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126. Sophie (flashback)

Settembre 2012

(Sophie, essendo nata nel 1997, ha quindici anni)

Se dovessi citare una delle mie scrittrici preferite, direi che "oggi succederà qualcosa di terribile". La piccola differenza fra me e la protagonista di quel libro è che a me qualcosa di terribile è già successo, mentre a lei ancora non è accaduto niente di male (escludendo per un solo istante la morte prematura dei suoi genitori).

Non ho mai voluto essere una vittima, eppure credo di esserlo diventata, in modo involontario, a causa del mio primo ragazzo, o del mio primo amore. Be', non so dire se era veramente amore quello che ci legava, ma ci andava abbastanza vicino, soprattutto dal canto mio.

Dal suo, non credo proprio. Se davvero fosse stato innamorato di me, avrebbe evitato di ridurmi nello stato in cui sono ora.

Mi chiamo Sophie Watson, ho quindici anni e tre mesi fa sono stata violentata dal mio ragazzo, Christian Brooke, di tre anni più grande di me. No, non è la presentazione del mio curriculum, ma è un dato di fatto e qualcosa che purtroppo mi perseguiterà per sempre, e che anche se non è citato nel mio curriculum, avrà lo stesso peso nella mia vita.

Quando le persone mi chiedono di presentarmi, dico semplicemente che mi chiamo Sophie Watson e che ho quindici anni. Basta, stop. Eppure la gente dovrebbe sapere che il mio primo ragazzo mi ha violentata.

Be', lo saprebbe se io avessi deciso di raccontare ai miei genitori ciò che mi è successo. Ma se l'avessi fatto, avrei dovuto andare incontro al giudizio di tutti e non l'ho mai fatto perché probabilmente non sono pronta ad un passo del genere.

Sono timida, introversa e cerco sempre l'approvazione di chiunque. Non dico che sia sbagliato, ma a mio malgrado devo ammettere che a me ha sempre dato qualche problema, soprattutto di tipo sociale e/o relazionale.

Ed è il motivo per cui, a quindici anni, mi ritrovo con gli stessi amici di sempre.

Ariana Harris, simile a me, ma un po' più timida.

Shelley Puckett, quella più spavalda, completamente disinteressata all'amore e ai ragazzi in generale.

Daisy Lawrence, quella che invece ha baciato tutta la scuola. No, non è una puttana... è solo in cerca di attenzioni da parte del padre, che l'ha abbandonata. Non dico che il suo comportamento sia giusto o sbagliato, ma è la mia migliore amica e voglio che stia bene.

Cameron Rollins, il migliore amico di Shelley e di Julian Canning, il mio migliore amico. Ci siamo conosciuti il primo giorno di prima elementare e da allora siamo inseparabili. Per mia madre è come un quarto figlio, una sorta di fratello maggiore per la sua unica figlia femmina, anche se in realtà lui è nato a settembre ed io a maggio, e questo fa di me la maggiore.

Tutti hanno sempre pensato che Julian ed io fossimo la coppia perfetta. Medie scolastiche alte, diligenza al massimo, buonissima intesa, amici da una vita... alcuni nostri coetanei addirittura pensano che ci sposeremo appena terminato il college (io dopo una laurea in psicologia, lui in astronomia), che vivremo a Londra, con i nostri quattro figli.

La verità?

Julian è innamorato di Ariana da due anni e credo che ormai non ci sia speranza per "farlo disinnamorare". Ariana l'ha sempre considerato un amico e non credo che la situazione possa cambiare un granché, ma naturalmente spero sempre che i due siano felici.

Ed è la stessa cosa che spero per la mia famiglia. I miei genitori si sono conosciuti quand'erano ancora troppo giovani per capire che cosa realmente fosse l'amore. E questo li ha portati a sposarsi quando avevano appena vent'anni. Mentre cercavano una casa adatta dove vivere e crescere i loro figli, mia madre è riuscita a laurearsi, mentre mio padre è entrato nell'azienda della famiglia Watson, prendendo il posto di mio nonno Paul. Quattro anni sono nati i gemelli Travis e Teddy, e l'anno seguente mio padre chiede a mia madre una femmina. I due però erano troppo impegnati in quel periodo: mia madre è rimasta a casa per due anni, accudendo i miei fratelli, mentre mio padre lavorava; poi ha lasciato i gemelli a mia zia Francesca, a quel tempo trentenne, single e senza figli.

Solo cinque anni dopo la nascita dei miei fratelli finalmente mia madre ha finalmente avuto l'opportunità di avere un'altra figlia, ovvero io. Papà era così contento che è riuscito a stabilire una connessione completamente superiore rispetto a quella che mia madre ha creato con me, durante i miei primi anni di vita. Ed è questo il motivo per cui io e lui andiamo così d'accordo.

Se fossi meno codarda probabilmente avrei raccontato a mio padre tutto quello che è successo con Christian, ma poi ho cambiato idea, considerato il fatto che preferisco combattere questa guerra da sola, senza l'aiuto di nessun altro. E poi Christian è andato... non lo rivedrò mai più.

Nonostante questo, però, so che lui sarà sempre con me, un po' come una cicatrice. Per eliminarlo completamente dovrei avere dei poteri magici, gli stessi che userei per rivedere mio nonno Louis, morto quando ho otto anni.

Ho sempre pensato a lui come una sorta di angelo custode, che mi fa sorridere anche nei momenti più bui e che mi ricorda sempre di non essersene andato veramente. Credo che lui sia accanto a me in ogni istante, che non se ne fosse andato con l'immagine di una Sophie di otto anni, bensì di una che ne ha quindici. E questo mi rassicura.

Lo vedo come una figura onnisciente, che prima di morire ha saputo tutto quello che c'è da sapere. Compreso il mio futuro e quello che mi capiterà. Incluso Christian, quindi.

Perciò sì, qualcuno della mia famiglia sa ciò che mi è successo, e questo mi aiuta a non sentirmi in colpa. Mio nonno però non conta in questo momento... della serie di persone che devono sapere quello che mi è successo lui purtroppo non ne fa parte.

E quel giorno, dopo essere tornata a casa da scuola, ho realizzato che lui era davvero morto. Andato. Che non lo avrei mai più rivisto in quel mondo, che avrei dovuto aspettare.

Mi sentivo sola, vuota, inutile. Completamente distrutta, bruciata, privata. Christian mi ha ridotto a brandelli e sebbene riuscissi a nascondere questo dolore quand'ero in compagnia, nelle situazioni in cui mi trovavo da sola... sopravvivere era difficile.

Così, quel giorno, è cominciato qualcosa che non avrei mai dovuto iniziare. Ero sola a casa, erano da poco passate le tre. Mamma era a scuola, per una riunione scolastica; papà in ufficio, insieme ai suoi colleghi; Teddy e Travis, invece, erano al club di tennis.

Ero sola contro il mondo, perché anche se i miei migliori amici sono al corrente di tutto quello che è successo, non hanno idea di quale nubifragio stia attraversando. La mia anima somiglia ad un mare in tempesta. I miei occhi sono quasi sempre bagnati dalle lacrime e il mio viso nascosto da una maschera di qualcuno che sorride.

Ancora non posso sapere come spegnere quest'incendio. Ma l'unica cosa a portata di mano sono sputi, cioè il niente, il meno utile. È possibile spegnere un incendio con gli sputi?

Ci ho pensato per diverso tempo. Ricordo quante volte ho preso in mano un temperino e poi, con le dita che tremavano, l'ho rimesso a posto.

Ma quel giorno non ce l'ho fatta. Ho preso il temperino e l'ho distrutto, ricavandone una semplice lametta. Ho letto tante cose riguardo a quelle persone e mi ero sempre chiesta per quale motivo lo facessero.

Be', ora ho una risposta.

Quel giorno sono andata in bagno. Mi sono guardata allo specchio e ho visto qualcuno che non mi somigliava più: era una ragazza con gli occhi rossi, gonfi, le labbra screpolate e un sorriso bruciato sul volto.

E poi, piangendo e pensando che fosse la cosa più naturale del mondo, ho appoggiato la lametta sul braccio, ho spinto forte e l'ho strisciata. All'inizio percepivo solo un leggero fastidio. Il metallo contro la mia pelle, mi dicevo... ed era realmente così. Poi, quando il sangue cominciava a sgorgare dai tagli, cambiavo idea.

Le mie lacrime rigavano il viso, cadendo a terra, sul braccio, sulla mano... sui tagli. Non mi ero mai sentita in quel modo, eppure mi faceva stare bene: mentre il sangue esce a gocce dai tagli mi sento euforica, leggera, come se il dolore fisico riuscisse ad annebbiare quello psichico. Sentire i tagli che pulsano per il dolore quando un misto di orgoglio, paura e vergogna mi assalgono.

E quello è stato il primo di tanti altri giorni.

Di giorni in cui preferivo indossare felpe con le maniche lunghe, giorni in cui invece di piangermi addosso preferivo tagliarmi e vedere il sangue, giorni in cui volevo solo scappare dall'incubo che sto vivendo e continuare a credere che prima o poi avrei smesso di vivere, che quei tagli mi avrebbero portato alla morte.

E quella era l'unica cosa che mi interessava. L'unica cosa che volevo.

Morire.

Mancare.

Sparire.

Perché non c'era dolore più grande di vivere ricordandosi di Christian, della sua forza, delle sue parole, della sua violenza, ogni volta che chiudevo gli occhi.

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