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8. Condividere un dolore (seconda parte)

Claire era rimasta in silenzio, turbata, ad ascoltare le sue parole. Dunque anche Sebastian Crawford aveva perduto sua sorella, forse nello stesso identico modo in cui lei stava per perdere Suzanne. No, non poteva credere che fosse così. Suzanne era viva e lo sarebbe rimasta per molto tempo ancora, avrebbe raggiunto la vecchiaia e se ne sarebbe andata in un letto caldo e al sicuro dai mali del mondo quando tanti anni fossero trascorsi da quel giorno in avanti. Non sarebbe avvenuto presto. Suzanne era forte, continuava a ripetersi, e lei era certa che lo fosse. Fu costretta ad ammettere, comunque, che Sebastian aveva ragione: senza di lui, non sarebbe riuscita a raggiungerla in tempo e riconoscerlo le fece formare un nodo in gola. Non le piaceva l'irritazione sul volto del capitano, perché probabilmente rifletteva la propria e non l'aveva mai sopportata nemmeno su se stessa. Si costrinse a deglutire e distolse lo sguardo. – Perdonatemi, io non ne avevo idea. -

-Non avete nulla di cui scusarvi – replicò lui in un filo di voce. All'improvviso sembrava che non ci fosse alcuna traccia di divertimento nel suo tono, non era più intenzionato a ridere di lei e Claire desiderò stupidamente che lo facesse. Quantomeno non sarebbe stata obbligata ad accorgersi della sofferenza sul suo volto. Erano trascorsi dieci anni, ma il dolore per la perdita della sorella doveva essere ancora molto vivo dentro di lui. Il suo tormento era tangibile. Avrebbe potuto sfiorarlo se solo avesse allungato una mano... che pensiero sciocco, si rimproverò subito incontrando di nuovo il suo sguardo. Guardandolo, Claire si sentì in dovere di scusarsi ancora. – Sì, invece. Non avrei dovuto essere tanto impertinente. Ecco, io... le avrei accettate, le vostre scuse se me le aveste fatte – aggiunse timidamente. – Ho ricevuto una buona educazione, vedete. Mia madre, lei... era convinta che non avessi bisogno d'altro nella vita, se non della mia educazione. Diceva che una signorina educata, che sia educata sinceramente, vale molto di più di una che viene costretta alla gentilezza anche quando non è la sua vera natura.

Sebastian annuì. – Vostra madre aveva ragione, miss Sanders – concordò. – E posso assicurarvi che voi siete ben educata, come nessun'altra donna che abbia mai conosciuto. Anche se tentate di celare la vostra gentilezza sotto una maschera di severità che non vi si addice proprio per niente.

Abbozzò un sorriso. Senza rendersene conto, l'emicrania era passata. Claire non sapeva se essere lieta del complimento che le aveva fatto o fingere che non lo avesse compreso, così si limitò a chinare il capo, ma non sorrise. Non ci sarebbe riuscita per quella sera, perché al pensiero di Suzanne in pericolo si era unito il ricordo di sua madre e rammentò amaramente che anche lei non c'era più.

– Scusate, io... io dovrei ritirarmi, capitano – mormorò. – Mi sono già fatta preparare una stanza. Sebastian la fermò, afferrandole un polso mentre lei si alzava. – Aspettate, non avete intenzione di mangiare?

  Claire scosse la testa in segno di diniego, stranamente non turbata dal contatto delle loro pelli. – No, vi ringrazio. Ho perso l'appetito, purtroppo.

 Poi si congedò educatamente. – A domani, capitano.

- A domani, miss Sanders – rispose Sebastian, guardandola imboccare le scale che conducevano alle stanze dei piani superiori. Poi rivolse per caso un'occhiata all'oste che, dopo aver seguito la direzione del suo sguardo, incontrò i suoi occhi. – E' di quelle buone, Crawford – disse e poi continuò ad asciugare i bicchieri dietro al suo bancone, lasciando Sebastian ad osservare rapito il punto in cui Claire era sparita.

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