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Capitolo 54 ✔️

Alessio's POV

Mi tappo i timpani e mi allontano dall'autobus, che una volta fermo a sostare emette un fischio fortissimo che poi non si ripete per fortuna. Lascio aperte le porte così i futuri passeggeri possono già accomodarsi, non faccio come alcuni miei colleghi che chiudono tutto e la gente può morire accaldata sotto al sole. Finito anche questo giro, come di consueto vado a sgranchirmi un po' le gambe, usufruendo dei miei minuti di pausa.

Alcuni autisti stanno già facendo capolinea ma non mi avvicino a loro di proposito, non sono molto in vena di parlare. La cosa che più mi alletta in questo momento è la farmacia qui affianco, per prendere delle oki perché ho un mal di testa atroce. Ma sì, mi servono proprio, specialmente dopo aver letto il messaggio di Sofia. Quella ragazza mi trasmette ansia anche a distanza. Difatti oggi ecco i postumi di tutte quelle ore ieri dal pomeriggio alla sera con la sua voce dentro al mio cervello.

<<Buongiorno amore, tutto bene? Tra poco vado a scegliere il regalo alla tua amica, fammi avere tue notizie.>>

Rileggo più volte la prima frase e l'ultima, ovvero ciò che non mi doveva proprio dire. Amore. Quando dice queste tre vocali unite alle due consonanti, sta mentendo. È una parola troppo importante, che non rispecchia ciò che lei prova per me, quella si chiama ossessione. Io non sono un essere umano, ma un burattino nelle sue mani. È vero che dicono che gli uomini vanno presi per la gola, ma in senso metaforico.

Invece no, lei mi sta letteralmente e piano piano soffocando con il suo carattere. Comprime i miei polmoni, involontariamente, e solo vederla mi mette angoscia. Mesi fa ero troppo stanco, per questo mi ero deciso a lasciarla ma non stava finendo bene. Io sono solo Alessio, il papà di quel bimbo innocente, non dovrei essere nient'altro. Ma non posso lasciarla in questo stato, avrei il senso di colpa a vita se dovesse succedere qualcosa a quella piccola lenticchia.

È ancora un punto, come ciò che avrei voluto mettere tra noi. Non ci sono riuscito, l'inchiostro per scrivere la mia storia era finito. Ho dovuto lasciare tutto al destino, che mi ha fatto questo scherzo crudele.

Solo Valeria poteva chiamarmi come le pareva, anche Gian Luigi se avesse preferito. Mi sarei fatto andare bene anche scimmietta, scemo o rimbambito, perché lei era speciale, lo è diventata in pochissimo tempo. Sofia neanche dopo due anni è riuscita a fare breccia nel mio cuore, questo spiega tutto, non è mai stata quella giusta e non l'ho mai pensato.

Aspettavo con ansia la ragazza che avrebbe stravolto la mia vita, credendo di poterle stare accanto da subito. La bruna mi aveva salvato, chi rischia di cadere in depressione sono io, non la madre di mio figlio. Io, accanto a lei, sarò un morto vivente, un automa, un vegetale che non riuscirà neanche a sorridere immediatamente quando vedrà il frutto del non suo amore, il motivo per il quale si è rovinato la vita.

Ci vuole forza per affrontare una situazione simile e la mia l'hanno lentamente prosciugata mamma e Sofia. A nulla sono servite le parole di Giulia, non hanno più senso di essere ascoltate ora, quando tutto è ormai perduto. Faccio un massaggio alla tempie e a passo felpato mi dirigo alla porta d'ingresso del paradiso. L'aria condizionata mi colpisce il viso e mi stordisce quanto basta per prendere possesso delle mie facoltà mentali, non pensando più ai miei errori.

Prendo il numerino e mi metto in coda, per fortuna ci sono solo due persone prima di me. Quando la donna chiama il cinquantasette, mi avvicino al bancone, chiedendo qualcosa spiegandole i miei sintomi. Non mi può dare l'oki perché se ho capito bene ci vuole la ricetta del medico, ma mi dà un suo simile. La ringrazio e dopo aver pagato mi dirigo al solito bar per prendere una bottiglietta d'acqua.

Ho ancora cinque minuti a disposizione, li farò bastare per fare tutto. Un po' trascinandomi, mi siedo sullo sgabello e chiedo se gentilmente posso avere anche un bicchiere di plastica. Prendo in un solo sorso il medicinale e quando sono ben stordito, rispondo alla ragazza che aspetta "mie notizie". Le manderei una foto reale di come sto, invece di fingere come sempre.

Vabbè, tanto l'intera mia vita sarà una finzione, mi adeguo già adesso. Con mani incerte e tremanti ma con tutta la calma possibile, le scrivo che sto una meraviglia, chiedendo come stia lei con la nausea. Premo invio e abbandono il cellulare sul bancone, lo lancio proprio. Non mi importa se si rompe, tanto meglio così non sarò istigato a comporre un numero di telefono che mi farebbe solo del male.

Il ragazzo dietro al bancone me lo restituisce  senza fare domande, si capisce dalla mia faccia cosa ho. Solo chi soffre di problemi di cuore, chi ha in mente una ragazza, reagirebbe in questo modo. Un uomo non piange mai, così ci è stato insegnato: e se lo fa per una donna, vuol dire che veramente ha un vuoto dentro che solo lei può colmare.

Sblocco lo schermo e mi dirigo fuori la porta. Le mie dita pigiano con sicurezza dei numeri, mi vedo come uno spettatore in questo momento. Sono io, ma non sono io. Un'azione la compie il cuore, e l'altra che lo cancella lo fa la mente e il buon senso. Anche se non risulta più il suo nome, so che è Valeria. Accarezzo il telefono e lo tengo stretto al petto, come se avessi lei qui in carne e ossa.

Purtroppo mi devo disilludere, non vedrò più il suo sorriso ingenuo che mi rallegrava l'esistenza. Mi ha fatto dimenticare tutti i doveri che mi hanno sempre imposto. Ero libero, dovevo pensare solo alla mia spensieratezza, ed è una cosa che non ho mai potuto fare e che ho rimpianto fin da quando ero bambino.

I miei genitori lavoravano e io rimanevo con i nonni, il mio unico ascoltatore era il mio cane, con lui mi confidavo più della mia stessa famiglia. Non è stato facile per mamma e papà, farsi trasferire entrambi a Catania e nello stesso ospedale. Per anni hanno prestato servizio chi a Trapani, chi a Siracusa, solo da poco sono qui e noi tre siamo potuti stare insieme, ma era troppo tardi.

Siamo un po' degli sconosciuti, quando ci mettiamo a tavola manca sempre uno dei due. Non ci siamo mai riuniti neanche durante le feste, non so cosa voglia dire passare un Natale con persone che hanno un legame di sangue con te, perché io li ho passati sempre a letto a dormire, perché i nonni erano stanchi. Per fortuna c'era mia cugina e chiacchieravamo fino a notte fonda, per poi addormentarci esausti. In due era sempre meglio che da solo.

Mamma è un'estranea più di papà. Non ha mai cercato di comprendermi e tuttora continua a impormi qualsiasi cosa, fregandosene se a me sta bene o no. Una volta dovevo obbedire per forza, ma raggiunti i diciotto anni sarei dovuto essere libero di prendere le mie scelte, ma non è stato così. Finita la scuola non avevo intenzione di fare l'università, almeno su questo non ha insistito.

Certo, le avrei solo fatto spendere soldi in libri e tasse scolastiche inutilmente, non volevo fare l'insegnante. Sarebbe troppo monotono, non volevo passare la vita a tenere il viso serio sei ore al giorno, invece adesso lo avrei preferito, perché dovrò stare h24 in quel modo. Tutto adesso mi pare meglio di prendere le mie responsabilità e stare affianco Sofia.

Per fortuna, almeno con questo lavoro posso svagare. Presa la patente B durante gli anni di scuola, a gennaio dell'anno stesso che ho preso il diploma, mi sono subito informato per quanto riguarda fare l'autista di autobus. Ho sempre amato guidare, sono una persona molto attenta e prudente, non ho mai perso la testa come i miei coetanei che incoscientemente si mettevano al volante da ubriachi. Non ho mai concepito una cosa simile.

Purtroppo ho dovuto aspettare che crescessi qualche anno per prendere la D. In quei mesi mi sono informato, ho studiato e non ho perso tempo. Seguivo delle lezioni online, trovate su YouTube, e appena è stato possibile ho frequentato in presenza a scuola guida. Compiuti i ventun anni ho fatto il quiz e le guide, prendendo la patente un paio di mesi dopo. Ero il più giovane degli studenti, ma questo non mi ha fatto demordere, è stato invece fonte di ulteriore determinazione.

Sapevo cosa volevo e l'ho ottenuto. Papà mi ha aiutato a trovare nel giro di qualche settimana un lavoro, perché purtroppo venivo scartato non appena leggevano l'anno di nascita sul documento. Non davano fiducia a un ragazzino, non sapevano però che non avrei demorso finché non avessi ottenuto ciò che per cui avevo tanto faticato. Ai tempi era il mio unico sogno, non conoscevo ancora Sofia e avevo la testa completamente libera. Bei tempi.

Non avrei mai pensato che proprio mentre facevo il mio ultimo giro di corsa, un caldo giorno di fine estate, avrei incontrato la ragazza che nel bene e nel male, avrebbe stravolto la mia stabilità emotiva. Mi aveva convinto, senza saperlo, a lasciare una volta per tutte che il passato rimanesse tale, senza sensi di colpa perché io non c'entravo nulla con tutto ciò che era successo a quella ragazza.

Se Sofia avesse conosciuto un altro quel maledetto giorno del suo compleanno, non ci sarei io in questa situazione e forse nessuno. Neanche un ragazzo sarebbe stato condannato all'ergastolo, perché è così che ha fatto con il sottoscritto. Avrei preferito marcire in carcere per un crimine che non ho commesso, piuttosto che stare con il sorriso e far finta di essere contento di ciò che abbiamo fatto.

Costruiremo una famiglia basata su una menzogna, non potrà durare a lungo, io non resisterò assai. Veramente se poi esco fuori di testa commetto un crimine e mi faccio arrestare. So già cosa farò: andrò a riprendere l'amore della mia vita, le ruberò il cuore come lei ha fatto con me. Lo farò anche se Valeria sarà già felice accanto un altro, non mi interesserà.

Che assurdità sto dicendo, madonna. La devo dimenticare, cazzo, se la amo veramente devo lasciarla libera e far sì che dimentichi tutto ciò che abbiamo passato insieme, non voglio metterla in mezzo alle questioni che riguardano la mia famiglia. Deve scordare la mia esistenza, solo così non le spezzerò il cuore se mai un giorno dovessi incontrarla per strada, mentre passeggio con mio figlio nel passeggino.

Non deve neanche guardarmi ma passare avanti, saprò di aver fatto la cosa migliore per evitare che soffra tutta la vita come il sottoscritto. Rifletto. Io e lei siamo simili ma diversi, ci completiamo. Ho creduto fossimo anime gemelle, perché solo stando insieme mi sentivo me stesso. Neanche con la mia prima ragazza alle superiori mi sentivo in questo modo, ci sarà un motivo se solo con lei il cuore palpitava e le mani sudavano freddo, per la paura che non provasse lo stesso, il timore di essere rifiutato.

Basta, non ne posso più. In un momento di follia premo la cornetta verde e porto il telefono all'orecchio. Sì, la testa mi pulsa ma il cuore si sente di più, lo udirà anche anche lei se  dovesse rispondermi. Cosa le dirò? Che sono un codardo, ma che la amo così tanto che sono disposto a vederla felice con quel tizio con cui passeggiava ieri pomeriggio. La colpa è mia, soltanto mia.

Mi scuserò all'infinito ma non negherò ciò che ancora provo. Mi farò da parte se non è più ciò che vuole lei. Sono una palla al piede che vuole impedirle di essere felice, e solo quando me lo dirà con la sua voce mi metterò l'anima in pace e capirò che posso essere amato solo da Sofia.

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Valeria's POV

Seguo Alice che cammina a passo sostenuto verso il centro commerciale, con la scusa che vuole prendere un paio di tacchi perché quelli che si è portata in valigia non le sembrano adatti. Sinceramente non ne capisco il motivo, li ha neri così si abbinano con tutto, ma si ostina che sono troppo bassi e ne vuole un paio più alti. Buon per lei che riesce a camminarci, devo farmi dare qualche dritta!

L'aria fresca mi sferza il viso e respiro finalmente a pieni polmoni. Sono un po' angosciata, Matteo continua a evitare il mio sguardo, anche se mi sembrava fosse tutto chiarito. Mi rattrista un sacco il fatto che abbia il broncio solo con me, mentre invece alla sorella rivolge dei sornioni sorrisi. Mi sento messa in un angolo, non importante, non mi vede.

Non ho mai sofferto di manie di protagonismo, ma questa volta vorrei tanto essere il centro dei suoi pensieri, perché fisicamente mi sta tenendo alla larga e non lo fa per non far insospettire la sorella. Almeno nella sua testa mi starà visualizzando? Probabilmente no, capirebbe che mi sta trattando come se fossi invisibile e non è di certo ciò che mi ha dimostrato ultimamente. Mi vengono i brividi, sembra essere ritornati a diverse settimane fa, quando mi trattava con la stessa indifferenza, per nulla piacevole.

Questa volta non lo posso accettare passivamente, non dopo quella meravigliosa dichiarazione che ha fatto ieri notte. Le mie riflessioni vengono accantonate dalla voce della mia amica che supplica il fratello di prendere un gelato. Si avvicina al bancone e poggia le mani alla vetrina, prendendo le sembianze di Marco. Mi avvicino assieme a Matteo, che forse per sbaglio mi lancia un'occhiata complice, come per dire "accontentiamola, è il suo compleanno".

Purtroppo annulla presto questo contatto e mi ritrovo da sola in mezzo a tanta gente sconosciuta, non mi ha aspettata. Avanzo qualche passo, facendo dei piccoli salti per raggiungerli. Sistemo i miei jeans che un po' stretti sono scesi e mi danno fastidio, sono a vita bassa e ho sempre il terrore di rimanere con il di dietro scoperto. Metto una mano davanti gli occhi, divertita per la scena che mi ritrovo davanti. Io non li conosco quei due tizi, è la prima volta che li vedo in vita mia!

Ammiro Alice che felice come una bambina porta il cucchiaino alle labbra e assapora il gusto fresco di un gelato alla frutta, strano, non è da lei avere queste voglie. Rido dentro di me, sembra che Giovanni sia stato in grado di metterla incinta con un solo sguardo, e poi mi dice che quello che ho visto non è vero e che ho lavorato di fantasia, suvvia! Gentile mi chiede se ne voglio un po' ma rifiuto, se vedo ancora cibo scoppio.

Matteo si fa dare un altro cucchiaino e lo assaggia, sotto il mio sguardo attento. Mi fissa con un sorrisetto malizioso, ripulendo bene con la lingua l'oggetto di plastica, che mantiene tra quelle sensuali labbra come antistress. Certo che questo gli dona un aspetto provocante, non può fare mica così, non stiamo combattendo ad armi pari.

Distolgo lo sguardo dalla sua figura e cominciamo a camminare. Loro due stanno più avanti, io invece rimango indietro perché mi crogiolo nei miei dubbi. Saprei io cosa dargli in sostituzione di quel cucchiaino. La mia bocca reclama la sua, stanca di tutta questa snervante attesa. Se fossimo soli lo farei, lo tirerei per quelle braccia muscolose tra le quali vorrei sentirmi al sicuro, e gli abbasserei la testa verso di me.

Occhi contro occhi, pelle contro pelle, senza nessuno che ci ronza attorno o che fa da giudice dicendo che stiamo sbagliando. Alice arriva in un negozio e da lontano scorgo che vi entra solo lei, facendomi gesto con la mano che ci vediamo tra poco. Me la prendo con comodo e con il telefono tra le mani arrivo al punto dove Matteo è rimasto fermo, in attesa della sorella.

Con la coda dell'occhio vedo che tiene le braccia dietro la schiena, abbassa più volte lo sguardo verso le scarpe e poi lo alza per puntarlo su di me. Chiudo le applicazioni aperte portando in alto il dito più volte e blocco lo schermo, rimanendo a qualche metro lontano da lui. Tossisco per ricordargli della mia presenza, dato che mi ignora. Tanto non non avrà sentito nulla, questa musica di sottofondo ci stordisce i pensieri.

Incrocio le braccia al petto e fisso l'entrata del negozio al cui interno è sparita Alice, lasciandomi con questo tizio che oggi mi ricorda proprio una mummia. Non lo guardo minimamente e quando meno me l'aspetto mi attira a sé da dietro, facendomi urlare di spavento. Lo sento ridere di gusto e con maestria mi porta lì vicino dove c'è la toilette.

Mi dimeno e riesco a scappare dal suo abbraccio, anche se avere un suo contatto era ciò che desideravo. Ma non davanti sua sorella, che potrebbe uscire da un momento all'altro!

<<Che fai?>> farfuglio allibita, sistemando i capelli tutti disordinati. Matteo, con fare provocante, porta nuovamente il cucchiaino alle labbra e poggia un piede sul muro. Mi ricorda tanto un cowboy, gli manca solo il cappello di paglia ed è perfetto. La maglietta gli aderisce al torso come la pellicola alimentare diventa la seconda pelle per il cibo che conserva. Mordicchia il bastoncino di colore rosso e fissa i miei occhi in modo languido.

<<Ti propongo un patto>> afferma, battendo il piede per terra e poggiando le mani sui fianchi.

<<Un altro?>> Mi sfugge, ricordando quello di ieri sera che non è finito affatto bene.

<<Questo ti piacerà.>> Scandisce bene le parole, quanto mi era mancato sentire la sua voce così melodica e profonda, come i sentimenti che provo per lui. Vorrei trovarmi al posto di quel cucchiaino, digiterei su google per cercare un tutorial su come tramutarmi in un oggetto in soli dieci secondi. Che patetica, non si elemosina un bacio, lo si dà e basta, senza chiedere il permesso. Sospiro e tentenno da un piede all'altro, aprendo le orecchie pronta ad ascoltarlo.

<<Vuoi essere perdonata?>> Spara di punto  e in bianco, con un sorrisetto che non promette nulla di buono. Mi squadra con quell'atteggiamento sicuro che mi ha fatto perdere la testa tanti anni fa. Sguardo fiero, spalle indietro, petto in fuori. Solo una cosa è cambiata: il fatto che siamo cresciuti e che adesso sappiamo entrambi ciò che vogliamo. E io non mi vergognerò più a chiedere cosa desidero per sentirmi bene.

<<Non ti bacio, è inutile che me lo chiedi>> lo interrompo, orgogliosa. Non posso cedere a un suo ricatto, anche se la cosa mi eccita parecchio. Tra noi c'è troppo feeling, siamo pieni di energia che in qualche modo dobbiamo scaricare. E come lo facciamo? Litigando, invece di muovere sensualmente le labbra fino a rimanere senza fiato.

È così sbagliato che mi alletta così tanto la sua proposta? Un suo bacio sarebbe tutto ciò di cui ho bisogno. Placherebbe la mia ansia, mi aiuterebbe a credere ancor di più alle sue parole, che per ora sono appese a un filo, in attesa di giudizio.

<<Non voglio questo ma un tuo aiuto.>> Questa rivelazione mi spiazza, non capisco se in positivo o meno. La mia espressione si fa più seria, il mio sorriso si spegne e le labbra formano una linea retta, come quando il cuore smette di battere. Il suo silenzio mi sta snervando, parla su!

<<Aiuto per cosa?>> dico perplessa, distendendo le braccia lungo i fianchi. La borsa sbatte contro le mie ginocchia e le mani cominciano a sudare, seppur ci saranno più o meno quindici gradi. Ho la gola secca come se fossi nel deserto, Matteo è in grado di far evaporare ogni molecola di acqua che possiedo in corpo, con un solo sguardo.

<<Più tardi mi devi dare una mano per sistemare delle cose, quando ti farò gesto davanti a tutti mi seguirai in silenzio senza fare domande>> spiega in modo conciso e io mi tranquillizzo.

<<Solo questo? Mi hai messo paura.>> Posiziono una mano sul cuore, può fare l'attore. Il suo tono era estremamente serio, mi sembrava che stesse per rivelare un segreto che avrebbe cambiato per sempre la vita di qualcuno, invece era una sciocchezza. La sua veracità è poco credibile, se mi fa questi scherzi.

<<Se vuoi ti posso chiedere anche altro.>> Il moro se la ride, si burla della mia ingenuità. Avanza verso di me e io drizzo le spalle, alzando il mento. Il suo tono così sarcastico fa trapelare senz'altro un doppio senso, che a me non lascia per niente indifferente.

<<No grazie, mi basta questo>> affermo ovvia, ma un'idea balena nella mente. Lui mi stuzzica, perché non ricambiare?

<<Per ora>> specifico, in maniera languida. Con cura gli sfilo il cucchiaino dalle labbra e lo stringo tra i miei denti, lasciandolo interdetto. Faccio come ha fatto lui, ci gioco, come avrei fatto con la sua bocca. Che stupida che sono, voglio fare tanto la grande ma non riesco, chissà come apparirò bambina ai suoi occhi.

Non dimostro l'età che ho, visivamente mi danno tutti dalla quattordicenne, forse però quando parlo sembro più matura. È il viso che inganna tutti, questi tratti da ragazzina che mi porto dietro da sempre. Sono praticamente uguale a quando avevo cinque anni, la faccia è solo sfilata e un po' dimagrita, poi ho gli stessi occhi piccoli, sopracciglia fini e arcuate che non ho mai ritoccato, naso a patata e labbra poco carnose.

<<Se fai così non posso non chiederti altro>> annuncia, con voce bassa e roca, avventandosi su di me. Fa aderire la schiena al muro e io gli ricordo che qui affianco a breve uscirà sua sorella, ci vedrà.

<<Sai quanto mi importa...>> Non desiste, passando le dita spigolose sulla pelle del mio collo. Subito dopo cambia rotta e tasta i miei fianchi, infiltrando le mani sotto la maglia di pizzo, fino a toccare il laccetto del reggiseno. Un ghigno soddisfatto esce dalle sue labbra dopo che a me sfuggono dei versi insensati, su quanto sia inopportuno fare tutto questo. Sì che siamo in un angolo nascosto, non passa nessuno, ma ci sono pur sempre le telecamere di sorveglianza.

Respiro affannosamente, portando più avanti che posso il bacino. Non sono io a muovermi, è il mio corpo che ha vita propria. Provo a dire dei dispositivi di sicurezza al mio esaminatore, ma lui scuote il capo, non ha paura di niente.

<<Fanculo tutti.>>

Fregandosene del mio avvertimento, tasta la mia pelle chiara sulla quale ci sono una valanga di nei, che un giorno vedrà. Uno di fianco l'ombelico, dal lato destro, uno sul ginocchio sinistro, che è in quel punto da quando ne ho memoria, da sempre. Una marea di puntini li ho sulle braccia, non si possono neanche contare. Non so perché ma secondo me hanno il loro fascino.

Difatti non mi è sfuggito quello che ha Matteo, alla mia destra. Sono tentata dal toccare quel lembo di pelle, anche baciare, ma mi contengo. Sorrido soltanto, senza farmi udire.

<<Sei scorretto.>> Lo allontano via, a malincuore. Il cucchiaino è ancora stretto tra le mie dita e mi meraviglio che non sia caduto, non avevo più sensibilità, ero un formicolio ovunque. Non volevo interromperlo ma non potevamo continuare.

<<E tu sei illegale>> ribatte e io annuisco, ha proprio ragione.

<<Lo senti?>> Indico con l'indice l'uscita, <<cosa?>> chiede con un cipiglio.

<<Le sirene della polizia, ti stanno venendo a prendere>> lo informo, ridendo della sua espressione seria. Chiude gli occhi e stringe il labbro tra i denti, elaborando bene una possibile risposta.

<<Se ci vieni anche tu magari sarà il posto perfetto per avere un po' di intimità.>> Touchè. Scrolla le spalle e io lo fisso incredula. Che fervida immaginazione. Mi congratulo per la sua proposta, ma rifiuto cortese, spiegando la motivazione.

<<Certo, con altri quattro carcerati direi che possiamo guardarci negli occhi solo noi... >> Il telefono suona e non mi lascia completare la frase. Sarà mamma.

<<Che servizio da hotel di lusso, ti avvisano anche del ritardo>> continua lui la commedia, mentre io cerco il cellulare nella borsa. Mi viene un infarto quando vedo il numero che è riportato sopra. È quel maledetto di Alessio.

Mi viene subito la tachicardia e una fitta mi contorce lo stomaco. Possibile che solo sentirlo nominare mi causa tutto ciò? Certo, ormai a lui mi lega un trauma, e subisco tutti questi brutti effetti collaterali ogni volta che qualcosa me lo ricorda. Presa dalla fretta e dall'ansia, metto una mano per minimizzare la suoneria e con il pollice premo presto il pulsante per rifiutare la chiamata.

L'ho fatto, basta, è passato. Ho chiuso con lui, non l'ho detto per scherzare, lo voglio veramente. Non potrà più ferirmi, non entrerà più nei miei pensieri. L'ho cancellato, il suo nome era ancora scritto a matita sul mio cuore. E allora perché mi sto agitando? Se ormai non vale più nulla? Non lo so... il fatto di avere Matteo qui di fronte mi crea disagio, che spiegazione dovrei mai dargli?

No sai, mi ha ingannata ma vuole mantenere comunque buoni rapporti, vuole fare pace. Che scusa poco credibile, non potrà raccontarla nemmeno a se stesso quell'uomo. Perché mai ha ancora il mio numero? La fidanzata non gli ha sequestrato la scheda? Io l'avrei già fatto. Ma povera, forse non sa nulla... cosa mai potrebbe fare?

<<Chi era?>> domanda tranquillo il fratello della mia amica e io nego con la testa, dicendo che non era nessuno di importante, che non avrebbe dovuto interromperci.

<<La mia amica, sarà che voleva confermare per stasera.>> Invento una scusa al momento, cacciando il telefono da dove l'ho preso, il posto dove sarebbe dovuto rimanere, per non rovinarmi la giornata. Invece ci è riuscito, ma nuovamente Matteo mi starà vicino e mi farà dimenticare di averlo conosciuto.

<<Oh ragazzi, che ci fate qui?>> Alice sbuca dal nulla, menomale Dio che non ci ha visti come eravamo poco fa. Vedi a che servi, Alessio? Senza saperlo ti sei schierato dalla mia parte e mi hai aiutata a tenere ancora una volta nascosta la simpatia che nutro verso questo ragazzo dagli occhi verdi, che ha un cuore limpido e sincero, a differenza tua.

<<A Valeria è arrivata una telefonata e siccome non sentiva bene si è allontanata>> incalza Matteo, mentendo spudoratamente anche lui. Questo sì che mi fa sentire in colpa, lui sta dicendo una bugia alla sorella a causa della sottoscritta, non è giusto. Beh, stavolta posso dire che è colpa di entrambi, non solo mia. Lui mi ha portata qui dietro, mica io.

<<Le scarpe?>> Cambio discorso, vedendo che è a mani vuote.

<<Non me ne parlare, c'era un modello così carino ma non avevano il mio numero.>> Batte una mano in fronte, avvilita. Posso comprenderla, anch'io ho il suo stesso problema però inverso, perché porto il trentanove e a volte anche il quaranta. Lei ha un piedino da fata, quanto la invidio con quel trentasei o trentasette!

<<Non esco di qui finché non trovo ciò che cerco>> dice determinata, rimboccandosi le maniche. Getta nel cestino la coppetta del gelato ormai vuota e mi prende sottobraccio.

<<Andiamo a fare un giro, vah!>>

<<No no, non vengo con voi, vi aspetto in macchina.>> Si mette sulla difensiva Matteo, in effetti è già stato troppo paziente tra ieri e oggi, che si è sorbito i nostri continui cambi di umore e ha percorso chilometri per seguirci ovunque.

<<Uff, va bene, basta che non ci lasci qui>> borbotta Alice un po' tristemente. Deve comprendere che trascinare un ragazzo per tutto il centro commerciale non è per niente piacevole, io stessa se potessi seguirei i passi del fratello.

<<Non vi assicuro niente, adiós>> ci saluta con due dita sopra la fronte e se la svigna.

<<Dobbiamo andare anche dal parrucchiere, ci vediamo tra un paio d'ore>> urla la mia compagna di shopping, quando ormai lui è troppo lontano per sentirla.

<<Tu vieni con me>> intima e alzo gli occhi al cielo, non voglio andare dove dice lei, riesco a farmi i capelli anche da sola.

Prima mi porta a scegliere un paio di tacchi, ma non riesce a convincermi a comprarli. A casa ne ho un paio veramente carine, alte sì perché saranno almeno otto centimetri, devo solo imparare a camminarci. Sono nere e hanno degli strass lungo il pezzo davanti. Saranno veramente scomode ma fanno la sua bella figura.

La mia amica entra in un altro negozio e riesce a trovare delle scarpe della sua misura. Sono anch'esse nere, tacco vertiginoso di almeno dodici centimetri, tutte piene di brillantini non in rilievo. Con queste sì che supera la mia altezza! Il mio metro e sessantacinque mi fa avere un vantaggio di almeno cinque centimetri, ma con queste lei sarà più alta di me stasera. D'altronde, deve essere all'altezza di chi so io.

<<Giovanni ti adocchierà subito, così alta.>> Le faccio un occhiolino e lei copre il viso dalla vergogna. Ora capisco perché non le andavano bene quelle che già aveva, non erano adatte perché non le avrebbero fatto raggiungere le spalle di quel ragazzo! Furba lei.

<<A parte gli scherzi, stai molto bene, ti slanciano tantissimo la figura>> dico onestamente, vedendo come mi supera, finalmente per una volta non sono io la più altra tra le mie amiche.

<<Mi preoccuperei se non lo facessero.>> Ride, pagando alla cassa e uscendo con il suo acquisto.

<<Ma tu ci sai camminare sui tacchi? Non vorrei facessi una figuraccia più tardi!>> Mi sfotte lei, come darle torto. A me piacciono, ma non li indosso praticamente mai, solo ai matrimoni e alle ricorrenze importanti che ultimamente non ho avuto.

<<Grazie per l'incoraggiamento e la fiducia>> replico sarcastica, immaginando cosa combinerò più tardi. Ci manca solo che metto male il piede e prendo una storta alla caviglia, finendo a mani e ginocchia contro il pavimento. Mi romperei sicuramente qualcosa, è la volta buona che torno a casa con delle bende al braccio o alla gamba.

Vabbè, tanto Matteo mi ha già vista in qualsiasi modo: appena sveglia, tutta sudata dopo una corsa, affamata come stamattina, uscita dalla doccia, triste come l'altra sera, con le lacrime che solcavano le guance. Non temo più nulla, è una cosa in più che aggiungerei alla lista della mia goffaggine. Se dovessi cadere, ci sarà lui a sostenermi, non mi lascerà sola, specialmente dopo aver fatto pace con quel patto, siamo di nuovo uniti. Non farò più niente per tenerlo lontano, non è ciò che voglio.

Io e la mia amica ci incamminiamo in cerca di un negozio di parrucchieri qua dentro, che lei ha adocchiato l'altra volta che ci siamo state. Sicuramente ci taglieranno la testa per i prezzi che avranno, per stare dentro un centro commerciale dovranno pagare molte tasse e un affitto prospicuo.

Cominciamo a chiacchierare e mentre passiamo vicino una panchina, noto due ragazze molto strane, che si coprono il viso e si girano. Le guardo meglio perché mi hanno messo curiosità, sono forse così brutta che non mi posso vedere? Mah, non so che pensare, la gente è strana. Passo avanti e non le degno più di uno sguardo, come loro hanno fatto a me. A un tratto mi giro quando sono ormai lontana e giuro di aver già visto una delle due ragazze da qualche parte.

Quei lunghi capelli biondi non passano inosservati, anche se sono legati sono uguali a quelli che ho visto in quella maledetta foto. No, ora ricollego tutto. Fisso avanti e non mi volto più, rallentando il passo e rimanendo per fortuna molto indietro rispetto ad Alice. Mi blocco totalmente per un secondo, le mie gambe si fanno pesanti, tutto il mio corpo si irrigidisce, divento un tronco.

È lei... la fidanzata di quell'impostore! Ma come fa a conoscermi? Quando mi avrebbe vista? Scuoto la testa, non mi ha mai adocchiata da nessuna parte, allora come ha fatto a capire chi sono? Perché è palese che sappia chi sono, se ha cercato di nascondersi. Tante idee mi frullano in testa, magari lei sa tutto ciò che ha combinato Alessio, è stata ben informata da... Cinzia! Certo, come ho fatto a non dire subito il suo nome.

Si sono alleate con un unico obiettivo: distruggermi. Oh santo cielo. Ho una voglia matta di ritornare indietro e urlarle in faccia che quell'ipocrita se lo può ben tenere, anche più stretto se non lo vuole ritrovare assieme a qualcun'altra. Le sbatterei lo schermo del cellulare in faccia, facendole leggere il nome del suo amato che ha tentato di chiamarmi. Mi fanno schifo, tutti e tre adesso.

Lascio perdere il bambino che non ha colpe, è stato solo un modo per accalappiarsi il ragazzo affinché non vada con le altre, perché adesso ha più responsabilità. E poi la madre ha avuto il coraggio di darmi della rovina famiglie, della ruba fidanzati, anche se a svignarsela è stato il figlio e io sono l'unica vittima in tutta questa storia. Tutti hanno pensato solo ai loro interessi, hanno fatto i loro comodi e lui mi ha usata, ma la colpevole sono soltanto io, così dicono.

Per fortuna che ho scoperto tutto in tempo, ringrazio le due donne per avermi allontanata da questa famiglia di pazzi, che si divertano a raccontare i loro problemi allo psicologo, io penserò ai miei. Senza far insospettire Alice, la raggiungo correndo. Inghiotto la saliva e faccio un bel respiro, smettendola di tremare, mi devo tranquillizzare. Non devo essere nervosa per qualcosa che ormai ho chiuso e non ricordo più, possono fare ciò che vogliono, gli auguro tanta felicità, la stessa che avremo io e Matteo.

<<Che c'è? Sei stanca?>> prorompe Alice, vedendomi con un'espressione tramortita.

<<Sì, un po'>> ammetto, sorridendo per non farle capire niente. Ho assestato il colpo, niente potrà rovinare questo giorno.

<<Dai, ora dal parrucchiere verrai trattata come una regina.>> Gesticola, creando un arcobaleno. Le credo, sarà così. Penso solo a cose belle, alla faccia del mio quasi ragazzo non appena mi vedrà. Non so come li vorrò pettinati, ma sarà qualcosa di semplice, ho già un'idea. Mi faccio bella per Matteo, non per Alessio, lui non mi vedrà mai più. Anzi, mi faccio bella per me, voglio vedere la mia immagine cambiata, per alzare la mia autostima.

La ragazza del negozio ci accoglie calorosamente e ci fa accomodare su delle poltroncine e io mi rilasso, non pensando più a nessun triangolo amoroso.

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Spazio autrice
Buongiorno tesori e buona domenica 🎀 Come sempre se vi è piaciuto lasciate una stellina ⭐️ e se avete tempo anche un commento❣️come vi è sembrato questo capitolo? Abbiamo visto che Alessio ha finalmente trovato il coraggio di chiamare Valeria ma lei non ha risposto... 😣
Mi sembra pure comprensibile visto quello che le ha fatto passare! Comunque abbiamo scoperto che Valeria ha visto Sofia e l'ha riconosciuta, secondo voi quando si incontreranno alla festa che faranno? 😆 se ci sono ripetizioni vi prego di farmelo sapere, se trovate errori e tanto altro! Scrivo veramente di fretta, anche se lo rileggo più volte qualcosa mi può sempre sfuggire 😅 non è facile scrivere capitoli di 4-5-6 mila parole in 3 giorni! 🤣
Ditemi i vostri pareri 🌸
(Scritto nel 2019, il seguente appunto 🙈)
Oggi vorrei ringraziare una cara lettrice sofyatte, un'amica che ho conosciuto qui su Wattpad che ha letto la mia storia e mi ha fatto i complimenti in chat privata, dicendomi che se un giorno dovessi pubblicarla lei sarebbe la prima a compratala! È un tesoro! 😍 e niente, passate una buona giornata! Baci 😘
~Sabrina~ ❤️

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