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Capitolo 5 - IL PROFONDO SOLCO DEL DESTINO - finale


Il soldato si stiracchiò allungando le braccia verso il cielo, accompagnando il gesto con uno sbadiglio a bocca spalancata. Nessuno era presente in quell'area oltre a lui, altrimenti avrebbero potuto godersi lo spettacolo di quell'ugola arrossata, delimitata da una doppia fila di denti cariati.

Il militare, dopo aver scrocchiato ogni muscolo della parte superiore del corpo, rivolse l'attenzione alla luna alta nel cielo, mentre scavava con un dito dentro la sua narice destra, con la stessa foga di un minatore davanti a una vena colma d'oro.

«Sarà quasi mezzaaaaaaaa yawnnnn»

Aveva talmente tanto sonno da sognare di essere un orso prossimo al lungo letargo invernale. Era però una notte estiva il cui caldo veniva smorzato da una piacevole brezza.

"Clima ideale per farsi un pisolino."

A pochi metri di distanza, una manciata di pagliericci sparsi vicino a una parete di pietra lo tentava con lo stesso charme di una formosa meretrice. Non brillava certo per disciplina il soldato di guardia quell'ingresso della fortezza di Venis, tuttavia sapeva di potersi permettere qualche distrazione.

"Neanche il più numeroso degli eserciti nel corso dei secoli è riuscito a penetrare queste mura, figuriamoci se proprio stanotte qualche pazzo dovrebbe prova..."

Toc Toc

Qualcuno aveva battuto contro il massiccio portone di ferro borchiato. La guardia si guardò intorno, sperando di esser stato vittima della sua immaginazione.

Toc Toc

No, non si era sbagliato. Si avvicinò alla porta con circospezione, dosando ogni passo come se dovesse sorprendere un nemico alle spalle.

Toc Toc

"E se fosse un fantasma?" deglutì al pensiero, cercando di infondersi coraggio, qualità di cui difettava.

Fece presa sul pomello che faceva scorrere una banda di ferro all'interno di una guida. Il meccanismo serviva ad aprire un piccolo pertugio per poter dare un'occhiata all'esterno. Mentre eseguiva il movimento un altro paio di colpi di battente lo fecero sobbalzare.

Era buio e la fitta grata di maglia dello spioncino limitava la vista. Scorgeva soltanto i contorni adombrati di un volto apparentemente umano.

«Ch-chi è là?» osò domandare, con i muscoli delle gambe pronti a scattare nel caso si trattasse di qualche creatura sovrannaturale.

«Sono venuto a consegnarmi alla giustizia dei Cavalieri Celesti» rispose una voce, senza alcuna emozione.

«Vattene ubriacone, non sono in vena di scherzi!» replicò stizzito il soldato, chiudendo violentemente la fessura del portone di metallo.

"Maledizione proprio a me doveva capita..."

Toc Toc

L'uomo imprecò, maledicendo la Grande Madre per aver fatto incontrare proprio a lui quello scocciatore.

"Adesso gli faccio vedere io."

Si diresse di gran carriera verso l'argano che serviva per aprire il pesante ingresso. La sola forza di un uomo non sarebbe stata sufficiente per poter spingere le diverse tonnellate di ferro pieno con cui erano state costruite quelle porte. Per ovviare al problema era stato costruito un ingegnoso sistema di catene e carrucole che permettevano a un singolo individuo di poterle aprire.

Spinse la leva facendo ruotare i cardini dell'immenso ingranaggio che, accompagnato da un sordo suono metallico, trascinò lungo dei binari la grande anta d'ingresso, quanto bastava per far passare una persona alla volta.

«Avanti, entra!» intimò al tizio, un ragazzo dall'aspetto trasandato.

«Che stai facendo?»

Nel frattempo giunsero un altro paio di suoi commilitoni che, allarmati dal fragore del meccanismo d'ingresso, avevano abbandonato le proprie postazioni. La luce del firmamento privo di nubi rischiarava debolmente il terreno sabbioso della fortezza posto tra la fila di mura principale e un edificio di pianta rettangolare che fungeva da caserma.

«Questo straccione voleva a tutti i costi farsi arrestare» rispose, puntando il dito sul petto del ragazzo alto più di lui di circa una spanna.

«Sei pazzo! Aprire così l'ingresso della fortezza è pericoloso!» replicò furioso, mentre l'altro soldato richiudeva la porta.

L'accusato minimizzò con un gesto della mano.

«Non lo vedete? È solo un povero straccione e questa è una fortezza con cinquecento soldati armati fino ai denti. Cosa mai potrebbe fare? Gli farò fare qualche notte al fresco così gli passerà la voglia la prossima volta di bere.»

Prese il giovane per un braccio senza neanche prendere qualche precauzione tipo ammanettarlo o tenerlo sotto tiro con il moschetto, convinto della bontà delle proprie convinzioni.

«Non c'entra nulla» intervenne ancora una volta uno dei due, costernato per come si stava evolvendo la situazione. «Stiamo combattendo contro un gruppo di eretici che pare abbiano poteri magici. Anche solo uno di essi potrebbe essere pericoloso.»

«Il tuo collega ha ragione, sei davvero un tipo poco prudente.»

L'arrestato, rimasto in silenzio fino a quell'istante, si era sentito in dovere di intervenire. Si sarebbe potuto godere quella discussione surreale - tutto sommato divertente – in silenzio, se avesse avuto ancora la capacità di divertirsi.

«Non ti ci mettere anche tu, non crederai a stronzate tipo la magia? Dai, vieni, vedrai che un'umida cella ti rinfrescherà le idee.»

 Non riuscì a smuoverlo di un millimetro, nonostante l'avesse strattonato con forza.  

«Voglio parlare con il vostro generale.»

Gli altri due soldati, quelli più professionali, imbracciarono i fucili. Avevano fiutato che qualcosa non andava in quello strano tipo.

«Chi diavolo sei?»

Alexandros alzò le mani ben in vista in segno di resa per cercare di non innervosire ulteriormente i soldati.

«Consegnatemi al generale Mizar, avete appena catturato uno stregone della Torre Scarlatta.»

***

Alteria guardava la luna attraverso il vetro opaco della finestra.

La luce filtrava con i suoi candidi raggi, trapassando la penombra in cui era avvolta la stanza che l'aveva ospitata nei suoi primi diciotto anni di vita.

L'aveva trovata esattamente come l'aveva lasciata. Non vi era neanche un granello di polvere segno che periodicamente sua madre era passata a fare le pulizie, sperando nel ritorno a casa della figlia.

Riflessa nel vetro sfumava la sua immagine: nella scollatura della camicia da notte faceva capolino la cicatrice lasciata dal suo amato in quella terribile notte alla cattedrale di Florentia. Cercò di nasconderla sotto il palmo della mano, come se dovesse celarla a occhi indiscreti.

"Questa non dovrà mai essere vista da loro" pensò, ricordando i dettagli delle ore passate a raccontare l'esperienze degli ultimi mesi alle persone che l'avevano messa al mondo.

Davanti a loro e a Theresa si era messa a nudo, confessando i sentimenti per Alexandros che l'avevano spinta a seguirlo fino alla Torre Scarlatta. Non aveva lesinato a entrare nel dettaglio quando si parlava dei lati positivi di quell'avventura come la complicità raggiunta con la sua mentore Selene o l'amicizia instaurata con Dass e Maximilian.

Aveva invece evitato le parti più truculente, come il rito del Quaresh o come era stata ferita da Alexandros divenuto demone seguendo ciecamente la sua vendetta. Anche le sue attuali condizioni erano state edulcorate, facendo credere a mamma e papà di vivere assieme a lui un momento felice.

Sua madre le aveva detto di voler conoscere il suo bel stregone facendola arrossire come un papavero mentre stesso desiderio animava il padre, ma per diverse ragioni: voleva tirare le orecchie all'uomo che l'aveva fatta soffrire così tanto. Alteria si fece strappare la promessa che in futuro sarebbe venuta a trovarli insieme a lui, pur sapendo che difficilmente avrebbe potuto mantenerla.

Tutta la faccenda l'aveva lasciata con l'amaro in bocca. Si era preparata alla perfezione quella parte e l'aveva recitata senza problemi, ma l'aver dovuto mentire su alcune cose la privava comunque del sonno che il suo corpo stanco reclamava. Era ormai passata la mezzanotte e i suoi dannati occhi non volevano chiudersi. Voleva solamente passare qualche giorno immersa nella vita semplice che aveva abbandonato mesi fa, invece il suo complicato presente l'accompagnava come un'ombra da cui non riusciva a separarsi.

La ferita le dolse all'improvviso, richiamata dal pensiero di Alexandros. Per un attimo le sembrò di vederne l'immagine riflessa nel vetro, cingerle le spalle con le sue forti mani. Cercò di accarezzarne il viso, ma l'illusione svanì con un battito di ciglia lasciandola avvolta soltanto dal pallore della notte d'estate.

Alteria si sentì improvvisamente sola nella stanza, divenuta gelida come l'antro di uno spettro.  

***

SPAZIO AUTORE

Ho preferito alleggerire la cattura (volontaria) di Alexandros con una parte abbastanza comica. Un po' per alleggerire la situazione, un po' per far risaltare meglio la parte sentimentale che coinvolge Alteria.  Anche perché gli eventi potrebbero prendere una piega più angosciante. Compensare con un po' di leggerezza ogni tanto fa bene al racconto, ma quando non c'è Dass presente il tutto è più difficile. E per un po' (spoiler) ahimé, non ci sarà (fine spoiler). 

Lo so che vi mancherà, ma continuate lo stesso a seguirmi. 

Alessandro. 

   


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