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LEZIONE 3:

La Verità è che le parole portano alla comprensione soltanto cercando la Verità dentro sé stessi.


Non avrei saputo dire che ora fosse quando mi svegliai, ci misi un po' a rendermi conto di dov'ero e del perché. Allora compresi di trovarmi da solo in casa di uno sconosciuto, senza alcun motivo apparente. Dopo qualche attimo sentii la serratura della porta scattare. L'ingresso non era visibile per due ragioni. La prima: il divano gli dava le spalle, oltre ad essere spostato di molto a destra. La seconda: ero disteso. Tra l'altro notai che sopra di me era stata premurosamente poggiata una coperta. Non sapevo se farmi vedere, perché chiunque fosse entrato non si era diretto nella specie di cucina-soggiorno in cui mi trovavo, ma aveva preso una delle porte del corridoio. Avvertii lo scrosciare d'acqua di quella che interpretai come una doccia e finalmente mi concessi di alzarmi per scoprire se e chi fosse il padrone di casa, nonché fornirgli le spiegazioni che ritenevo necessarie. Seguito il suono rilassante, mi fermai di fronte alla porta del bagno e bussai. La voce in risposta mi giunse ovattata e lontana.

- Sei Tu Acchan? – domandò con un attimo di esitazione.

- No, sono un suo amico... – mormorai, forse sperando che non mi sentisse affatto, forse spaventandomi per la parola che avevo usato per definire me stesso.

Mi parve di sentirlo ridere.

- Non dirmi che sei il ragazzo del parco, che si è fatto trascinare fin qui! – esclamò divertito.

- Mi sono addormentato sul divano – mi giustificai, leggermente a disagio.

Lo sentii ridere di nuovo; era una risata con uno strascico di stanchezza ma piena e sincera, così diversa dalle quelle che avevo sempre sentito fare attorno me. Ne assaporai il suono, imbambolato a fissare lo spiraglio di luce sotto la porta. Il vapore che ne spirava lento e denso si mischiava ad un profumo di sapone e pulito. Mi trasmetteva una sensazione di serenità, che non avvertivo da anni, poi, come d'incanto, l'armonia si spezzò. Non fu qualcosa di improvviso, a dire il vero la porta si aprì con lentezza, ma trovandomi ancora in stato contemplativo, sollevai adagio lo sguardo, scoprendo con qualcosa di molto simile all'avidità il corpo nudo che mi era comparso di fronte. Sulla pelle abbronzata le gocce d'acqua splendevano per il riflesso della luce intensa, ma quello che veramente mi strappò il respiro fu il volto. I capelli ramati spiccavano ribelli e gli occhi nocciola mi guardavano sorpresi. Mentre mi maledicevo per essere fatto tanto male, qualcosa scattò dentro di me e la mia mente si chiuse in stato difensivo. La quasi spontaneità che Acchan si era conquistata, conoscendomi poco a poco, si dissolse in un lampo e tornai a sentirmi l'uomo sbagliato nel posto sbagliato, cioè come mi sentivo in qualsiasi luogo che non fosse il campo. Sarebbe bastata una sola parola mal interpretabile da parte del mio ospite e avrei sfoggiato il mio solito atteggiamento schivo e scostante. Mi odiavo per questo, ma data la mia incapacità nei rapporti umani, non riuscivo a comportarmi altrimenti.

Sakuragi scosse la testa e sorrise. Si tenne sorprendentemente neutrale, né troppo gentile, né strafottente.

- Come immaginavo – disse soltanto.

Inarcai un sopracciglio e non emisi fiato, per evitare di doverlo insultare in qualche modo, com'era nei nostri schemi.

- Ai mi ha parlato spesso del ragazzo del parco e non credo che a Kanagawa ci sia molta gente come te, volpe – si spiegò divertito, per poi dirigersi verso un'altra stanza.

- Idiota – risposi di riflesso, senza neppure pensarci.

Tutto quello che Acchan mi aveva detto sul cugino andò a sovrapporsi con quello che sapevo di Sakuragi, trasformando la sua immagine, donandogli una luce del tutto diversa, conferendogli anche una maturità di cui fino ad allora non avevo avuto alcuna prova. Quasi non riuscivo a far coincidere questa nuova visione con il Sakuragi che ero abituato a vedere e a pensare; era allo stesso tempo così simile e così diverso. Non riuscii a muovere un passo, nemmeno quando la sua voce mi raggiunse, aumentando di tono, mentre lui compariva vestito in corridoio e mi superava andando in cucina.

- Visto che lei non sta mai zitta, credo tu sappia che ho appena finito di lavorare e sono stanco, inoltre è la vigilia di Natale, per cui non farti venire un colpo perché non ti picchio – quando finì di parlare era già sparito, mentre io ancora stavo fermo di fronte alla porta del bagno.

Immobile con il mio dignitoso e composto sopracciglio alzato, constatavo che era riuscito a sentire la mia pressoché involontaria offesa. Ascoltai i suoi passi avvicinarsi e fermarsi accanto a me, e quando mi decisi a voltare il capo, mi stava scrutando con un'espressione buffissima divisa tra l'interesse e l'incomprensione.

- Ah...Non stavi dormendo – mormorò. – Io ho fame, dato che la mia cuginetta è stata tanto gentile da preparare, mangiamo? – mi domandò infine.

Mi resi conto che, anche volendo, non sarei riuscito a prendermela con lui e non mi andava neppure di rispondere a tono. Forse perché mi ero abituato a sentire la cugina parlare per ore e facendo un paragone in quel momento lui sembrava la tranquillità fatta persona, forse perché era davvero stanco e si leggeva nei suoi occhi che non era per niente ostile.

- Aveva detto che sarebbe tornata – risposi atono e vago.

- No, passerà questi due giorni con i suoi come ogni anno, inoltre alle sette comincia lo sciopero dei treni – ribatté, indicandomi l'orologio a muro. – In fin dei conti per quanto possa sembrare affidabile, è pur sempre una bambina – concluse sicuro.

Affidabile, eh? Meglio che si preparasse a sentire, per la prima ed ultima volta nella sua vita, Kaede Rukawa che urla dalla rabbia. Scoprivo troppo tardi che erano le otto passate e che io non sarei potuto tornare a casa, eppure non potevo certo restare a dormire lì, con lui. L'idea che Sakuragi facesse fatica a comportarsi come al solito, che il battibecco fosse un qualcosa di stancante per lui, che sarebbe arrivato persino ad ospitarmi, non mi era certo sgradita ma sicuramente pericolosa. No, non potevo permettermi di correre un simile rischio. Dovevo ammettere di essere spaventato dalle molteplici conseguenze possibili.

- È meglio che vada – mi decisi a dire.

Lui, appoggiato al tavolo, mi scrutava dalla sedia su cui si era seduto.

- Sappi, stupida volpe, che il Genio non ha intenzione di spezzare le tue preziose braccina nel sonno, anche perché quello lo potrei fare ovunque, dato che soffri di narcolessia come i nonnetti – replicò ironico, alzandosi per apparecchiare.

Il suo sarcasmo non mi sfiorò neppure, era la proposta a preoccuparmi.

- Ti capita spesso di ospitare quelli che odi? – sibilai freddamente, trafiggendolo con lo sguardo.

Fece una smorfia, chinando il capo, come a pensare bene alla risposta che doveva dare.

- Ho le mie ragioni – rispose infine.

"Per ospitarmi o per odiarmi?" avrei dovuto chiedergli, ma il dubbio fu subito archiviato dalla mia mente, che si aspettava soltanto che qualcosa andasse storto e lui ammettesse di detestarmi.

- E quali? – sibilai ancora.

Pensandoci bene, io non facevo che fomentare il suo odio, ma reagivo come una bestia ferita, perché non riuscivo a capirlo e dentro di me desideravo che non mi odiasse affatto, anzi ogni volta speravo che avrebbe detto qualcos'altro, qualcosa di gentile, cosa che aumentava la mia frustrazione e peggiorava le mie reazioni. Inoltre a questa serietà innaturale avrei preferito si mettesse ad urlare e straparlare come un idiota, perché mal sopportavo che le mie speranze fossero schiacciate da una risposta razionale e presa con calma. Non potevo accettare di meritarmi il suo odio. Chi mai accetterebbe di essere odiato?

– La Akagi? – aggiunsi sarcastico, come a sottolineare che non poteva certo essere un buon motivo.

A me non passava nemmeno per l'anticamera del cervello di salutarla, figuriamoci sfiorarla. Mi pareva anche che fosse abbastanza chiaro. Non poteva essere davvero così stupido da odiare me, solo perché quell'oca giuliva mi stava dietro. Insomma, mica poteva essere colpa mia. Tanto più che avendo saputo che conoscevo Acchan, avrebbe avuto più senso si preoccupasse per lei.

- Un giorno, quando tutto sarà finito e noi saremo soltanto due vecchi amici, che si incontreranno per caso in un bar, allora forse te ne parlerò – rispose, senza perdere la calma e sorridendo tristemente.

Come avremmo potuto diventare due vecchi amici, se non eravamo nemmeno amici? Che idiozie andava dicendo. Tuttavia decisi di lasciar correre, per il semplice fatto che la sua risposta non era stata scortese ma persino piacevole, o forse perché, qualunque cosa avesse detto, non avrei saputo oppormi ad un simile tono.

- Davvero c'è sciopero? – domandai infine, pensieroso.

Si limitò ad annuire. Sospirai ed andai a sedermi di fronte a lui, che nel frattempo aveva apparecchiato e messo a scaldare il katsudon, le melanzane e il pesce. Nella stanza, assieme al profumo invitante, aleggiava una certa tensione, tanto che pareva quasi ci mancasse il coraggio di spezzare il silenzio. In effetti io non ero intenzionato ad iniziare una conversazione e lui pareva davvero troppo stanco per attaccar briga, così mangiammo in religioso mutismo. Subito dopo Sakuragi si alzò e lavò i piatti, mentre io mi sedetti gambe incrociate sul divano. Mi passò per la testa che avrei dovuto aiutarlo, visto che io non avevo fatto nulla tutto il giorno, ma non ebbi il fegato di offrirmi spontaneamente, perché avrebbe significato mostrarmi più gentile di quanto non fossi di solito. Non appena finì di sistemare tutto, accese la tv e mi allungò il telecomando in modo che potessi guardare il canale che preferivo, quindi scomparve in una delle stanze che davano sul piccolo corridoio. Quando fu di ritorno, erano quasi le undici e io mi stavo addormentando di fronte al solito stupido film di Natale. Non avevo idea di cosa fosse andato a fare per tutto quel tempo, ma portava tra le mani un pigiama azzurro e della biancheria.

- Se vuoi puoi fare la doccia - mi disse, porgendomeli.

Annuii e mi diressi in bagno; moralmente ne avevo proprio bisogno e non volevo addormentarmi così presto, come già stava accadendo. Tanto per essere sicuro di riscuotermi, lavai anche i capelli. Dopo essere passato sotto l'acqua mi sentivo molto più tranquillo, sollevato e rilassato; stavo bene. Ritornai al divano e mi sedetti comodamente con indosso il suo pigiama pulito, che mi stava un po' largo, i capelli ancora umidi mi si appiccicavano sulla fronte. Vi passai una mano, per tirarli all'indietro. Mi piacque molto lo sfuggevole sguardo che mi lanciò, mentre mi porgeva un bicchiere e lo riempiva. Era mezzanotte. Osservai perplesso il vino, tuttora non sono un gran bevitore.

- Buon Natale – disse sorridendo e brindando.

- Buon Natale – risposi, cercando di sembrare un po' meno gelido.

Quello fu il primo bicchiere ma non l'ultimo, l'atmosfera familiare e la tensione dissolta dal vapore caldo riuscirono quasi a trasformarmi in un essere umano, senza contare che fino ad allora ero stato astemio. Registrai, senza tuttavia darvi troppo peso, che Sakuragi reggeva molto meglio di me, tanto che pareva essere perfettamente sobrio, mentre io cominciavo a risentire dell'effetto trascinante dell'alcool; nonostante questo mi auto compiacevo di come la mia maschera resistesse bene. In tutta naturalezza mi sorpresi ad ascoltare con interesse i suoi aneddoti, frammisti di allegre risate, riguardanti il passato, la piccola Ai e la sgangherata banda di amici, fino ad arrivare alla squadra e persino a me. In larga misura a causa del vino, ma anche del racconto di quale fosse la sua situazione affettiva il giorno in cui mi aveva conosciuto, non riuscii più a trattenermi e, come non facevo da anni, scoppiai a ridere di gusto. Arrivai persino a tenermi la pancia, incapace di frenare l'euforia. La sua espressione sul tipo "Oddiomio ho visto un fantasma!" fu il colpo di grazia, e non ho idea di quanto tempo passò prima che riuscissi a riacquistare un'espressione composta, ma so che lui, credendomi del tutto ubriaco, scosse il capo con rassegnazione e divertimento e ripose la bottiglia. Quando finalmente mi calmai, mi sentivo stanchissimo e mi resi a malapena conto di scivolare ad appoggiarmi sulla sua spalla, poiché subito dopo i miei occhi si chiusero.

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