Capitolo 5 - CACCIATORI DI OMBRE - prima parte
Alteria si rigirava tra le coperte del suo giaciglio baciata dai primi raggi dell'aurora che facevano capolino tra i listelli di legno delle persiane. Aveva passato una notte travagliata, nelle orecchie aveva ancora l'eco del lungo racconto della sua maestra. Dopo la frugale cena, le due ragazze si erano ritrovate di nuovo insieme e Selene aveva concluso la sua storia interrotta poche ore prima.
***
...All'improvviso ci fu solo silenzio. Era come se la realtà avesse cessato di esistere attorno a me, una coltre di nulla, denso come la pece, permeava i miei sensi. Mi sentivo completamente smarrita, sola, con il fischio del mio respiro e il ritmico battere del mio cuore.
Riuscii a farmi largo tra i corpi che mi seppellivano, dilaniati dalle armi dei soldati. I pochi superstiti vagavano ciondolando come spettri tra i cadaveri, chiamando il nome dei propri amici, dei propri compagni.
Raramente ricevevano risposta.
La città tentacolare era ricoperta dall'odore del sangue: era questo il costo da pagare per una rivoluzione?
Era questo il prezzo per ottenere giustizia sociale?
Non sapevo dare risposta a queste domande.
La mia ragione era condizionata dall'opinione dei due uomini che contavano di più nella mia vita e nessuna delle due prevaleva.
Nella mia mente prese allora strada un'idea alternativa a entrambe. Mi raggiunse rapida, come un raggio di sole in quel pallido cielo dalle tinte fosche.
«Sei pazza!» mi schernì Hans, nell'udire quel che avevo in mente. Giorni dopo, noi sopravvissuti alla rivolta eravamo nuovamente riuniti.
«...La Torre Scarlatta è soltanto una leggenda tramandata da pazzi e ubriaconi.»
Quello che diceva il nostro leader era più che logico, ma un'insistente voce sussurrava al mio orecchio che quella era la via che dovevo seguire. Mi avrebbe permesso di raggiungere il potere necessario per compiere, con queste mie mani, ciò che in migliaia non eravamo riusciti a fare. Come esseri umani eravamo vulnerabili alle armi dei soldati, ma se fossi diventata una strega...
Me ne andai senza voltarmi, tra le risa e le ingiurie di quelli che erano stati miei compagni, i miei amici.
Raggiunsi la torre senza troppa fatica, guidata dall'invisibile filo del destino. I giorni di studio e le intense sedute di allenamento alleviarono i miei pensieri e il dolore per ciò che mi ero lasciata alle spalle, per le persone che avevo perso.
Dopo parecchi mesi, conscia dei miei nuovi poteri, ero pronta a tornare nella mia città.
Avrei tradito le leggi della torre se necessario, usando la magia per i miei scopi personali.
Era mio dovere prendere in mano le redini della rivoluzione.
Dovevo farlo; per i miei compagni morti, per chi ancora in vita lottava per un mondo migliore, per mio fratello e le idee di giustizia che aveva inculcato nella mia testa.
Giunsi in città, in una notte dal cielo terso, dove la luce della luna non riusciva a forzare il blocco delle pesanti nuvole temporalesche che oscuravano il firmamento. Soltanto il bagliore dei lampi rischiarava il desolante spettacolo della città senza vita. Le strade erano deserte, le finestre delle abitazioni sbarrate, l'odore della paura che serpeggiava in quel dedalo di vie era papabile.
Raggiunsi la piazza principale e ciò che vidi mi lasciò senza fiato. Al centro di essa una statua alta almeno tre piani, torreggiava su tutto il circondario: con la sua enorme mole sembrava la rappresentazione di un titano. Costruita da un unico mastodontico blocco di granito antracite, rappresentava un uomo che sollevava la sua spada al cielo in segno di vittoria, calpestando una roccia dove erano intagliati gli stemmi dei casati che governavano la città. Riconobbi subito il volto di quella statua, il volto dell'uomo di cui mi ero invaghita: Hans.
Tonnellate di pietra opprimente mi sovrastavano, osservandomi con il loro cipiglio fiero, facendomi sentire piccola come una formica. Per la Dea, non potevo credere a ciò che stavo vedendo...
«Ehi tu, ferma dove ti trovi! Stai violando il coprifuoco!»
Due soldati, armi alla mano, si avvicinarono intimandomi di non muovermi.
«Chi diavolo sei per vagare in giro a quest'ora? Una prostituta?» chiese il primo.
«No, secondo me è semplicemente una pazza!» gli fece eco il secondo.
Pazza... così mi aveva apostrofato Hans prima di andarmene. Mentre i due militari mi arrestavano, cominciavo ad aver chiaro cos'era accaduto in città durante la mia assenza. Era fin troppo lapalissiana la piega che gli eventi avevano preso, successivamente al mio volontario esilio.
«Portatemi da Hans!» esclamai, suscitando le risa dei due soldati.
«Stupida, il nostro signore non ha tempo da perdere con una svitata come te.»
«Lo troverà il tempo» risposi, ignorando i loro improperi, «lo troverà di sicuro, appena gli avrete riferito il mio nome.»
Mi lasciò a crogiolare in una sudicia prigione per quasi due giorni prima di ricevermi. Ore e ore schiava dei miei pensieri, che non fecero altro che accrescere la mia rabbia.
«Toglietele le catene» disse con un cenno della mano, appena fui condotta al suo cospetto. Sedeva su un trono sfarzoso, agghindato con i paramenti di un nobile, circondato da un paio di ancelle in abiti succinti che si prendevano cura della sua persona. Neanche la precedente amministrazione era giunta a dare un'immagine di tale opulenza e superbia.
«Devo dire che in questa tua assenza sei sbocciata diventando uno splendido fiore.»
I suoi apprezzamenti, più o meno galanti, mal celavano lo sguardo famelico con cui guardava le mie forme. Un mero oggetto per soddisfare i suoi bassi istinti mi considerava.
«Questo è il risultato della nostra rivoluzione?» domandai con disprezzo.
«Risultato? E lo dici con quel tono?» Hans si alzò dal trono, per dare ancora più enfasi a ciò che stava proferendo. «La città è in mano nostra! E se tu non fossi stata così stupida da andartene inseguendo chissà quali leggende, saresti qui al mio fianco a goderti i frutti della nostra conquista!»
«Conquista? Una città che vive nel terrore della tua figura, e tu la chiami conquista? Dove sono finiti gli ideali di democrazia e uguaglianza che tanto professavamo?»
«Democrazia? Quella è roba per gli sciocchi... sciocchi come tuo fratello Simon!»
Furiosa, mi avvicinai a lui a una distanza sufficiente da sputargli in faccia. Hans come risposta cercò di colpirmi con un manrovescio, che fermai facilmente facendomi scudo con un braccio. Subito i suoi soldati armati mi furono addosso punzecchiandomi con la punta delle loro lance.
«I nostri compagni che hanno creduto in questo nuovo ciclo ora hanno tutti una posizione di rilievo in città», Hans parlava con gli occhi colmi di lucida follia, «...soltanto chi credeva alle fandonie che predicava tuo fratello se n'è andato, o è stato...è stato...» l'uomo lasciò il discorso in sospeso, serrando le labbra in un ghigno malvagio.
«È stato cosa?» gli urlai a pochi centimetri dalla faccia, prontamente allontanata dalla solida presa dei soldati.
«Guardie! Mostrategli cosa succede a chi osa opporsi al nuovo padrone di questa città!»
Decisi che era giunto il momento di far vedere, che in quei due anni di assenza, non avevo perso tempo inseguendo soltanto dei meri racconti.
Dopo essermi sbarazzata dei suoi uomini, Hans franò a terra terrorizzato dai miei poteri. Strisciò fino al trono, cercando di riguadagnare un briciolo di quella boria e falsa dignità che fino a pochi istanti prima gli apparteneva.
«A-aspetta Selene, parliamone. Perdonami per il mio comportamento, non pensavo...»
«Cosa non pensavi?»
«Non pensavo, che, beh ecco, ci siamo capiti...» disse, cercando di ricomporsi, «...pensa però a quello che potremo fare insieme con i tuoi poteri, potresti diventare la mia regina e condividere con me il governo della città. In fondo lo so, che ti sono sempre piaciuto.»
Quella specie di proposta suonò alle mie orecchie come l'insulto finale. Girai la schiena e me ne andai senza dire una parola. Quell'essere non meritava neanche che mi sporcassi le mani con uno come lui. E pensare che due anni prima avevo scelto di seguirlo, abbandonando per sempre mio fratello Simon.
Piansi lungo le vie che conducevano fuori dalla città e, guidata inconsciamente dai miei passi, arrivai fino alla campagna nei pressi della mia casa natale. Il sole si stava nascondendo dietro la catena dei monti dell'ovest, silenziosa mi avvicinai a una finestra dell'abitazione. Mio padre, ormai completamente ingrigito dal passare degli anni, buttava un ciocco dentro il camino di pietra, dove un calderone d'ottone fumava, colmo della famosa zuppa di verdure di mia madre. Per un istante la mia intera giovinezza passò davanti ai miei occhi; rividi la me stessa bambina che scorrazzava dietro alle galline, il mio debole fratello che imparava a leggere sotto gli insegnamenti del dottore, il calore del focolare domestico dove ci riunivamo durante le rigide notti invernali. Avrei voluto abbracciare i miei genitori lasciandomi alle spalle tutti gli ultimi miei anni di vita e tornare a vivere quella semplice esistenza.
Ma non ne ebbi il coraggio.
Mi allontanai, abbracciata dal gelo della notte che sorgeva, conscia che la Torre Scarlatta era tutto ciò che mi era rimasto.
***
Alteria vide la sua insegnante con il volto segnato dalle lacrime. Avrebbe voluto trovare le giuste parole per consolarla, ma dalla bocca non uscì nulla. Selene si congedò con un pallido sorriso, quasi per ringraziare l'allieva per la pazienza con cui l'aveva ascoltata. Alteria si avvicinò alla porta d'uscita seguendo con lo sguardo la sua compagna che si allontanava ciondolando per il corridoio.
Avrebbe voluto condividere la sua storia, raccontarle di Alexandros, dell'amore che aveva guidato i suoi passi fino a diventare anch'essa una strega.
Ma sentiva che non era ancora il momento di aprirsi con lei, di rivelare il suo segreto.
Richiuse la porta della sua stanza, mentre Selene andava a curare le ferite dell'anima tra le braccia di chi l'amava.
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