Capitolo 1 - REWIND - seconda parte
«Ehi, ragazzo, sveglia!»
Alioth scrollò la spalla di Dass con un energico strattone, con la speranza di farlo rinvenire. Se ne stava adagiato contro una parete, con la testa cascata sul lato destro del corpo e la bocca spalancata, da cui fuoriusciva un rivolo di sangue.
Il cavaliere si tranquillizzò nel vedere contrarsi il diaframma, anche se non riusciva a farlo riprendere dal torpore.
Una fitta lancinante sulla schiena gli rimembrò che la ferita, provocata dalla lama di Dubhe, si era riaperta, a causa dell'impatto avuto da poco contro la parete.
"Con quanti stregoni devo avere ancora a che fare oggi" pensò, maledicendo quello che l'aveva appena mandato gambe all'aria, con i suoi poteri telecinetici. "Come se i vampiri non fossero di per sé, già un problema."
Fece rapidamente mente locale: dopo aver lasciato andare Alteria, lui e Dass avevano respinto, al prezzo di parecchie energie, una grossa ondata di vampiri.
Il ragazzo stregone, in particolare, si era distinto per il coraggio e la determinazione con cui aveva affrontato la situazione.
"Credo sia esausto."
Alioth si grattò la testa, ripensando al singolare scontro a cui aveva assistito. Dass materializzava dal nulla mani e pugni dalle dimensioni colossali, dando loro forma solida. Con tali poteri, aveva stritolato e schiacciato i non morti, che invano avevano tentato di sopraffarli.
Nonostante la connotazione tragicomica che aveva assunto la battaglia, dovette ammettere che gli era stato di grande aiuto.
"Se poi non fosse arrivato quel tizio..."
Neanche il tempo di tirare il fiato che uno stregone, armato di uno strano scettro color avorio, era comparso dal fondo delle scale.
Dass fece giusto in tempo a pronunciare il suo nome prima che il nuovo arrivato, agitando il suo bastone, lo sollevò a mezz'aria e lo scagliò contro il muro. Stessa sorte subì Alioth un istante dopo.
La sua armatura divina lo aveva protetto dal perdere i sensi, tuttavia, ci mise un po' prima di rimettersi in piedi. Era stremato, e decise di non inseguirlo, dando priorità alla salute del ragazzo, a cui doveva parte della sua vita.
Quello che stava succedendo nelle stanze del divino Emmaniel sfuggiva alla sua umana comprensione.
Il suo sesto senso, potenziato dai poteri delle sacre vestigia, si attivò all'improvviso: i pericoli erano ben lontani dall'essere terminati. Raccolse con la mano destra la spada caduta al suo fianco, mentre con la sinistra estrasse la pistola che teneva nella fondina legata alla cintura. Si voltò con uno scatto secco, puntando entrambe le armi in direzione del nemico. Il sudore scaturito dall'agitazione del momento gli annebbiava la vista.
«Chi siete?» domandò, pronto a dar fondo alle ultime energie se fosse stato necessario.
In risposta alla questione ne seguì un'altra.
«Cos'hai fatto al ragazzo?»
"Troppo loquaci per essere dei vampiri"
La mente di Alioth elaborava dettagli che i suoi occhi non erano ancora in grado di fornirgli.
«Calmati, Maximilian, Dass respira ancora» sentì proferire da uno di loro.
«Siete stregoni?» domandò
Tron fu sorpreso dalla reazione del cavaliere. Aveva coperto con un incantesimo di silenzio ogni loro traccia rumorosa, ciononostante non erano riusciti a coglierlo di sorpresa. Lesse in quegli occhi cerulei, provati dalla fatica, lo spirito cavalleresco e la morale che animava le virtù degli uomini scelti per servire la Grande Madre.
Sulla scacchiera del campo di battaglia servivano su schieramenti rivali, ma il primo arcimago era certo che il cavaliere celeste non si sarebbe mai avventato su di loro, se non si fossero dimostrati ostili.
Deciso a evitare un inutile scontro, cercò di mantenere la situazione tranquilla.
«Cavaliere, deponi le armi, non cerchiamo velleità!»
«Chi me lo assicura? Uno di voi mi ha appena attaccato a tradimento.»
Alioth fece un passo di lato cercando di nascondere dietro di sé l'inerme Dass.
«Perché lo proteggi?» domandò Tron stupito «lui è uno di noi.»
«Perché a lui devo la vita. Non ho ancora capito bene quello che sta succedendo, ma so distinguere chi merita il mio aiuto da chi merita di assaggiare il filo della mia spa...»
«Ehi, voi che ci fate qui?»
Una voce squillante, quasi incredula, ruppe la tensione che si era creata in quel momento.
«Dass!» esclamò Maximilian con gli occhi lucidi.
«Sì, è il mio nome. Vedo che te lo ricordi ancora, maestro.»
Il ragazzo volse poi il suo sguardo verso Alioth. «E tu, perché stai lì con le armi alzate? Ci sono forse altri vampiri?»
Il cavaliere rimase interdetto, con un'espressione che non può essere descritta a parole.
«Sei sempre il solito» Selene scosse la testa sconsolata.
Dopo aver tirato tutti un sospiro di sollievo, ci fu un concitato parlottio tra i cinque elementi.
«Ora, la situazione è chiara» concluse Tron «Non c'è da perdere altro tempo.»
«Accompagnerò io Dass fuori dalla cattedrale, avete la mia parola.» Alioth anticipò il pensiero dei presenti, prendendosi in carico quella responsabilità. «So che normalmente vi sarei ostile, ma non ora. Al momento, non so neanche più a cosa credere. L'unica certezza che ho, è che questo ragazzo ha combattuto al mio fianco e a lui devo tutta la mia stima. Una volta fuori dalla cattedrale, sarà libero di andare per la sua strada.»
«Cavaliere, confido nella tuo onore» disse Maximilian incrociandone gli occhi sinceri. Poi trovò parole di consolazione anche per Dass: «Tranquillo, riporteremo a casa Alteria sana e salva.»
***
Alexandros, congelato dai tremendi poteri dell'ex stregone divenuto demone, conosciuto con il nome di Esgarth, giaceva immobile, con Alteria priva di sensi tra le sue braccia. Stava per essere ucciso quando Tron balzò nella stanza con la rapidità di un battito di ciglia, fendendo l'aria con il taglio della propria mano, sprigionando così un raggio luminoso che ferì il mostro un istante prima che potesse nuocere ad Alexandros.
«Tron!» esclamò l'ex secondo arcimago, appena si dissolse la forza dell'incantesimo che lo imprigionava.
Era sì ferito, tuttavia non in modo grave. Tron poté così concentrarsi sulla grande minaccia che incombeva davanti a lui.
«Esgarth, secondo gli inappellabili principi della Torre Scarlatta, vista la tua condizione da schiavo del Quaresh, io ti condanno a morte!» disse con tono solenne.
Nel frattempo Maximilian e Selene corsero a sincerarsi delle condizioni di Alteria.
Il primo arcimago, dopo aver valutato con cura la situazione, decise di allontanarli.
«Porta in salvo Alteria, qua ci pensiamo noi!»
«Grazie amici» rispose commosso Alexandros, allontanandosi verso i piani inferiori.
Era tempo di affrontare una grandissima minaccia, e Tron sapeva bene che avrebbe dovuto dare fondo a tutti i suoi poteri. Lo stregone fuggitivo era sfinito e gli sarebbe stato solo d'impiccio, avrebbero regolato i loro dissidi una volta tornati alla Torre Scarlatta.
«Ma bene» sghignazzò il posseduto dal Quaresh «quindi il mio avversario non è più quell'inetto, ma il primo arcimago in persona.»
Di Esgarth rimaneva ben poco in quell'essere. Il mantello che ne celava il corpo sembrava essersi fuso con la pelle squamata, le braccia erano diventate due lunghi tentacoli, uno dei quali conteneva al suo interno Thondaril, la verga incantata che potenziava i suoi poteri.
«Tron, tu non hai idea di quanto potere sento dentro di me in questo istante.»
L'ex arcimago era completamente imbevuto della sua follia.
«Alla mia presenza, anche le tue capacità sono pari a quelle di un insetto, e come tale, posso schiacciarti in qualsiasi momento.»
Il primo arcimago sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Si morse il labbro, sapeva bene che quelle non era soltanto vuote minacce. Una terribile aura malvagia, nera come lo spazio più profondo, si diffuse a macchia d'olio in tutto l'ambiente circostante e il suo corpo reagiva tremando davanti a tale emanazione.
Esgarth percepì nitidamente il lezzo dell'inquietudine di Tron, ispirandone gli effluvi rinfrancanti per l'anima empia che ne aveva preso il sopravvento.
«Voglio godermi questo momento il più a lungo possibile» disse, guardando oltre il suo principale avversario. «Per prima cosa toglierò di mezzo i topi più piccoli.»
Il rubino posto sulla sommità di Thondaril, ormai ridotto a un ammasso di carne e acciaio, brillò in modo sinistro, accompagnato dall'urlo di dolore di una giovane donna.
«Selene! » gridò Maximilian, nel vedere il corpo della sua compagna a mezz'aria arricciarsi su se stessa, come un foglio di carta che veniva appallottolato.
La stava torcendo come uno straccio, come una pezza umida che necessitava di essere strizzata.
La spalla sinistra fu la prima a cedere, sbalzata in avanti dalla sua sede naturale. Con un suono secco si staccò da essa, scivolando lungo al fianco della giovane, dilaniata dagli spasmi più atroci.
Le grida eccitavano le orecchie puntute del demone: l'ouverture del suo concerto di dolore era solo alle prime note.
Un raggio di luce attraversò la carne del suo corpo, come la lama di un coltello che penetra il burro, togliendoli fiato e concentrazione per un istante. A esso ne seguì un secondo, e poi una moltitudine, fitta come la pioggia di un temporale estivo.
Il ruggito del primo arcimago, signore della luce delle stelle sovrastò ogni cosa.
La sua collera dardeggiò sul corpo deforme del mezzo demone, trapassandolo e mutilandolo con la forza di centinaia di fulgori divine.
Selene venne rilasciata dal tremendo incantesimo che la stava torturando e afferrata da Maximilian, un istante prima di cadere al suolo.
«Come sta?» domandò Tron ansimante per lo sforzo, ricevendo come risposta soltanto dei sommessi mugolii.
Max, trafelato, stava già dando fondo alle sue energie, trasmettendole il calore lenitivo dei suoi incantesimi curativi.
Una pozza di liquido venefico si era formato ai piedi del corpo martoriato di Esgarth bucherellato da decine di fori, grandi quanto quelli di un proiettile. I suoi arti tentacolari giacevano a terra, tranciati di netto dal potente attacco magico subito poco prima.
«Maximilian, prenditi cura di lei e state alla larga. Questo non è il genere d'avversario con cui potete confrontarvi.»
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