere una calma sufficiente a non scoprirmi in alcun modo. Lo vidi corrugare la fronte, come se fosse stato improvvisamente assalito da pensieri negativi.
- Volpe, posso farti una domanda? – disse, esitando un istante prima di sollevare il volto a guardarmi. – E non osare prenderti gioco di me, chiaro? – aggiunse minaccioso.
Mi limitai ad annuire, mossi appena la testa per darmi un'apparenza di distaccato disinteresse.
- Se tu dovessi...Ecco...Beh... – quasi balbettò, tanto da sembrare persino imbarazzato - Se tu dovessi provare qualcosa per qualcuno, che però...Sì, insomma...Con cui sei certo di non aver alcuna speranza... – si interruppe come per rifletterci un istante.
Di cosa diavolo stava parlando, mi chiesi, mentre si insinuava in me la consapevolezza che la risposta che lui tentava di chiedermi era forse la stessa che avrei voluto avere io.
- Se tu non potessi sopportarlo, se finissi per odiare sia lei, che te stesso per i sentimenti che provi... – sospirò, di nuovo incerto, – No, forse è meglio lasciar perdere, è troppo complicato, per poter essere spiegato, proprio non ci riesco – concluse imbronciato.
Restammo in silenzio per una buona decina di minuti, mentre cercavo di fare chiarezza su quelli che erano i miei di sentimenti, più che analizzare e ricostruire in ordine logico ciò che lui aveva tentato di esporre. Non avrei saputo definire e interpretare in modo chiaro le mie sensazioni, anche se era innegabile che in sua presenza mi trovassi decisamente meglio di come mi fossi trovato con chiunque altro in precedenza. Ammettevo di provare qualcosa, sì. Se avesse detto amare, l'avrei ritenuto un'esagerazione, perché non avevo idea di che cosa significasse l'interesse che nutrivo per lui, tanto meno mi sarei messo a valutare a cosa potesse portare, se coltivato, anche perché se già ero insicuro su di me, figuriamoci si di lui. Credere che un'inclinazione tanto assurda e vaga, potesse essere ricambiata da un tipo come lui, sarebbe stato come credere che uscito di casa avrei trovato per terra un grosso diamante, allegato ad un biglietto con su scritto Per Kaede Rukawa: puoi farne quello che vuoi, andrà comunque bene, non vogliamo nulla in cambio. Tuttavia io non sarei mai arrivato a detestarlo perché non ricambiava le mie turbe nei suoi confronti, certo che detestare Haruko sarebbe stato molto più facile, visto che io la consideravo una macchia sporca nella mia visuale, ma per lui era diverso, perché lui era diverso da me. Insomma io non avevo abbastanza elementi su cui basare qualsivoglia aspettativa, ma molteplici indicatori di un finale a dir poco tragico. Il nostro punto comune era che ci trovavamo entrambi in una situazione decisamente svantaggiosa e confusa. Mi persi a contemplare le incrinature sul liquido scuro nella tazza. Alla fine annuii, avevo capito la sua difficoltà di esposizione, era ovvio, al suo posto avrei fatto di peggio.
- Ho capito – aggiunsi pensieroso.
Lui si sorprese.
- Che...Cosa faresti...? – domandò esitante.
- Tu? – rigirai su due piedi la sua richiesta.
Io non sapevo proprio che fare, anzi molto probabilmente avrei fatto quello che facevo sempre con le persone: nulla. Magari una risposta migliore lui già ce l'aveva e io potevo guadagnarci un buon suggerimento. Sospirò pesantemente.
- Non lo so – rispose rassegnato.
Finsi di non badarlo e mi alzai per lavare le stoviglie, dandogli le spalle. Lo sentii muoversi sul divano, probabilmente era indeciso se lasciare la stanza o meno.
- Se ti piace davvero per quello che è, non puoi farci nulla – recitai atono ma a voce alta, poi quasi involontariamente mi ammorbidii e mi ritrovai a mormorare – Anche se dovesse non saperlo mai, anche se dovesse respingerti, in sua presenza continuerai a provare sempre qualcosa. –
Era forse la frase più lunga che Sakuragi mi avesse mai sentito pronunciare da quando ci conoscevamo. In fin dei conti non volevo vederlo soffrire e in quel momento non aveva certo bisogno di sentirsi dire che secondo me l'amore non esiste e se esiste comincia male, continua male e finisce nel peggiore dei modi. E in effetti nemmeno io avevo bisogno di sentirmi dire una cosa simile.
- Mamma, che paura! – esclamò e subito rise sollevato. Si sistemò meglio sul divano. – Ma glielo diresti? – mi incalzò, di nuovo estremamente serio.
Questo era proprio ciò che io stesso dovevo affrontare, ma non avevo alcuna intenzione di farlo, perché a pensarci ero terribilmente confuso e niente mi aveva mai spaventato tanto. Avrei potuto dare una risposta, che io stesso non possedevo? Soprattutto era quella che avrebbe deciso della mia vita, perché in effetti il basket mi dava la vita, ma ormai Sakuragi era entrato in campo e senza di lui avrei perso una parte di essa. Terminai di sistemare e andai a sedermi accanto a lui, mi appoggiai allo schienale del divano e lasciai ricadere la testa all'indietro a fissare distrattamente il soffitto bianco.
- Perché mi odi? – domandai soltanto, lasciai che la mia voce si spandesse lenta e calma nel quieto silenzio della stanza.
Ridacchiò un poco.
- Certo che sei loquace oggi, eh volpe? – replicò ironico, tuttavia sentivo che non aveva nessuna voglia di provocarmi seriamente. Mi sembrò più che altro un gioco, uno schema solo nostro in cui avrebbe potuto nascondersi. – E poi tocca a te rispondere, non vorrai far infuriare il Genio, ignorando la sua domanda – con una diplomazia, di cui non lo credevo capace, glissò abilmente la risposta.
- La risposta è: non lo so – rivelai in tutta sincerità e socchiusi un poco gli occhi.
Sakuragi prese un profondo respiro, quindi si alzò e si voltò verso di me.
– Dato che pare tu non possa più fare a meno della mia sublime compagnia, sappi che devo ancora comprare il regalo per Acchan e se non glielo faccio mi ammazza! Per cui ora, in cambio della generosa ospitalità che il Genio ha offerto a questa misera volpe randagia, mi ci accompagnerai – concluse con una smorfia, a metà strada tra un sorriso esagerato e l'espressione di un bulldog di fronte ad un intruso.
- Tsk – mi limitai a ribattere.
Mi ignorò stoicamente. Si diresse nella sua stanza, facendomi segno di seguirlo, quindi mi porse i miei abiti. Li presi e andai a cambiarmi in bagno.
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