Capitolo I | perdersi per trovarsi
La luna brillava solitaria nel cielo senza stelle, gettando la propria pallida luce sulle fronde degli alberi mosse dal vento. Lenti e delicati sospiri.
Un giovane camminava avvolto dalle braccia della foresta, le sue mani erano vuote e tremati. Forse si era perso, ma poiché lo smarrimento che sentiva dentro lo portava con se ovunque andasse, poco gli importava di aver perduto il sentiero.
Stanco, si sdraiò in compagnia dei propri pensieri accanto al debole fuoco che aveva appena acceso.
Sentiva il petto vuoto, cavo, le palpebre troppo leggere per permettergli di scivolare tra le braccia dei sogni, nonostante la spossatezza fisica.
Sbattendo le ciglia, rivedeva di fronte a se, sullo sfondo scuro del cielo notturno, l'immagine di quell'uomo che moriva.
Il suo viso accartocciarsi come un foglio che brucia, per poi spegnersi, sotto il suo sguardo ammutolito dagli eventi.
Costatò che non parlava con nessuno da quando se ne era andato di casa, neppure quando quei banditi lo avevano attaccato, sperando che avesse con se qualcosa di valore, aveva aperto bocca.
Si era solo difeso, come poteva.
Lo avevano visto come un bersaglio facile: solo, gracilino e troppo giovane per non essere ingenuo.
Però suo padre, malgrado tutto, gli aveva almeno insegnato a battersi adeguatamente fin da quando era bambino, e impugnato il pugnale che aveva nella cintura, aveva agito d'istinto.
Avevano fatto male quei tre ladri a sottovalutarlo, e ad affrontarlo a mani nude.
Avevano fatto male a sbatterlo contro la corteccia di un albero e a ridere di lui come di una facile preda. Dopo qualche istante di stupore e di panico, aveva reagito, e con quel pugnale aveva colpito alla pancia l'uomo che gli stringeva con forza la gola mentre frugava nei suoi pantaloni in cerca di monete.
Il giovane era più forte di quanto credesse, aveva ucciso quel brigante con una facilità che lo terrorizzò.
Non capiva perché gli altri se ne fossero andati dopo quel momento, forse credevano che non valesse la pena rischiare per qualcuno che sembrava non possedere poi molto che potessero rubare. Forse erano solo stupidi o codardi.
Ma loro stavano scappando, potevano scappare, mentre a lui sarebbe sempre rimasto appresso il viso di quell'uomo che moriva sopra la sua lama.
Si era solo difeso, però, infondo, sentiva che era sbagliato.
Lui, e tutto ciò che faceva, erano un'interminabile serie di sbagli. Probabilmente avrebbe dovuto starsene fermo e buono, lasciarsi pestare fino a che non gli avessero strappato fino all'ultima fibbia d'oro che aveva nei vestiti.
In quel momento fermo davanti al fuoco, avrebbe avuto l'orgoglio ferito ma la coscienza pulita.
Invece, senza volerlo davvero, aveva strappato via a quell'uomo la vita e il tempo.
Mentre una fugace lacrima scendeva lungo la sua guancia, il cielo si rifletteva nei suoi occhi spalancati.
Aveva paura di dormire e di sognare quel viso, e la propria mano insanguinata che con tanta frustrazione aveva ripulito nell'acqua di un ruscello.
Ma presto, nel silenzio, una voce lontana sembrò fendere l'aria. Il ragazzo si alzò a sedere guardando un punto indefinito nel fitto della foresta mentre tendeva le orecchie. Avrebbe potuto scambiare quel suono per il fischio del vento se non fosse stato tanto desideroso di sentire qualcosa al di fuori dei suoi pensieri, tanto pronto ad accogliere quel suono melodioso.
Sorrise pensando che da una cosa così semplice come udire qualcuno che canta, potesse trarre tanto sollievo.
Rimase in ascolto per un po', beandosi delle parole indistinte che riusciva a captare. Chiedendosi chi mai potesse cantare nel cuore di una foresta.
Man mano che la sua curiosità cresceva, si rese conto di non potersi accontentare...
Desiderava scoprire la fonte di quel suono melodioso, perché era arrivato a lui proprio quando ne aveva un così disperato bisogno. Prima che potesse anche solo pensare di voler chiedere aiuto, quella voce lo aveva trovato, e in qualche inspiegabile e incredibile maniera gli stava venendo in soccorso, fermando i tremiti delle sue mani e calmando i suoi pensieri nauseabondi.
Spense il fuocherello e si incamminò nuovamente, sperando con tutto se stesso che chiunque stesse cantando in quel momento non smettesse di farlo.
Nel cielo, si erano formati grossi nuvoloni bianchi che lenti solcavano lo spazio sopra la sua testa.
Dopo qualche tentativo sbagliato, riuscì a capire la direzione giusta da prendere, e la voce divenne pian piano sempre più nitida.
Convenne con se stesso che doveva trattarsi di un ragazzo, e le sue parole presero forma una ad una.
Era un componimento su un'antica leggenda che parlava di gloria, guerra, e di un'amore perduto.
Però, sulle labbra di quel misterioso giovane che lo stava guidando a se, le parole non sembravano affatto tristi.
Il ragazzo aveva da tempo dimenticato la sua stanchezza, era frenetico e quasi euforico mentre percorreva a grandi falcate lo stuolo di foglie, muschio e funghi dai bizzarri cappelli.
La voce divenne più forte, e presto il fitto fogliame lasciò il posto ad una piccola radura ai piedi di un monte.
Al centro di essa troneggiava un'altissima torre che nel buio della sera appariva come una calamità; in netto contrasto con la voce incantevole che da lì proveniva.
Furtivo, si diresse alla base della struttura, che in cima si articolava attorno ad una vasta finestra. Era spalancata, e la luce che fuoriusciva da essa riscaldava la notte.
Lassù, in quella torre, si trovava chi stava suonando in quella fredda sera in cui il giovane si era sentito più solo che mai, lassù c'era chi stava cantando per lui, senza neppure saperlo.
Pensieroso, il ragazzo appoggiò la schiena alle pietre della torre che gravava su di lui.
Pensava e ripensava, con un broncio testardo stampato sul viso, a quanto si potesse essere stupidi per decidere di fare ciò che gli balenava nella mente in quel momento.
Per un istante desistette, dando retta a quel briciolo di assennatezza che avrebbe dovuto tenersi stretta.
Ma la voce era ancora lì che lo chiamava, e lui era ad un passo dal raggiungerla.
Perciò, dopo aver sbattuto la fronte contro la pietra con più energia del dovuto, prese il coraggio a due mani e iniziò l'ardua scalata.
Pensava ai ragni che aveva visto negli angoli delle cantine mentre si arrampicava incespicando lungo la parete fin troppo liscia. Non era mai stato particolarmente bravo in queste cose, ma la tenacia non gli mancava di certo, e ignorò il dolore che sentiva nei palmi delle sue mani o la forza con cui il suolo voleva attirarlo a sé rendendo le sue membra pesanti come piombo.
Quando con un verso strozzato raggiunse la finestra, al termine di quella che sembrava una scalata infinita, che nessuno sano di mente o con qualcosa da perdere avrebbe intrapreso, perse l'appoggio che aveva sulle gambe a causa della forma sporgente della cima.
Aggrappato con le braccia al davanzale, sospeso, o per meglio dire, appeso sopra il vuoto, non osava certo guardare di sotto, si concentrò piuttosto sul cercare con lo sguardo il ragazzo che stava ancora cantando con quella sua voce dolce e densa come miele.
Nella stanza, un'intricata ragnatela di fili dorati serpeggiava sul tappeto rosso che sormontava il pavimento circolare.
Seguendoli, il suo sguardo si posò su una figura sdraiata su un'ampio canapè. Gli abiti semplici ed eleganti tesi da muscoli immobili nella loro lasciva posizione, la lira poggiata pigramente sullo stomaco che al ritmo del respiro e del suo canto si alzava e abbassava, le mani aggraziate e rapide, il viso di un angelo, e lunghi, lunghissimi capelli biondi ad incorniciare la sua figura e l'intera stanza fino a perdersi.
Non aveva mai visto nulla di simile.
Il ragazzo aggrappato alla finestra stette per perdere la presa, scosso da innumerevoli moti interiori che neppure tentava di comprendere.
Le dita affusolate del giovane uomo dai lunghi capelli si immobilizzarono tra le corde tese della lira, mentre schiudendo le labbra, con gli occhi spalancati fissava l'intruso.
Stupito, ma perfettamente composto.
L'altro sussultò.
Sentendosi improvvisamente tremendamente colpevole, le sue mani vacillarono e con un'espressione di panico stampata in volto perse la presa da una di esse.
La voce gli morì nel petto.
Coerentemente a qualunque legge della fisica le poche dita strette dolorosamente alle pietre del davanzale non ressero il suo peso più di qualche secondo.
Mentre sentiva la forza del vuoto attirarlo a se e lo stomaco saltare contro i suoi polmoni, il cuore gridare di paura, perché aveva ormai perso ogni appiglio su quella maledetta torre, un paio di mano sorprendentemente forti si strinsero attorno al suo polso contrapponendosi al corso del suo destino.
I due si guardarono sotto la luce lunare, sospesi nel tempo e nel vento.
Il ragazzo perse ogni contatto con la realtà per qualche istante, mentre veniva sollevato con un'incredibile agilità, e il suolo tornava sotto il suo corpo.
In ginocchio, ad occhi spalancati fissava il pavimento della torre.
<<Chi sei?>> chiese il suo salvatore guardandolo dall'alto. Un misto di preoccupazione e la sincerità di un bambino curioso nella sua voce.
Lui respirò affondo, deglutì, e poi si alzò in piedi.
Guardando il biondo faccia a faccia, gli morì ogni spiegazione in gola.
<<Io...>>
Come trovare delle parole adatte per rivolgersi ad una creatura così incantevole come quella che si stagliava di fronte a lui in quel momento?
L'altro indietreggiò e lo squadrò da capo a piedi alzando un sopracciglio<<Come hai fatto a salire fin quassù?>>proseguì impressionato.
<<Mi sono impegnato>> era la semplice verità.
<<Sei sorprendente>>
<<Io?>>
Il biondo annuì solennemente <<si>>
Era sconcertato, ma non capiva se la sua espressione da pesce lesso fosse più dovuta alla natura palesemente non umana del suo interlocutore, o al fatto che potesse ritenere "sorprendente" uno sconosciuto incapace che si era intrufolato in casa sua.
<<Tu piuttosto...come hai fatto a prendermi prima che cadessi? Eri infondo alla stanza solo pochi secondi prima, è- è impossibile...>>
<<Sono veloce>>
<<Veloce...>> ripetè disorientato passandosi una mano fra i ricci castani.
Tutto ciò che stava accadendo quella sera era del tutto inverosimile, doveva star sognando, doveva essere ancora davanti a quel fuoco che aveva acceso nella foresta, e stava sognando tutto quanto.
<<Hai gli occhi lucidi?>> domandò il ragazzo dai bizzarri capelli.
<<Forse perché stavo per morire>>
Per qualche strano motivo, entrambi risero piano.
<<Ma perché sei qui?>>
<<Ti ho sentito cantare>> ammise scuotendo le spalle imbarazzato.
<<Lo faccio spesso...e allora?>>
<<Non so...>>
Calò il silenzio nella stanza illuminata dalla luce calda delle lampade ad olio. I capelli di quel ragazzo così singolare sembravano brillare di luce propria, mentre i suoi occhi verdi interrogavano il viso dell'altro.
<<Io...non sapevo dove stavo andando, da giorni ormai mi ero perso, che dico, probabilmente fin da quando sono partito non ho mai saputo dove ero diretto>>
L'altro rimase in silenzio, guardandolo con un interesse a cui il castano non era abituato.
<<Ma quando ho sentito la tua voce ho finalmente trovato qualcosa che mi interessasse seguire>> continuò con una nuova determinazione negli occhi <<ecco perché sono salito, ha senso per te?>>
Non lo aveva neppure per lui stesso, come poteva essere capito?
<<Credo di si>> rispose invece lui.
I suoi oocchi verdi brillarono di una maliziosa intraprendenza.
<<Il mio nome è Achille>> disse sorridendo.
<<Patroclo>>
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