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8. Condividere un dolore (prima parte)


Sebastian si sentiva la bocca impastata e la lingua come incollata al palato. Ritornò in sé lentamente, a rallentatore. Cercò di alzarsi dal letto ma, con un gemito, fu costretto a ridistendersi; aveva un mal di testa atroce. Una sequenza di immagini e ricordi, all'improvviso, gli attraversò la mente. Kayla che veniva rapita, lui che correva sotto la pioggia, le sue urla, il suo imbarco in marina, il grado di capitano, Greyson che gli mostrava i primi accenni di amicizia, la donna che era corsa a chiedergli aiuto per la propria sorella. La donna, già. Quella a cui aveva proposto di andare a letto insieme. Che razza di idea gli era saltata in mente! Si vedeva lontano un miglio che quella miss Sanders non era una donna di facili costumi, tutt'altro; ricordava di aver scorto un sincero turbamento quando Sebastian l'aveva messa di fronte a quella proposta peccaminosa. E poi ricordò anche il motivo che lo aveva spinto ad aiutarla, la ragione per cui non avrebbe più rinunciato al mare: aveva nominato una sorella rapita. Lui stesso aveva perso una sorella in quelle circostanze, e non l'aveva più riavuta indietro. Sorprendendosi di se stesso, desiderò che Claire Sanders ritrovasse sua sorella perché quando l'aveva vista sorridere – un piccolo sorriso quasi effimero, che però c'era stato – aveva pensato che quell'espressione fosse perfetta per le sue labbra, che conferisse al suo viso un cipiglio angelico. Avrebbe voluto rivedere quel sorriso, decise, e più di una volta. Riaprì gli occhi e il dolore gli trafisse la testa più forte di prima, facendogli digrignare i denti. Non avrebbe bevuto un'altra goccia d'alcol nemmeno sotto tortura. Se non fosse riuscito a riprendersi, avrebbe mancato all'appuntamento con miss Sanders, rifletté... eppure non poteva presentarsi da lei in quelle condizioni. Così sperò che, se la sua tormentosa emicrania non si fosse attenuata, Claire lo avrebbe compreso. Era quasi certo che lo avrebbe fatto, nonostante non la conoscesse; possedeva il tipico sguardo di chi sa ascoltare e ha bisogno di essere ascoltato, e perciò non avrebbe criticato qualcuno solo perché non si sentiva in grado di reggersi in piedi. Eppure, Sebastian doveva soddisfare i propri bisogni e in quel momento la cosa di cui aveva più necessità era un po' d'acqua. Perciò si sforzò di alzarsi dal letto e barcollò fino alla porta, prima di riuscire ad aprirla e di caracollare lungo le scale. Si appoggiò al bancone e attese che l'oste ritornasse, così gli domandò una tazza di acqua che l'altro, dopo un attimo di perplessità, gli rese. Sebastian bevve con avidità, quasi fosse rimasto sopito nel deserto per anni e anni. L'oste gli strappò di mano la tazza e poi gli indicò lo stesso tavolo da cui si era congedato qualche ora prima, quando era dovuto salire nella sua stanza per cercare un po' di riposo. Sebastian scrutò nella direzione che l'uomo grasso gli stava indicando.

    - Direi che siete anche fortunato, oltre che dannatamente ubriaco – dichiarò l'oste con un accenno di invidia nel tono di voce. – Quella donna non si è allontanata un attimo dal vostro tavolo, capitano Crawford. Ha detto che vi avrebbe aspettato fino a quando non vi foste ripreso, e che lo avrebbe fatto anche se ci fosse voluta una giornata intera. Sebastian aggrottò la fronte, perplesso. Pian piano riconobbe gli abiti di miss Sanders, un esemplare scialbo di mussolina color polvere e il mantello di un colore appena più scuro e, nell'udire le parole dell'oste, non poté fare a meno di domandarsi che razza di donna si sarebbe comportata nello stesso modo, al posto suo. Nessuna avrebbe scelto di aspettare uno sconosciuto in un posto che considerava al pari di un tugurio puzzolente, eppure miss Sanders lo aveva fatto e questo conduceva a un'unica soluzione: doveva essere davvero disperata per il rapimento di sua sorella. Sebastian strinse i pugni mentre la sua emicrania cominciava lentamente ad attenuarsi.

– Sì, grazie – disse all'oste, senza guardarlo. Poi raggiunse a passi incerti il tavolo nell'angolo e rivolse un sorriso alla donna. Lei parve illuminarsi non appena lo vide.

– Capitano Crawford, sono felice che vi siate ripreso. - Oh, in realtà io... - Ma per qualche misteriosa ragione, Sebastian non le rivelò che si sentiva più di qua che di là perché gli fu sufficiente scorgere di nuovo quell'accenno di sorriso sulle sue labbra per dimenticare il resto. Diavolo, cosa gli stava succedendo? Miss Sanders non era nemmeno così bella, era solo... affascinante, con i suoi occhi grandi, le labbra piene e il nasino all'insù. Eppure aveva il potere di incendiargli il sangue nelle vene solo guardandolo. Doveva essere proprio uscito di senno, considerò sedendosi di fronte a lei. – Ebbene, sì, mi sono ripreso – farfugliò, incrociando le braccia sul petto. – E avete anche saltato il pranzo – gli fece notare Claire, che era subito tornata alla solita espressione seria. Il capitano inarcò un sopracciglio. Non poteva essere. Era appena mezzogiorno, no? – Non importa, capitano – si affrettò a tranquillizzarlo lei, accorgendosi del suo stato di smarrimento. – E' naturale che abbiate perso la cognizione del tempo, dato quanto avete bevuto. Anzi, sono perfino stupita che vi siate ripreso così in fretta. Comunque sia, per me non è stato un problema; avevo detto che vi avrei aspettato e così ho fatto, ma dal momento che è quasi ora di cena mi piacerebbe parlare un po'. – Fece una pausa, schiarendosi la gola.

– Per conoscerci meglio, intendo. Così non saremo più due sconosciuti.

 Sebastian la osservò in silenzio, rendendosi conto che qualcosa, in Claire Sanders, lo rendeva estremamente a disagio. Risvegliava in lui una sensazione che non aveva mai provato e che stava dilagando lentamente al centro del suo petto, e arrivava più su, contribuendo a fargli dolere la testa. Era il modo in cui parlava, forse, quello di una donna decisa e testarda, una donna fuori dall'ordinario. O forse era a causa dei suoi occhi verdi che sembravano volerlo trafiggere ogni qualvolta si posavano su di lui, anche quando cercava di essere gentile come le donne della sua condizione sociale. C'era qualcosa, in Claire Sanders, di insolito. Come una fiammella che, se alimentata, avrebbe avuto il potere di creare un incendio. E di questo Sebastian era più che sicuro. - Non avevo idea si fosse fatto così tardi, miss Sanders – si scusò chinando appena il capo e ignorando la fitta di dolore che si propagò sulla sua nuca. – Ora vorrei sapere di più sul vostro conto, se non vi dispiace. So che vostra sorella è stata rapita e che è questa la ragione per cui siete qui, ma immagino che la vostra storia sia più articolata di così, non è vero?

  Lei lo squadrò determinata, e Sebastian notò una ruga formarsi tra le sue sopracciglia. – Sono nata venti anni fa a Kirkthon Castle, il nome del castello di mio padre. Inghilterra occidentale, nel caso ve lo steste domandando. Mio padre era un soldato, mia madre una contessa. Di lei non so molto altro, capitano, se non che era figlia unica e aveva un rapporto complicato con mio nonno. Mia madre è morta, la peste se l'è portata via due anni fa e da allora c'è solo il vuoto in casa mia. Ho una sorella, Suzanne, che si è sempre presa cura di me ed è questa la ragione che mi rende tanto disperata da essere arrivata fin quaggiù: il pensiero di perderla mi terrorizza, capite? So che non potrei continuare a vivere senza di lei, perché lei è la mia metà. Quella parte del cuore che morirebbe se scoprisse che Suzanne non c'è più. – Claire respirava affannosamente ora, le gote si erano arrossate e la voce le tremava. – Se mia sorella morisse, una parte di me se ne andrebbe insieme a lei. Mio padre non lo capisce, mi ha proibito di intromettermi nella questione ma, vedete, io non riesco a starmene ferma mentre quei delinquenti tengono in pugno Suzanne. Il solo pensiero che potrebbero già averle fatto qualcosa mi terrorizza, mi rende... nervosa e suscettibile, e voi, con quei vostri occhi grigi, mi rendete ancora più nervosa.

       A quelle ultime parole, l'emicrania di Sebastian sembrò placarsi in un sol colpo. Dunque era anche a causa sua che miss Sanders sembrava sempre così seria, e che aveva sempre quelle sue belle labbra contratte? Si sporse verso di lei che aveva tolto il mantello, e che ora metteva inconsapevolmente in mostra le protuberanze dei suoi seni che si sollevavano rapidi a causa del respiro affrettato. Non aveva notato l'assenza del mantello in un primo momento, forse era stato troppo oppresso dall'alcol per rendersene conto, ma adesso che si trovava davanti quella pelle rosea qualcosa si risvegliò inevitabilmente dentro di lui. O, per meglio dire, nei suoi pantaloni. Decise che doveva fare qualcosa perché lei non se ne accorgesse, anche se avrebbe scommesso tutta la sua fortuna che Claire Sanders non avesse la minima idea dell'effetto che una bella donna poteva avere sugli uomini. In particolare sugli uomini sbagliati, uomini come lui. - Dunque state affermando che sono i miei occhi la causa della vostra continua serietà? -

-La causa della mia serietà, come la definite voi, capitano, è il rapimento di Suzanne – replicò Claire, irritata. – I vostri dannati occhi sono solo uno dei tanti pezzi del gioco. Perciò vi chiederei di smetterla, per favore. 

 Sebastian si accigliò. Quella donna era davvero strana. – Dovrei smettere di fare cosa, per l'esattezza?

    Claire lo scrutò e ribatté, fissandolo sotto le ciglia folte e scure: - Di fissarmi in quel modo. E' davvero irritante, sapete?

Quell'ammissione strappò un sorriso a Sebastian. Dio, ma si rendeva conto di essere talmente innocente o era solo la parte di un copione che stava recitando? Vederlo ridere parve farla infuriare. – Come vi permettete di ridere di me? – sbottò, serrando le labbra. Sebastian guardò quel viso contratto e desiderò ardentemente rimangiarsi la propria risata. Gli occhi di Claire erano lucidi e l'idea che quella donna fosse sul punto di piangere per causa sua gli procurò un certo fastidio. La conosceva da nemmeno ventiquattro ore e aveva già avuto la capacità di fargli mettere in discussione tutto se stesso. Fu sul punto di dirle qualcosa per confortarla, ma lei lo precedette. – E va bene, ridete pure di me, capitano Crawford. Io però vi ho parlato della mia vita, ora tocca a voi. E no, non mi interessano le vostre scuse – aggiunse quando lui aprì la bocca e chinò il capo. -Ebbene, - disse Sebastian dopo un po', più risoluto. – Io sono nato ventotto anni fa a Brighton, Inghilterra meridionale, nel caso ve lo steste domandando. Anch'io avevo una sorella e anche lei è stata rapita, dieci anni fa, e suppongo ora sia morta. Perciò, sapete, miss Sanders, so perfettamente come vi sentite in questo momento e vi dico che la cosa migliore è non perdere la calma e la fiducia, soprattutto. E voi potete ritenermi snervante e irritante, ma io sono il solo mezzo che possedete per raggiungere l'Irlanda e riavere indietro vostra sorella, perciò dovrete farci l'abitudine.

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