8. La t***a del liquame
Quando la Lancia Ypsilon di Viola Boeri si ferma di fronte al grande cancello della Leopoldo, cinquanta metri più in là, lungo il fianco destro dell'edificio e oltre una ringhiera di ruggine, Rengie se ne sta seduta a gambe incrociate su dei gradoni, l'unghia del pollice destro incastrata tra i denti e la sigaretta accesa tra le dita dell'altra mano. Ha la schiena ricurva, la fronte protesa nel vuoto, e guarda sotto, là dove le scorie della sabbiera contaminata ribollono e danno vita a nuove mutazioni. Sul polpaccio ha lo schermo del Siemens A50, illuminato su un SMS di Monica. C'è scritto:
"Sto bene".
Ma è un messaggio di domenica pomeriggio, e adesso è lunedì mattina. Rengie non sa se sia ancora vero.
Allunga il collo verso le nubi, le labbra socchiuse e screpolate dal freddo. Ci rimugina.
Non sa se fosse vero neanche ieri, quando lo ha ricevuto. Perché sabato notte, dopo essere rientrati da Pieve Cava, Monica è scesa in Via Fogazzaro, mentre Rengie è rimasta in macchina con Luca. Ha dormito a casa sua, e anche il giorno successivo l'ha passato lì. Non sa niente, Rengie, di come stia la sua migliore amica.
La vibrazione del cellulare la spinge a chinare lo sguardo. C'è un altro messaggio in arrivo: è di Giada.
"Penso di tornare in Italia. Non c'è più nulla per me, qui".
Rengie solleva il telefono di fronte a sé, fa un tiro di sigaretta.
Giada è una ragazza più grande. Non è di Borgonatio. È di Pomezia, ma vive a Madrid dall'autunno del 2001, insieme al suo compagno, Luis, che per i bizzarri intrecci del caso è diventato amico di Luca durante un rave vicino Rieti. Sono stati loro due – Giada e Luis – a ospitare Rengie nel loro appartamentino nella Guindalera, durante l'estate.
Rengie butta fuori il fumo con lentezza. Il tono del messaggio è cupo, privo di speranze. Ma non è questo a turbarla, quanto i ricordi fugaci di quel viaggio, riaffiorati d'un tratto, di fronte al suo nome pixelato. Le feste ogni sera, i locali underground, la musica, i fiumi di alcol, le mille persone incontrate e mai più riviste.
Un ghigno asimmetrico le scopre i denti appena sporgenti, solo da un lato. Poi, però, torna alla realtà: alla Leopoldo. E il suo sorriso si richiude di scatto.
E si chiede per quale motivo una come lei, così intraprendente per la sua età, così abile a legare con tutti, capace di decidere dall'oggi al domani di fare una borsa e partire... perché, proprio lei, ogni mattina si ritrovi isolata dal piazzale, ad aspettare Monica, anziché starsene davanti al portone d'ingresso a organizzare lo sciopero, o l'autogestione di fine novembre, spalla a spalla con la gente giusta che è già impegnata a fare campagna per essere eletta rappresentante.
Rengie, però, il motivo lo sa. Lo percepisce negli sguardi degli altri, anche se non le dicono niente: Rengie non è altri che Mariangela Rovelli, in fondo. Quella con la famiglia disastrata, che non ha mai saputo prendersi cura di lei, povera bimba. E, al contempo, è anche la mela, che non cade lontana dall'albero.
E i suoi problemi non hanno niente a che fare col primo bacio, o la prima notte fuori, ma con quanti soldi ci vogliano per fornire di un impianto idraulico il capanno di proprietà dei genitori di Luca, perché vuole andar via di casa, iniziare a convivere anche prima di subito, senza aspettare il diploma.
Preme il tasto per rispondere al messaggio di Giada. Davanti a lei, lo schermo si svuota.
"Io e Luca ci saremo sempre x te, se ti serve. Ma tu 6 proprio sicura ke non ci sia niente da fare? Non potreste riappacificarvi? Scusa se insisto... ma non riesco a capire. Eravate una così bella coppia". Invia.
E quella sorta di distanza, quello spazio siderale che la divide dalle coetanee del suo paesino, c'è sempre stata, in un qualche senso... ma poi, da un paio d'anni, si è accentuata di botto: perché un giorno lei non aveva nulla a cui sostenersi, e il giorno dopo Luca era la sua nuova famiglia, la sua stampella, e di fronte a entrambi c'era un futuro già scritto, una vita adulta già programmata e sulla via della realizzazione.
Perciò non è strano che Rengie sia qui, oltre la ringhiera. E non con le sue compagne di classe.
– Fanculo, – borbotta tra sé e sé. Getta con stizza il mozzicone giù dal gradone, e quello precipita per tre metri e mezzo, finché non si accascia sulla rena.
Non gliene frega un cazzo, in fondo. Non scambierebbe Luca con nessuna infanzia felice.
Il tizzone si spegne quasi subito, nell'umidità del mattino.
Poi, però, puntuale come il trillo della sveglia, un nodo le stringe la gola. E si chiede se non sia troppo presto, per lei, per prendersi impegni così.
Questo le fa asciugare la bocca.
Poi si chiede se non sia troppo presto per Luca. E questo le fa contorcere le budella.
Un altro messaggio in arrivo.
"Ho scoperto che mi tradiva da 6 mesi. Con Flor. Quindi sì, Rengie. Ne sono sicura".
Flor.
La migliore amica di Giada.
– Rengie! – Una voce rauca, fuori campo.
Rengie si volta. La sagoma scura di Monica, avvolta nel chiodo di pelle, si staglia sul muro scrostato e ricolmo d scritte, con le braccia incrociate sul petto.
Nemmeno lei è abbastanza vicina. Nemmeno Monica può capire cosa si provi a sentirsi già adulta a sedici anni.
In quella specie di cabina del treno, c'è spazio solo per due.
– Ehi. Buondì.
Monica attraversa cauta la striscia d'erba bagnata; guarda al di là del divisorio in ferro e scuote la testa.
– Ma ancora? Rengie, non ci si può andare lì.
E Rengie sospira. – Seh, seh. – Si mette in piedi, con malagrazia. Solleva lo zaino dal cemento scrostato per uno degli spallini.
– Sul serio. Hanno detto che non si può superare la recinzione. Guarda che se ti beccano ti sospendono.
– Okay, okay, ho capito. – E inizia a scavalcare la ringhiera.
– Dai. Andiamo dentro. Al ritorno ci passa a prendere Luca, vero...?
– Allora?! – Rengie squadra l'amica con una certa impazienza.
– Hm? – Monica distoglie l'attenzione della fessura verticale del distributore automatico di bevande, la guarda senza capire. – Che c'è?
Doveva esser vero quello che ha scritto nel messaggio. Sta bene, ha un colorito acceso, l'aspetto riposato. L'ombra di sabato notte sembra essersi ritirata in un altro piano... come se non fosse mai esistita.
Però, il fatto che Monica non gliene parli, che non le dica mai niente di come si sente davvero... Questo la inquieta. La fa sentire... respinta.
– L'altra sera, allo Skylab. Sei quasi svenuta. Te lo ricordi?! – In effetti, potrebbe anche non ricordarselo.
– Sì.
Pare come rintontita, persa nel rumore meccanico dell'erogatore.
– Eh... E quindi?! Dai, Monica, voglio sapere! Cioè, t'ho vista correre via così... – E, a quel punto, Rengie si accorge di aver alzato troppo la voce. Si guarda attorno, alla ricerca di orecchie indiscrete, e inizia a sussurrare. – E poi, dopo, in macchina, non ci hai ridetto più niente. Va be' che eravamo tutti stanchi, però... mi sono preoccupata lo stesso.
E, forse, Rengie si è sentita in colpa. Per non averla seguita nonostante tutto, per aver lasciato che andasse da sola. Ma questo non glielo dice.
– Scusa, Rengie. – Monica afferra tra due dita il bicchierino marrone, lo strappa dal braccio metallico della macchinetta e lo sportellino si richiude da sé. – È che, davvero, per me non era niente. Dovevo solo... riprendermi un attimo, lontana da quel tunz-tunz-tunz... – Scuote la testa e si porta la schiuma bianca del cappuccino vicina alle labbra.
Rengie resta un po' a squadrarla con diffidenza, mentre il segno del suo rossetto viola si imprime sul bordo chiaro della tazzina. – Quindi... Non c'è niente che non va?
– Proprio niente. – A stento trattiene un sorriso.
– Moni... C'è qualcosa che non mi dici.
Le sue gote avvampano. Abbassa le palpebre, guarda a terra... Ora sta proprio ridendo.
– Dai, dimmelo. Dai! Moni!
– Niente, niente... – Monica alza lo sguardo. Si allontana di qualche passo dal distributore, per far posto a quelle due che si sono aggiunte in fila. Poi si china sull'orecchio dell'amica. – Va be', te lo dico. È che... c'era uno, fuori...
– Fuori?!
Monica alza gli occhi al soffitto. – Sì, Rengie, fuori! Nel par-
– Orsini!
Un boato, dal punto più estremo del corridoio, interrompe la loro conversazione.
Entrambe si voltano: laggiù, nella penombra, proprio di fronte alla porta del bagno, c'è una ragazza in piedi, i capelli biondi raccolti, e lo sguardo truce.
– Monica Orsini! – grida di nuovo. E, stavolta, si girano tutti. Non vola più una mosca, al secondo piano.
– Ma... chi è... quella...? – La voce di Monica è come un fruscio.
– Credo... Credo sia...
E, di botto, quella strana entità inizia a camminare in avanti, le braccia tese lungo il busto, le mani chiuse a pugno. E più s'avvicina, più è possibile scorgerne i tratti. Quando si riesce a vedere il kajal sbavato sopra le occhiaie, lo spallino del cappotto calato sul braccio sinistro e le sclere arrossate dal pianto, ha già coperto più della metà della distanza.
– Monica, Or-si-ni!
E più ripete il suo nome, più la sua voce, gutturale profonda, è intrisa di un inestinguibile odio. Ormai è un grido di guerra.
Monica è senza respiro.
E i piccoli raduni di studenti, a distanza regolare l'uno dall'altro e accorsi fuori dalle aule per non perdersi un solo secondo di ciò che sta per succedere, decidono all'unanimità di fare largo alla ragazza impazzita, e nessuno si fa avanti per ostacolarle il cammino.
In un attimo, le è addosso.
– Fingi di non sentirmi, Monica Orsini?! – Con entrambi i palmi aperti, la spinge all'indietro con tutte le sue forze. Il cappuccino vola via, lo schizzo quasi raggiunge la finestra. – Guardami!
– Oh, ma che fai?!
– Fai finta di niente?! Fai finta di niente, puttana?! – E fa un altro passo in avanti, la spinge di nuovo.
– Ehi! – Riemersa di botto dalla sorpresa, Rengie si mette in mezzo alle due. – Ma tu chi cazzo sei per parlare così alla mia migliore amica?!
Ma la Cecchi dedica a Rengie solo un'occhiata. Piena di disprezzo, d'ironia. La deride.
La deride?
E, subito, guarda oltre la sua spalla. – Pensavi che non l'avrei scoperto?! Che non me l'avrebbe detto?! Sei solo una povera illusa!
– Ma di che cazzo parli?! – Rengie lo sibila piano. Non ha più la stessa forza assertiva.
– Ti fa sentire importante, dare fastidio a quelli già impegnati?! Approfittarti che sono ubriachi?!
– C-cosa...? – Stavolta, è Monica a balbettare. Rengie riesce a vederla solo di sbieco. Ha gli occhi sbarrati, le pupille ridotte a un puntino.
– Cosa cazzo credevi di fare, eh?! Credevi che Simone ti avrebbe parato il culo?! Non gliene frega niente di te! Niente!
– Simone... Cosa?!
Rengie, ormai, fa da scudo passivo. È solo una massa informe, che si trova lì in mezzo, ma non fa niente.
– Mi fai pena, cazzo! Pena!
Ed è a tal punto inerme, Rengie, imbambolata di fronte alla Cecchi, che per evitare che la situazione degeneri ancora c'è bisogno che sia un'altra a intervenire.
È una ragazza castana, forse una sua compagna di classe, quella che raggiunge Oriana da dietro.
– Ory! Ory, calmati! Basta, adesso! Vieni con me. – Le poggia una mano sulla spalla.
Ma lei se la scuote di dosso. – No, cazzo! È una troia, questa! Una squallida troia! Qualcuno glielo deve dire!
– Hai ragione, Ory... Ma ora gliel'hai detto, basta così... Non ne vale la pena, dammi retta...
E, così, riesce a farla desistere. Adesso, al suo fianco, Oriana volge la schiena a Monica, a Rengie, e a tutti gli altri studenti che sono stati testimoni dello scontro senza muovere un dito. – Dai, che c'era la Bianchini che stava per salire, – continua a sussurrarle piano, sommessa, mentre si allontanano insieme in direzione dei maniglioni della porta antincendio.
Ma prima di andar via, Oriana si volta di nuovo. E l'ultima cosa che dice, la ragazza impazzita, non è rivolta alla Orsini, ma a Rengie.
– Bell'amica di merda, che hai. – Glielo sibila come un serpente, prima di sparire.
Era vero, comunque. Proprio come aveva presagito la ragazza castana, quando Rengie si volta, la testa della signora Bianchini sbuca dalla tromba delle scale.
Deve aver sentito le grida.
Monica è paralizzata. C'è qualcosa di scuro, che incombe dietro di lei. Come se partisse dalla sua testa.
L'ombra.
– Oh, che disastro. Chi ha rovesciato il caffè per terra?! – La povera bidella si mette le mani nei capelli. – In classe! Forza, su! Dai, che devo pulire. Orsini, Rovelli! Anche voi! Veloci.
Primo piano sul marchingegno di metallo: l'ultima campanella suona.
In un tripudio di schiamazzi e strascichi di suole, la fiumana si riversa fuori dalle aule, si pressa in corrispondenza delle tre uscite e poi schizza fuori, come un gas. Rengie, tra loro, segue una traiettoria diritta, procede a capo chinato dal piazzale al cancello e fissa ipnotizzata il laccio fangoso di una delle sue scarpe. Svolta a destra, percorre un breve tratto, poi imbocca la salita e si distacca dalla calca, tutta o quasi diretta alle fermate degli autobus. Monica le sta dietro a fatica.
– Cristo, Rengie. – I sussurri le sfuggono dalle labbra insieme al respiro affannato. – Hai visto come... Come mi hanno guardata, quelle?
Rengie, però, non ha la forza di voltarsi a controllare. Con la coda dell'occhio, intercetta la presenza di un piccolo gruppo di ragazze, dall'altro lato della strada. Ma non sa se Monica si riferisca a loro.
– Dio, che situazione del cazzo. Non ci posso credere, – continua a borbottare, dietro di lei, senza ricevere risposta.
I muscoli del volto di Rengie, intanto, sono sempre più contratti, man mano che si avvicinano al parcheggio nel quale, a meno di ritardi e imprevisti, dovrebbe già trovarsi Luca in attesa.
In un primo momento, Rengie credeva di aver fretta di allontanarsi dalla Leopoldo, scrollarsela via di dosso, almeno per oggi. Poi, si rende conto della verità.
È Monica. È Monica che vorrebbe lasciarsi alle spalle.
Ormai sono a più di cinquanta metri dall'ultimo gruppetto di liceali. Sono da sole.
– Non ci posso credere che è andata così...
– Davvero, Monica?
In un moto di stizza, Rengie di colpo s'arresta e si volta all'indietro, le punta addosso le iridi scure, quasi la divide a metà.
– Cosa? – chiede l'altra, colta di sorpresa dal suo tono.
– Non ci puoi credere, – ripete lei, con lentezza. – Davvero? Senti, scusa se te lo dico. Ma che cosa cazzo ti aspettavi di diverso?
Sono in piedi sul marciapiedi, le due amiche, l'una di fronte all'altra, separate da una densa patina di tensione. La coltre di nubi che ricopre il cielo, al di là dei rami dei pini che fanno loro da riparo, sembra intensificare il silenzio.
Ormai Rengie ha aperto bocca. Può ancora scegliere, però: può rimangiarselo, o andare fino in fondo.
Da un luogo lontano, chissà dove, proviene il pianto di un bambino.
– Che... Che cosa intendi?
Ma Rengie ha già deciso.
– Monica, porca puttana, – le sbotta in faccia. – Vai con uno fidanzato, e ti stupisci se tutti pensano che tu sia una troia?!
– Ma... – Il volto di Monica si sbianca, le labbra livide, gli occhi sbarrati. – Rengie! Io non lo sapevo!
Non le arriva subito, quel "tutti". Tutti: tutti lo pensano. Ma "tutti" vuol dire... anche tu? Ma non glielo chiede, a Rengie. Perché non è una pugnalata al cuore, diretta, leale. È più simile a un pizzico di veleno, versato di nascosto dentro al suo bicchiere.
Rengie soffia, sardonica. Si morde il labbro inferiore, di lato, in corrispondenza del piercing. – Certo. – E distoglie lo sguardo. – Certo. Guarda caso, non lo sapevi... Ma per favore!
– Rengie!
– Cazzo, Monica! Vuoi farmi credere che, che... che tu eri l'unica, in tutta la scuola, a non saperlo? A non sapere che quel coglione del Venanzi stava con la Cecchi? E che bisogno c'è, oltretutto, di... di...
Senza che se ne accorga, il discorso prende una piega che Rengie non voleva, si ritrova a squadrarla da capo a piedi, a indicarle il busto con la mano protesa, quando si blocca.
– Di...? Cosa?
E deglutisce.
Ormai può solo tirare fuori tutto.
– Di truccarti e conciarti così, anche... Anche per venire a scuola.
Monica serra, poco a poco, la spallina dello zaino sempre più forte. Le dita sono così rigide che le nocche diventano bianche. In basso, ai suoi capi di vestiario, lancia solo un breve sguardo di ricognizione.
– Rengie, – scandisce cupa, lenta, mentre le sue narici vibrano, – mi stai dicendo che mi vesto come una troia, per caso...?
– Lo sai bene, cosa intendo.
– Ah, no! No! Se proprio lo vuoi sapere, non ti seguo! Questi discorsi, da te, tra tutti, proprio da te...
– E perché no, da me?! Perché?! Pensi che, siccome la mia reputazione fa schifo, allora non posso...?!
– Non c'entra un cazzo, la ! – grida di colpo.
– E allora cosa?!
E Monica ispira da naso, riempie i polmoni. – A te, – sibila, – non è mai fregato un cazzo di quello che pensavano gli altri! Sei sempre stata al di sopra di queste, queste... Sei sempre stata una ribelle, Rengie! E adesso... così, dal niente... ti metti a farmi la morale?!
– Non c'entra un cazzo la morale, Monica! Pensi... Pensi che sono scema? Guardati... Guarda! – E fa un passo in avanti, le punta l'indice contro l'incavo del collo. – Questo... pentacolo, il chiodo... E sotto? Che c'hai scritto, sulla maglia?! – E, di malagrazia, le scosta un lembo del giacchetto, a rivelare la scritta. – Gli Alice In Chains. Gli Alice In Chains, Monica! Ma chi cazzo credi di prendere in giro?! Tu, non li ascoltavi nemmeno, gli Alice In Chains, fino a qualche anno fa! Non sei mai stata una metallara, prima!
– Ma prima quando, Rengie?! – Monica fa un passo all'indietro; e più l'indignazione sale, più cerca disperata lo sguardo di Rengie. – Pure... Pure la musica che ascolto non ti va più bene?! E poi, che... Che cazzo c'entrano queste cose ora?!
– Fanculo, Monica. Tu... Tu hai cominciato a essere così... solo dopo che ti ho presentato Luca.
L'ombra.
La rabbia, in pochi istanti, dal volto di Monica sfuma. Come di fronte al distributore delle bevande, qualche ora fa, riesce solo a fissare l'estranea che ha di fronte, con gli occhi sbarrati e la faccia livida. Quella persona, che non avrebbe mai creduto potesse pensare così male di lei. E da quanto? Da quanto tempo la covava...?
L'ombra.
– R... Ren...
– Tant'è che ora scrivi solo a lui, per farti venire a prendere a casa, no?
– N-no... Rengie... Io p-pensavo...
– Seh, seh. Pensavi fosse con me. Come no.
Un ghigno, sardonico e schifato insieme, le si stampa sulla faccia.
E questa è l'ultima espressione che Monica vede di Rengie. Perché, subito dopo, le volta le spalle. E inizia a camminare.
– Sai cosa, Monica...? Trovati qualcun altro per tornare a casa.
E poi, il distacco.
– Rengie, – sente solo sussurrare. Ma non le importa. Non si volta indietro.
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