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L'astrolabio

Il vascello getta l'ancora al largo di alcune isole e su una di esse vi è Stoccolma, la nostra meta.
Ammiro un paesaggio davvero unico, il mio sguardo spazia fino all'orizzonte e non vi è altro che il freddo bianco e il gelo che infonde nel mio animo la sensazione di etereo e di infinito.
Siamo in viaggio verso Nord da settimane, prima a cavallo e poi siamo salpati verso questo territorio abitato dagli dei e dalle streghe del Nord.
«Eileen,» mi distrae Orion dai miei pensieri, «fra poco caleranno la scialuppa in mare.»
«Sei ancora sicuro che seguirmi in questa folle impresa sia stata una saggia decisione?»
Non gli ho detto ancora quanto gli sia grata che abbia chiesto al consiglio di seguirmi e aiutarmi nella ricerca dell'astrolabio.
«Ero stanco di fare l'oste e il guardiano di porta a tempo perso.» Si batte il petto e la pelliccia attutisce il rumore della leggera armatura che indossa.
Gli sorrido e passo la mano sulla mia armatura argentea, al centro vi è una Fenice in rilievo e dove dovrebbe esserci l'occhio vi è uno zaffiro.
«Ritieni sempre necessario che indossi questa scomoda armatura?»
«La trovi scomoda perché la tua parte di civetta si ribella, ma devi essere forte,» mi appoggia la mano sulla spalla, «vado a vedere se sono pronti.»
Torno a guardare l'orizzonte, è così diverso dal luogo da cui provengo, essere civetta ha cambiato le mie prospettive degli spazi.
Ancora in me vibra la sensazione del primo volo, la trasformazione era stata violenta e odiavo quel momento e odio ogni volta che il mio corpo è costretto a subire il dolore.
C'è, però, un momento che ho imparato ad amare, quando mi libro nell'aria e sono  tutt'uno con la notte. Infinito. Divento io stessa libertà e non esistono regole e constrinzioni, il suono delle ali che frusciano e il vento che mi accarezza. Ricoprire lunghe distanze e vedere ogni minimo particolare della natura, sentirne ogni profumo.
La civetta però è anche dolore, mi ricorda la violenza con cui mi hanno strappato alla mia vita, al mio regno… a Dylan.
Il sole avanza veloce all'orizzonte che già veste i colori della notte, la prima stella è già visibile.
Con passo deciso vado nella mia cabina. In questi momenti sono sempre presa da una strana frenesia, mista a paura e fretta che tutto fosse pronto. Anche se non mi sarei trasformata grazie alla magia dell'armatura, ne sento comunque gli effetti, respiro a fondo per cercare di trovare la calma. Chiudo a chiave la porta, mi tolgo l'anello e lo infilo nella collana. Accendo le candele e il loro bagliore si diffonde nella piccola stanza, dall'anello fuoriesce una nebbiolina che si materializza in Dylan.
Per un momento ci guardiamo, ancora non possiamo credere che la congrega ci abbia restituito in parte la nostra vita.
Lui mi accarezza il viso e scende piano lungo il collo e un brivido mi scuote il petto; con l'altra mano indugia sul fianco e il suo sorriso si incrina.
Mi spinge contro il suo petto e mi bacia piano il collo e mi dice in un soffio.
«Per quanto ringrazi gli stregoni, non li perdonerò tanto presto di averti ingabbiata in questa armatura impedendoci ogni tipo di intimità.»
Gli accarezzo il volto ispido della prima barba e lo bacio assaporando le sue labbra.
Dylan poggia la sua fronte sulla mia e ritorno alle parole della congrega.

Eravamo davanti ai cinque stregoni della congrega più antica che uomo o donna ricordasse. Stringevo la sua mano, il suo calore mi riscaldava, invece la mia mano era gelida e il mio cuore aveva rallentato i battiti.
Ci guardarono con i loro occhi argentei, e la sensazione che ogni mio ricordo, ogni mio pensiero fosse diventato parte della loro conoscenza divenne una realtà quando con una sola voce parlarono.
«Eileen della Fenice Blu e Dylan della Fenice Rossa, siete qui per essere liberati dalla maledizione della strega Ragnhild… ma tutto ha un prezzo.»
«Vogliamo riportare la pace nelle nostre terre, siamo disposti a tutto,» si fece avanti Dylan.
«Eppure,» risposero, «fino a qualche giorno fa volevi rinunciare e vivere i tuoi giorni nella vostra ingiusta condanna.»
Dylan mi guardò e mi strinse forte la mano per rassicurarla.
«Ti chiedo perdono,» poi alla congrega, «ero stanco ed avvilito, ma il coraggio e la determinazione di Eileen mi hanno fatto capire. Siamo disposti a tutto.»
I cinque stregoni si alzarono e puntarono i loro antichi bastoni nello stesso punto e si aprì uno squarcio e vedemmo delle isole tutte vicine, il cielo era di un azzurro terso e il mare si infrangeva sulle alte coste. Percorremmo il mare e la terra e ancora il mare, su uno sperone di roccia vedemmo la torre del faro.
«Quando non v'è né notte né giorno, Atir musica il tempo e lo spazio. L'astrolabio dovrete farvi donare, senza inganno né violenza.»
Scese il silenzio e lo squarcio si richiuse. Per un momento ci fu silenzio, poi chiesi:
«Come arrivaremo alla torre? E dopo che avremo ottenuto l'astrolabio?»
«È nostro interesse che l'equilibrio sia ristabilito e che tutto torni come era altrimenti non ci sarà pace per quello che sarà.»
Lo stregone custode dell'acqua puntò il bastone parlando l'antica lingua.
Per un attimo ebbi paura e feci un passo indietro, ma fu inutile, tirai il fiato come se avessi dovuto andare in apnea. L'acqua che avvolse tutto il mio corpo era fredda e poi si concentrò sul mio busto diventando l'armatura con la Fenice in rilievo. Lo stregone dell'aria ripeté il rituale e uno zaffiro comparve come occhio.
Diverso fu per il raggio che mi colpì in pieno petto, barcollai all'impatto. Il raggio di un terso azzurro mi penetrò fino al cuore con il suo calore e sentì dentro di me la civetta urlare perché ebbi la certezza che fosse stata ingabbiata. Strinsi le mani sulle tempie perché il suo urlo mi riecheggiò nella testa. Chiusi gli occhi e sentii le braccia di Dylan sorreggermi e accarezzarmi il viso.
Poi le voci degli stregoni riempirono il silenzio.
«Grazie all'armatura non ti trasformerai in civetta, ma ricorda strega, che prima di quando tu creda dovrai fare una scelta. Guardate nell'astrolabio con l'occhio dell'infinito.»
Gli stregoni batterono il loro bastoni sul pavimento e furono avvolti dai loro elementi e sparirono.
Rimanemmo interdetti e confusi, dopo qualche minuto entrò Orion. Lo guardammo con aria interrogativa.
«Dylan,» gli disse, «fino a quando rimarrai nel villaggio non tornerai nell'irreale. Ho chiesto agli stregoni di accompagnare Eileen a Stoccolma.»
«Non ho intenzione di rimanere qui,» mi accarezzò la guancia, «in qualsiasi forma, in qualsiasi modo sarò con te.»

Bussano discretamente alla porta e vado ad aprire.
«La scialuppa è pronta, possiamo andare,» mi avverte Orion, poi guarda dietro di me. «Buonasera Dylan.»
«Buonasera,»  mi porge il mantello, indossa il suo e andiamo sul ponte.
La luna alta nel cielo illumina e si riflette sul mare calmo, si sente appena le onde infrangersi sulla poppa della barca; sono seduta al centro, Dylan ha preso posto a poppa e Orion a prua e remano.
Sento il freddo pizzicarmi il viso, tutto è calmo, silenzioso e rimaniamo in silenzio con i nostri pensieri. Poi Orion indica qualcosa davanti a noi.
«Stoccolma!»
Siamo vicini alla terra e vedo un un gruppo di luci colorate, è tutto tranquillo. Mi assale la nostalgia, ma non ho il tempo di pensare perché la torre del faro è davanti a noi.
Il mio cuore ha un sussulto e per la prima volta sono presa dal timore, le parole degli stregoni mi hanno lasciata una strana sensazione, ma continuo a scacciare quel pensiero o forse è quel timore che non voglio accettare.
Intanto i due uomini hanno trovato una piccola insenatura dove poter attraccare e ancora una volta mi concentro sulla nostra missione.
Scendiamo a terra e tutti e tre guardiamo il faro che imperioso ci sovrasta e si staglia nel blu della notte e le stelle sembrano così vicine da poterle quasi toccare.
«Cerchiamo un sentiero per arrivare lassù,» Orion si incammia tra le rocce e lo seguiamo.
Dopo un po' riusciamo a trovare un sentiero nascosto che ci porta fino all'entrata della torre.
L'ansia si legge sui nostri volti, regna un silenzio irreale e anche per sentire il suono del mare devo tendere l'orecchio. La sensazione che fossimo in un luogo diverso da quello che sembra ci appare chiaro. I volti dei miei compagni di viaggio sono accigliati e ho il sentore del loro stare all'erta.
Spingo la porta che cigola e il buio ci investe. Sento il suono delle spade che vengono sfoderate.
«Licht,» una piccola sfera di luce compare nella mia mano, «rinfoderate le spade, gli stregoni hanno detto senza inganno né violenza.»
Non molto convinti rinfoderano le spade, dò una piccola spinta alla sfera che comincia a salire e la seguiamo.
Le scale di pietra sono impolverate, segno che nessuno da molto tempo è stato qui e sono strette tanto da dover salire uno alla volta; si sente solo il rumore dei nostri passi, Dylan avanti, io indietro e Orion alla fine.
La sfera si ferma sulla cima della torre e passa attraverso la botola.
Dylan apre ed entra e noi lo seguiamo. La stanza è vuota e dal soffitto di vetro vediamo il cielo stellato e la luna; non c'è nulla, completamente vuoto e questo ci getta nello sconforto.
Improvvisamente la stanza si riempe di una melodia e i raggi della luna allo zenit illuminano la stanza di raggi argentei. Attraverso quelli vediamo materializzarsi una donna anziana che è impegnata nel lavoro di liutaia.
«Perché siete qui?» Chiede con voce melodiosa senza mai interrompere il suo lavoro.
«Veniamo da molto lontano, desideriamo che la strega Atir ci doni l'astrolabio.» Faccio un passo avanti.
Atir ci guarda, ma le sue mani continuano il lavoro.
«Ciò che cerchi è qui, ma dovrai rispondere ad una sola domanda.»
«Dimmi pure, sono pronta.»
«Sei sicura? Perché se sbaglierai dovrai rinunciare a più della vita.»
«Sì.»
«Come la luna
   chiara o-scura
   Molte di me
   in una sola
   Cerco risposte
   domande mai poste
   essere o non essere
   Ma chi sono?
   Ciò che tu vedi
   ciò che io mostro
   Vivo in un mondo
   non m'appartiene
   Volevo essere
   tutto e niente.»
Rimane in silenzio e tutti gli sguardi sono su di me.
Guardo Dylan e Orion e per un attimo veramente credo che sia tutto perduto.
Chiudo gli occhi e poggio le mani sullo zaffiro che era al centro del mio petto.
Sono ferma, ma tutt'intorno vortica velocemente, vedo il passato, il presente il futuro, sono avvolta da suoni, profumi; in me tutto è amore, odio, disperazione e speranza. Poi in me sento la sensazione di un'esplosione e mi ritrovo in un non tempo in un non luogo, sono sospesa, ascolto l'universo… apro gli occhi e guardo Atir che mi osserva impassibile.
«Il Nulla e l'Eterno. Siamo parte dell'infinito.»
Atir sorride.
«Molto bene, sei una saggia strega che le sofferenze hanno temprato.»
Un nugolo di luci compare davanti a me e si materializza nell'astrolabio che si poggia delicatamente nelle mie mani.
«Un lungo viaggio vi aspetta, l'astrolabio vi condurrà nel luogo dove tutto ha avuto inizio e dove tutto avrà fine.
Ricordarti strega dovrai guardare nell'infinito e rinunciare ad esso perché l'equilibrio sia ristabilito e la pace torni.»
La luna ha finito il suo percorso nel cielo e l'aurora si sta facendo lentamente strada. Guardo Dylan che comincia a svanire.
«A domani strega!» Mi sussurra, poi mi accorgo che Atir è anche lei svanita.
«Dobbiamo andare.» Orion e si avvia alla porta e lo seguo.
«Dove andiamo?» Chiedo spaesata quando usciamo dal faro.
Orion mi indica la strada di pietra.
«Penso che se percorreremo quella, arriveremo a Stoccolma. Cercheremo una taverna, un pasto caldo e una buona notte di sonno ci aiuteranno.»
Convengo che è una saggia decisione e ci avviamo a piedi verso le luci di Stoccolma.

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