Capitolo 6 - SENZA VIA D'USCITA - prima parte
Una goccia d'acqua batteva formando una piccola pozza sul pavimento. Il lento e incessante ritmo della rugiada che colava dal soffitto aveva accompagnato l'attesa del prigioniero legato al freddo metallo delle catene in quella grande cella progettata per carcerazioni di massa. Due bracciali di metallo splendevano di una sinistra luce purpurea ai polsi, animati da un'invisibile fiamma, divoratrice di ogni velleità.
Un passo pesante sul terreno umido, il clangore di un armatura che frizionava tra le parti. L'uomo dal fisico imponente, che aveva fatto capolino all'interno della cella, si grattò la barba cinerea che adornava il mento. Dardeggiò con lo sguardo lungo i contorni del torace del prigioniero, osservando la pelle incunearsi all'interno delle cavità scavate tra le ossa della cassa toracica. La parvenza di un'importante muscolatura, un tempo solida e guizzante, era divenuta soltanto ombra su quel corpo emaciato, divorato da inedia e rassegnazione, Cicatrici e ferite lo facevano somigliare a un vaso di terracotta finito in frantumi e poi riassemblato pezzo dopo pezzo.
«Un fisico sottoposto a dure prove» riconobbe Mizar, esprimendo il suo pensiero ad alta voce, tributando così la sua ammirazione guerresca all'incarcerato.
Alexandros lo guardò di sottecchi, attraverso le fessure tra le ciocche che cascavano alla rinfusa dal suo capo chino verso il pavimento, ignorando quella specie di riconoscimento appena conferitogli.
«Ripetimi ciò che hai confessato poco fa.»
«Ripetimi ciò che hai promesso.»
Lo stregone si era arreso ai cavalieri celesti accusando se stesso di essere l'unico responsabile dell'assalto alla cattedrale di Florentia.
«Sono un uomo di parola, ho appena dato ordine di fermare la nostra crociata contro la Torre Scarlatta.»
Il generale era un uomo forgiato dallo stesso acciaio di cui era costituita la sua armatura. Fiero, inflessibile, con una fede granitica nella Grande Madre e fedeltà assoluta nei suoi emissari. Altrettanto quindi doveva essere una sua promessa e Alexandros, coadiuvato da quel che lesse in quegli occhi ghiacciati, non aveva motivo di dubitarne. Soltanto un pensiero ormai animava il suo spirito, annichilito dal peso della sua esistenza: la salvezza di Alteria.
"Si rifarà una vita senza di me. Troverà qualcuno in grado di darle l'amore che merita."
Quel gesto estremo era l'unica dimostrazione d'affetto ancora possibile nei confronti della giovane maga.
«Sono l'unico responsabile della morte del cherubino Emmaniel» ripeté ancora una volta, affinché fosse riconosciuto come tale.
«E come avresti fatto? Abbiamo rinvenuto sul luogo del delitto il pugnale di Keshnal. È con quello che hai evocato quel demone ancestrale?»
Alexandros annuì.
«Dunque è stato Keshnal a uccidere il messaggero della Grande Madre?»
«Sei fuori strada vecchio. Keshnal mi è servito soltanto per saggiarne la forza. Io l'ho ucciso.»
«Tu? Un essere umano non è in grado di nuocere a una divinità.»
Lo sguardo di Mizar corse verso un angolo della cella dove oggetti taglienti di metallo giacevano ordinati su una mensola appesa al muro.
«Caverei da quella tua bocca spavalda personalmente la verità con i giusti metodi, ma si dà il caso che Ismael vuole vedere il tuo corpo immacolato da ogni segno di tortura.»
Alexandros rimase imperturbabile, come l'acqua che, imperterrita, gocciolava dal soffitto.
«Non ho motivo per mentire.»
Il generale sospirò; nonostante la logica suggerisse l'impossibilità di quella confessione, non riusciva a dubitare della voce ferma con cui enunciava ogni sua colpa. In quegli occhi, la cui luce sembrava avvolta da una nebbia densa come pece, scorgeva la rassegnazione di un uomo che non aveva più nulla da perdere. Scosse il capo, mentre passeggiava attorno al prigioniero incatenato, disegnando idealmente sul terreno un semicerchio, su cui ripassò più volte. Prese tra le dita un oggetto che aveva accuratamente custodito nelle proprie tasche fino a quell'istante, ritenendo fosse giunto il momento di sfoderarlo davanti al naso dell'inquisito.
«Questo cosa significa?» domandò, mostrando il cristallo azzurro. «È stato l'unico oggetto personale che ti abbiamo trovato addosso durante la perquisizione. Forse è qualche ammennicolo magico con cui tentare di scappare?»
«Non ne ho l'intenzione.»
«E dunque?» lo incalzò il celeste, non credendo fino in fondo a quell'affermazione.
«La verità.»
«Quale verità?»
«Sulle divinità di cui sei servitore. In quel cristallo ci sono le ultime memorie del mio defunto padre.»
«Oh!» Sulle labbra di Mizar si disegnò un'espressione compiaciuta. Come quando dopo innumerevoli tentativi si riescono a incastrare le tessere di un puzzle. «Comincio a comprendere.»
«No, non credo tu comprenda. Lascia che ti mostri la benevolenza e misericordia dei messaggeri della Grande Madre.»
Alexandros aveva portato dietro il mnemonicum appartenuto al padre non perché avesse speranza di mutare il proprio destino, ma per almeno togliersi la soddisfazione di vedere le facce dei celesti mentre assistevano alla carneficina perpetrata nei confronti dei suoi parenti. Contrariamente a ciò che aveva progettato, il generale accolse la sua richiesta con una fragorosa risata.
«Guardia!» gridò, attendendo un trafelato militare che lo salutò con un ossequio più che pronunciato. «Metti sotto chiave questa pietra e non permettere a nessuno di poterla prendere senza un mio ordine!»
Così com'era arrivato il soldato si dileguò con l'ultimo ricordo che legasse il prigioniero al proprio padre.
Alexandros digrignò i denti, assalito da un fremito rabbioso come non provava da tempo.
«La volontà di un Dio è qualcosa a cui noi mortali non è permesso contestare.»
Mizar non sapeva con esattezza come si svolsero i fatti, tuttavia, grazie all'esperienza, aveva intuito il movente dietro l'omicidio dell'angelo. «Gli uomini senza una fede incrollabile sono destinati a compiere peccati più o meno gravi durante il corso della propria breve esistenza. Per questo un messaggero della Dea può esercitare a proprio piacimento diritto di vita e di mor...»
«Mia sorella aveva solo quattordici anni!»
Alexandros era furioso. Sentiva dopo settimane il sangue ribollire nelle vene e il Quaresh, ritirato in qualche anfratto della sua psiche, tornare a manifestarsi con un sussulto che gli fece tremare le viscere.
La sua aura tornò a manifestarsi sotto forma di volute scarlatte, soffocata in brevi istanti dalla forza contenitiva dei bracciali purpurei. Tali oggetti, intrisi del potere dell'Angelo Forgiatore, erano costruiti al solo scopo di imprigionare la forza magica di maghi e streghe.
«Ora comprendo la forza che ha potuto nuocere al divino Emmaniel.»
Sulla fronte del carceriere comparvero una manciata di gocce di sudore, nonostante cercasse di celare la propria preoccupazione mascherandola dietro a un sorriso spavaldo.
Lo stregone ricambiò, sputandogli dritto in mezzo agli occhi.
Visibilmente irritato Mizar lo afferrò per la collottola e con uno schianto tremendo lo colpì con una testata in grado di frantumargli il setto nasale.
«Ragazzo, forse non hai capito qual è il tuo posto» esclamò, rimirandolo sanguinare a terra. Lo afferrò per i capelli piantandogli un destro dritto sullo zigomo. Il guanto d'arme che ne ricopriva l'arto impattò sulla mascella, sfregiandone la carne già insanguinata per il colpo precedente. «Forse, non hai capito che noi semplici mortali non abbiamo il diritto di opporci alla volontà divina.»
Mizar lo colpì ripetutamente, facendo perdere i sensi al malcapitato prigioniero, incapace di agire a quell'efferata violenza. Il volto del carnefice parve trasfigurarsi in un'ombra dai contorni stinti, sulla quale due orbite ardevano come pire scoppiettanti e un sorriso macabro a trentadue denti risplendeva colmo di soddisfazione. Quando la rabbia fu appagata Mizar fece un passo indietro, ansimando per lo sforzo.
Alexandros giaceva inerme al suolo, con il volto tumefatto deformato in una maschera innaffiata di sangue carmigno. Rantoli e movimenti stentati sollevavano il diaframma a intervalli regolari, segno che l'ultimo alito di vita esitava ad abbandonare il corpo dello stregone.
«Tanto il tuo corpo sfregiato non avrebbe incontrato il senso estetico del Divino Ismael» sibilò tra sé, tentando di giustificare il folle gesto con cui aveva quasi rischiato di ammazzare il prigioniero.
Sì guardò le mani tremanti ricoperte dal freddo metallo dell'armatura intriso del plasma della sua vittima. Cadde in ginocchio, sollevando la testa verso il soffitto come se cercasse di intravedere qualcosa: una luce brillante in quel tetro soffitto abitato da insetti e ragnatele. Congiunse le mani e serrò le palpebre, richiudendosi in preghiera.
«Grande Madre, perdonami, perché ho peccato...»
***
SPAZIO AUTORE
Non credo che qualcuno si sarebbe aspettato che Alexandros - seppur reo confesso - fosse stato trattato con i guanti di velluto, però i guanti di metallo forse sono troppo.
Diciamo che ancora una volta ho voluto caratterizzare l'antagonista principale di questa parte della storia. Mizar trae ispirazione dai pessimi personaggi che hanno guidato i momenti più bui della storia della religione (e che guidano ancora, se pensiamo al medio oriente). Fanatico, con una certa predisposizione all'ira e alla violenza da cui sembra trarre piacere, salvo poi cercare l'assoluzione ai suoi peccati quando si sente troppo "sporco".
Lo si può considerare bipolare? Forse...
In ogni caso è l'uomo al vertice dei Cavalieri Celesti, il che lo rende estremamente pericoloso.
Alla prossima puntata!
Alessandro
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