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Capitolo 4 - CACCIA ALLE STREGHE - prima parte

Corro.

Corro a perdifiato verso l'ignoto per sfuggire alle ombre che cercano d'afferrarmi.

Con la coda dell'occhio le vedo avanzare: una massa informe che striscia, che allunga i propri tentacoli di tenebra per ghermire il mio corpo. Il freddo attanaglia i miei polmoni, li ferisce a ogni respiro sempre più stentato a causa della fatica che, centimetro dopo centimetro, si avvicina alla vittoria contro ogni resistenza.

Con essa, avanzano inutilità e rassegnazione.

Sensazioni che appesantiscono i miei passi, lacerando i muscoli delle gambe che gridano pietà per la tortura a cui le sto sottoponendo.

È troppo.

Il mio incedere rallenta, a sufficienza per essere raggiunto.

Le ombre mi travolgono, trascinandomi al loro interno, inglobandomi nel loro corpo senza sostanza. Tutto si fa ovattato in quell'etere viscoso in cui sento scivolare la mia coscienza. In principio vengo cullato dai flutti, poi uno strano gorgo si forma intorno a me trascinandomi violentemente in un abisso di cui non scorgo la fine.

Un istante dopo mi ritrovo sulle sponde di un isola.

Una scheggia punge la mia mano, una goccia di sangue scivola sul mio essere.

È stata una costola acuminata a pungermi, appartenente al torace di uno scheletro di minute dimensioni. Uno sconosciuto senza nome, a cui la vita è stata strappata troppo in fretta.

Giaccio immobile su un tappeto d'ossa e putrefazione.

«Avanti!» dice una voce imperiosa, spronandomi a proseguire.

Sono troppo debole per rialzarmi, troppo debole per raggiungere una posizione eretta.

Striscio come un verme sul letame, mi trascino su quella via lastricata di cadaveri perché al richiamo di quella voce non so ricusarmi.

Un paio di scarpe di ottima fattura interrompono il mio percorso, fatto di tedio e ignominia.

Accarezzo la pelle di cui sono composte, e un ricordo agrodolce si fa largo tra la disperazione.

«Alexandros.»

«Padre.»

Fa eco la mia risposta all'invocazione atona dell'uomo che ho davanti. Eretto nel pieno delle forze mi osserva, mentre mastico polvere e schegge d'osso. Il suo sguardo truce mi giudica senza compatimento. Disconosce il rapporto di parentela che ci accomuna con la freddezza riservata a due individui senza nulla in comune.

Mi aggrappo al suo pastrano e con uno sforzo immane mi alzo in piedi,sorreggendomi ai miei arti inferiori come un moribondo. La testa rimane china, incapace di sorreggere quegli occhi dardeggianti, penetranti come punteruoli rompighiaccio.

Si allontana da me, anzi, è la trama dello spazio a voler mettere distanza tra noi due. Allarga leggermente un braccio e con l'indice indica oltre l'orlo del precipizio.

Mi sporgo per vedere la direzione che vuole farmi seguire. Il fiume di scheletri precipita a spirale per molti metri fino a un punto avvolto nella nebbia. Mi concentro e riesco a scorgere qualcosa svettare tra le avvolgenti maglie della bruma. Sono edifici che paiono torri; spingono per emergere come le dita di un uomo che affoga nelle sabbie mobili.

Inaspettatamente il terreno frana sotto i piedi, costringendomi a una caduta senza fine. Cerco con le unghie di aggrapparmi a qualsiasi cosa, ma non ci sono appigli a fermare il mio sprofondare.

Più mi avvicino alla nebbia e più scorgo una città nascosta tra essa.

Col tempo la pendenza del terreno diventa più docile, abbastanza da permettermi di frenare e rimettermi sulle gambe.

Sotto di me gli scheletri sono sempre meno glabri, rivestiti di carne rafferma parzialmente decomposta.

Mi muovo in direzione di quelle costruzioni, calpesto i corpi che prendono consistenza, i volti che assumono contorni definiti.

Mi soffermo a osservare una donna: la sua figura sembra essere stata consumato dalle fiamme. Riconosco l'espressione di dolore sul volto, è la madre di Maximilian, strappata da me all'affetto del figlio, mentre fuggivo dal suo castello.

Pherkad , al suo fianco,mi osserva col suo piglio severo, circondato dai corpi straziati degli abitanti di Tiluana. In quel crogiolo d'arti strappati e pelli lacerate colgo il sorriso spavaldo di Sex Machine trovare spazio tra i volti di quei ceffi di Seth e Richard.

Avanzo, piegato dal dolore, come se avessi un enorme masso da portare sulla schiena. Sotto i miei piedi il grido d'acciaio delle armature divine di Merak e Dubhe mi fa perdere l'equilibrio. La gravità amplifica esponenzialmente la sua spinta, schiacciandomi al terreno al fianco del cadavere di una giovane ragazza: Vanessa.

Il suo viso immacolato non ha subito l'efferata violenza di un incantesimo, vittima non dei miei poteri, ma della mia cecità davanti a un crimine insensato.

In lei non leggo risentimento, solo tristezza e compassione.

Riserva a me la balugine che brilla nelle sue pupille sbarrate?

Mi contorco come se le viscere bruciassero di nere fiamme, sento le pareti del cielo crollare su di me, schiacciato come un feto nell'utero della Nera signora. Un urlo sfugge alle mie labbra ebbro di dolore, un grido disperato che si perde in un mondo dove nessuno l'udirà.

Meriterei di soffrire per mille anni per ciò che ho fatto a lei, meriterei un secolo di sofferenza per ogni vittima innocente travolta dalla mia sete di vendetta.

Un'ombra sibila distraendo la mia vista, lo scalpiccio di piedi su un terreno fangoso mi riscuote da quel supplizio.

"Padre" cerco di dire, ma dalle labbra non esce alcun suono.

Lo vedo camminare incurante della mia presenza, dirigendosi verso la città nella nebbia.

Con uno sforzo immane mi lancio all' inseguimento, andando a sbattere su una figura statuaria che mi cela la via.

Emmaniel è solido come un gigante di ghiaccio.

Nell'unico occhio che gli è rimasto leggo tutto il suo rancore. Le ali sono ridotte a moncherini, annerite dalle bruciature di un potente incantesimo, il corpo è lacero, martoriato dalle zanne di una bestia, saziata soltanto dall'odio del corpo che l'ospitava.

Nonostante le ferite mortali solleva la sua arma lucente al cielo e cala il suo fendente.

***

Alexandros si svegliò ancora allucinato dalla terribile visione. Strinse le mani sul petto, digrignando i denti per il dolore; il cuore batteva tanto forte da premere contro la cassa toracica. Ci mise qualche minuto a regolarizzarne il ritmo; se non fosse per la giovane età giurò di aver appena avuto un infarto.

Era sudato e veramente provato, come se avesse vissuto l'esperienza di quell'incubo in prima persona.

Strinse la testa tra le mani comprimendo i mille pensieri che rimbalzavano in essa: che cos'era a tormentarlo in quel modo?

Notò, su un piccolo comò di legno grezzo, che il cristallo mnemonicum di suo padre brillava di una sinistra luce azzurra.

"Sei forse tu che cerchi di dirmi qualcosa?" pensò, senza ricevere alcuna replica.

Aveva trovato nella biblioteca della torre un tomo che ne descriveva sommariamente il funzionamento. Il mnemonicum era un congegno in grado di memorizzare i ricordi che il suo possessore voleva fissare in eterno. Fungeva anche da dispositivo di sicurezza: ogni reminescenza poteva essere celata a occhi indiscreti, e soltanto il possessore della pietra sapeva come potervi accedere.

Alexandros era riuscito a visualizzarne soltanto uno, l'ultimo memorizzato: la terribile conclusione della vita della sua famiglia.

Quel ricordo l'aveva visto fin troppo volte, specchiando la sua anima nera in quel massacro, maledicendo quel Dio meschino e impietoso, saziando l'oscuro potere del Quaresh con cibo al sapore di rancore. 

Oltre, non era mai riuscito ad andare.

"Eppure, ogni volta che ho un incubo, tu sei qui al mio fianco."

Era certo che quel gingillo tentasse di comunicare con lui, come se la volontà di suo padre, dall'oltretomba, cercasse un contatto. 

***

SPAZIO AUTORE 

A grande richiesta (di chi?) eccovi la prima parte del quarto capitolo! 

Aggiungiamo un po' di tormento a chi già non ne ha abbastanza e voilà: un bell'incubo, ma di quelli che ti ricordi alla perfezione al tuo risveglio. 

In queste righe ci sono tutti gli errori del nostro protagonista, tutto ciò che pare aver intaccato in profondità la sua anima. Ma c'è anche qualcosa in più: il mnemonicum. Quell'oggetto recuperato da Lothor (e usato sapientemente per portare lo stregone del fuoco dalla propria parte) dalla mano del padre di Alexandros dopo che Emmaniel si era allontanato. 

Forse, tale reliquia magica, ha ancora qualcosa da raccontarci... 

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