•Prologo•
Inghilterra, 1607
Sebastian Crawford si appoggiò al parapetto e incrociò le braccia. Il vento forte gonfiava le vele, investendo anche il suo viso; inspirò l'aria salmastra, beandosi del conforto di quel clima, un clima che gli apparteneva ormai da otto anni. Quando era diventato capitano, a ventun anni, non si era certo aspettato che il mare sarebbe diventato la sua unica ragione di vita. Gli piaceva, quella vita: l'aria salmastra, il vento sul viso, il rollio della nave. Gli piaceva essere tanto razionale e intraprendente al tempo stesso. Gli piaceva la compagnia dei suoi uomini, con i quali aveva stretto un rapporto di estrema fratellanza. Eppure sentiva, dentro di sé, che Sebastian Crawford non era ancora completo. Gli mancava qualcosa, anche se non sapeva di preciso cosa.
Greyson, il mozzo che aveva appena finito di lavare il ponte, gli si avvicinò. Basso, tarchiato e dal collo taurino, era un uomo buono sulla quarantina che era stato costretto a fare la vita di mare per non morire di fame. Sebastian lo aveva accolto cinque anni prima e da allora era pressappoco il suo amico più stretto.
«C'è un bel vento, capitano» disse, passandosi una mano grassoccia sul volto paffuto. I capelli erano lunghi, crespi e sporchi, all'apparenza molto unti, al contrario di quelli del capitano che erano invece sempre in ordine perfetto. L'equipaggio considerava i suoi capelli scuri e annodati dietro il collo come un esempio da seguire, ma nessuno aveva mai provato ad eguagliarli.
«Sì» accondiscese lui guardando fisso l'acqua scura sotto di loro. Una volta qualcuno aveva paragonato il grigio dei suoi occhi, impreziosito da alcune pagliuzze blu zaffiro, alla cupa tonalità del mare. Lui aveva pensato che sì, l'acqua gli assomigliava, ma solo per il messaggio triste che il colore mandava increspando le onde a volte calme, altre irruente.
«Tempo perfetto, direi. Manca poco all'attracco.»
«Sissignore.»
«Vai a darti una sistemata, G. Non puoi presentarti a Londra conciato in quel modo.»
Più che un ordine era un consiglio da parte di un amico, e Greyson lo sapeva. Chinando il capo, si infilò le dita nella cintura stinta e si avviò verso l'ingresso che conduceva alle cabine dei piani inferiori.
«Capitano» lo chiamò prima di scendere.
Sebastian si voltò, il vento sottile che gli fece svolazzare leggermente la camicia bianca.
«Sì, Greyson?»
«Non disperate. La ritroverete, ne sono certo.»
«È morta, Greyson» tagliò corto il capitano, girandosi di scatto per non dover sopportare oltre la compassione di quel volto.
Kalya se n'era andata da troppo tempo, da troppi anni, per poter essere ancora viva. Sebastian lo sapeva. Non aveva mai rinunciato a cercarla, perché sua sorella glielo aveva fatto promettere quella notte di dieci anni prima, quando l'uomo mascherato l'aveva portata via sotto la tempesta. Lui aveva corso, aveva corso fino a perdere il fiato, sotto la pioggia battente, a piedi nudi, incurante dei piccolissimi sassi scheggiati che gli si erano conficcati nella pelle. Aveva gridato il suo nome fino a che la gola non gli aveva fatto male, ma l'uomo mascherato non gli aveva riportato indietro sua sorella. Da allora Sebastian Crawford aveva scelto di chiudere il suo cuore in un cassetto. Dopo aver lasciato la casa paterna, aveva scelto la vita di mare, lontano dal mondo civile. Si era dedicato anima e corpo alla sua nave, dapprima come semplice mozzo, costretto a subire le ingiustizie più spiacevoli, e poi come capitano. Non aveva mai smesso di sperare, nonostante sapesse perfettamente che la sua speranza era fasulla.
Kalya era viva sì, ma solo in una profonda parte del suo cuore. Nella realtà, ed era una realtà ben più cruda, era morta. E lui lo sapeva.
Presto sarebbero giunti a Londra, la sua terra natale, e il ricordo di Kalya sarebbe stato ancora più vivido, ma Sebastian aveva deciso che, per un breve periodo, aveva bisogno di riposarsi, di allontanarsi dal mare. E lo avrebbe fatto, almeno fino a quando le cicatrici non fossero guarite. Non sapeva se sarebbe mai successo, ma tentare era sempre meglio di niente. Non sarebbe rimasto con le mani in mano, aspettando che il futuro sanasse le sue ferite. No, doveva agire da solo. E ci sarebbe riuscito.
Sebastian Crawford non mollava mai.
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