96. || Sophie.
A metà pomeriggio la maggior parte dei nostri amici cominciano a tornare ognuno del rispettivo nido.
Liam sta amabilmente dialogando con Alexandra e non voglio interromperlo, però ho la necessità di tornare a casa. Così, mi avvicino lentamente e, quando mi trovo a pochi centimetri da Alexandra, Liam mi guarda sorridendo.
«Voglio solo sapere a che ora pensi di tornare a casa» mormoro, sorridendo.
Alexandra si concede una piccola sberla sul volto.
«Caspita!» inveisce, «ma che ore sono?»
Il suo sguardo finisce sull'orologio da polso che indossa. Si porta una mano sulla bocca e impreca sotto voce.
«Qualche problema, mamma?» chiede Daisy, dalla cucina.
«Alle quattro e trenta mi aspettava tuo padre in aeroporto!»
Daisy lascia cadere a terra i piatti di plastica e spalanca la bocca. Le sue dita tremano e il suo sguardo è immobile sul parquet.
«Daisy!» ringhiò Damon, «Daisy!»
Scuote il capo e, dopo aver sospirato a lungo, lancia uno sguardo a sua madre. Alexandra la guarda con aria mortificata. So bene il motivo della sua reazione: Daisy non resta con suo padre per almeno un'ora da due anni. A volte Jo passava da Londra, ma solo per salutarla.
Mi ricordo ancora un episodio di qualche mese prima, quando eravamo ancora al liceo. Eravamo sedute sulle panchine di pietra della nostra scuola e stavamo aspettando Ariana, impegnata con il club di lettura fino alle quattro. Ad un certo punto il clacson di una macchina ci ha spaventate. Daisy avrebbe riconosciuto quell'auto ovunque: grigia, malandata, con un adesivo della bandiera albanese sul finestrino. Insieme abbiamo raggiunto l'automobile e suo padre ha abbassato il finestrino sorridendo.
«Non ho molto tempo» le ha detto, «ma questi sono per te»
E mentre Daisy pensava al fatto che quella frase l'avesse ripetuta per un anno intero, ha intascato i cinquecento dollari del padre, quelli che ogni due o tre mesi riusciva ad ottenere.
Al mio fianco, Liam mi afferra la mano.
«Scusami, avrei dovuto dirtelo» mormora Alexandra, avvicinandosi a sua figlia.
«Perché sta tornando a Londra?» domanda Daisy, «pensavo avesse deciso di rimanere in Albania con i nonni»
Alexandra sospira.
«Non ne ho idea, tesoro. Mi ha chiesto di passare a prenderlo perché non ha abbastanza benzina nell'auto, che ha lasciato vicino all'aeroporto...»
«...prima di partire di nuovo senza dircelo» conclude Daisy per lei.
Quante volte ho udito discorsi di questo genere negli ultimi due anni? Forse anche troppe.
A volte al liceo chiamavano il nostro gruppo "No-Parents", perché la maggior parte dei componenti vivono con una sola figura familiare.
Il padre di Julian, Ian, ha abbandonato la madre, Ashley, poco dopo il secondo compleanno del mio migliore amico. A quel tempo, le sorelle maggiori di Julian, Aria – di otto anni più grande – e Mona – di dodici anni più grande – erano quasi delle ragazzine, ma qualsiasi loro sogno è stato bruciato per colpa di Ian.
Il padre di Ariana, Stefan Harris, ha lasciato Londra cinque anni fa per trasferirsi in Israele e difendere le popolazioni dell'Israele dalla guerra.
Mio padre è stato cacciato via da mia madre dopo il tradimento. È partito un venerdì sera, senza lasciare orme di sé all'interno di quella casa, e da allora non ha più osato rimetter piede dentro.
Il padre di Daisy, Jo, ha lasciato Alexandra e la figlia poco più di due anni fa. I primi mesi abitava a Edimburgo, da una sorella maggiore, e frequentava Daisy regolarmente; poi la situazione è cambiata: viaggiava quasi tutte le settimane da Londra all'Albania e la maggior parte delle volte Daisy non ne era neanche informata.
Prima del trasferimento al college suo padre le faceva visita, portandole dei soldi, ma da luglio non lo vedeva più, poiché ha smesso di chiamarla. Si limitava a mandarle delle lettere, senza allegare neanche cinque dollari.
Shelley e Cameron sono gli unici che si salvano.
I genitori della mia amica – Camila e Paul – sono sposati da ventisette anni e hanno un figlio maggiore di ventiquattro anni, Tyler. Shelley e suo fratello sono abbastanza legati, anche se ormai lui vive in un appartamento suo e fa visita alla famiglia una volta alla settimana.
Cameron, invece, è figlio unico; vive con sua madre Lily, un'insegnante delle elementari, e Simon, un dottore. Per questo stesso motivo Cameron ha deciso di intraprendere la laurea in Medicina.
Mi risveglio all'improvviso. Liam mi sta stringendo la mano. I miei occhi incontrano i suoi e una piccola smorfia appare sul suo volto. Per un secondo ripenso a Ginger, nascosta in una delle sei stanze del piano di sopra, e sono sollevata al pensiero che non sappia che razza di problemi abbiamo avuto al liceo.
«Mi dispiace» mormora nuovamente Alexandra.
Daisy scuote il capo e sorride.
«Non importa, mamma. Se devi andare è meglio che tu parta ora. Ti chiamo io, va bene?»
Alexandra annuisce e si avvicina per baciare la figlia. Daisy le concede di abbracciarla più forte di quanto abbia mai fatto nell'ultimo periodo, poi si staccano e Damon bacia le guance di Alexandra.
Mentre la accompagna alla porta, Daisy mi viene incontro e mi abbraccia. La stringo forte a me e le accarezzo i lunghi capelli neri.
«Mio padre ci ammazzerà appena scoprirà che sono incinta e che mi sto per sposare» piagnucola.
Cerco di calmarla.
«Non ti preoccupare, Daisy» mormoro, «non succederà proprio niente. Ti sposerai con Damon, darai alla luce un figlio splendido e sarai felice. Per sempre»
Daisy singhiozza ancora per qualche secondo, poi Damon la scorta nella loro camera. Ha bisogno di riposo: il trasloco, il bambino, sua madre e il pranzo la stanno stressando troppo e questo non è affatto un bene per lei e per la gravidanza.
«Grazie mille per essere venuti» mormora Damon, appena tornato.
«E' stato un piacere. Grazie per averci invitati» replico io.
Mi sorride, poi si avvicina per abbracciarmi. Ancora non mi capacito del fatto che Damon sia il fidanzato della mia migliore amica, ma cerco di conviverci.
«Buona serata» esclama.
«Anche a te» risponde Liam.
Apre la porta e usciamo dalla casa, dirigendoci verso l'auto di Liam. La sua mano tiene la mia e sento i suoi occhi sul mio viso.
«A cosa pensi?» domando, sorridendo.
«A Damon, al coraggio che ha avuto a chiedere la mano ad una ragazzina di diciotto anni. Non lo dico perché mi fa schifo, ma perché mi ha veramente... colpito»
Liam sospira e incontra il mio sguardo. Grazie a quest'occhiata apprendo che anche Liam ha cambiato idea sull'immagine di Damon, ma in questo momento non lo direbbe mai apertamente. E sinceramente un po' posso capirlo. Io non ho mai enunciato a voce alta quanto adori Ginger.
Arriviamo a casa in silenzio, senza proferire parola. Entrambi abbiamo altri pensieri per la testa: Daisy, Damon, l'imminente figlio, l'università. In più, anche se Liam cerca di sviare l'argomento ogni volta che propongo di discuterne, si stanno avvicinando le vacanze di Natale e questo significa dover organizzare una cena con le nostre famiglie.
Jennette chiamerà sicuramente per proporre a Liam di mangiare con loro. Nonostante sia la ragazza di Liam da un mese mi adora come se fossi già sua nuora.
Nel momento stesso in cui penso a questa parola mi torna in mente la dichiarazione di Liam: non vuole sposarsi, non vuole trovare una moglie, amarla fino al resto dei suoi giorni, donarle dei figli e renderla felice ogni singolo istante.
Non dovrei pensarci, anche perché trovo strano rifletterci se stiamo insieme da così poco tempo.
La prima volta che ho scritto sul mio diario di volermi sposare avevo quattordici anni. Ho anche inserito una fotografia dell'uomo che mi sarebbe piaciuto amare per il resto dei miei giorni. Un attore, il primo amore di qualsiasi altra adolescente.
Poi le cose sono drasticamente cambiate.
Christian ha distrutto ogni mio sogno, ogni mio desiderio e ogni mia passione, riducendomi allo stato di un vegetale.
Non mangiavo, non dormivo, non bevevo.
Non vivevo più.
Mia madre era troppo preoccupata a firmare le carte per il divorzio e per questo non s'era minimamente resa conto di cosa stessi attraversando.
Teddy aveva appena cominciato l'università; era impegnato con gli esami, con le partite di tennis al club e con le spese della casa, cosa di cui si era sempre occupato mio padre.
Travis, invece, frequentava a tempo pieno il club sportivo, per dimenticare momentaneamente ciò che nostro padre ha inferto a tutta la sua famiglia. So anche che è stato alcolizzato per diversi mesi, ma lui non è a conoscenza del fatto che io sappia.
Fin da quando sono bambini, Teddy e Travis si sono personificati rispettivamente in mia madre e in mio padre. Perciò, quando mio fratello maggiore ha scoperto ciò che nostro padre ha commesso, il mondo gli è crollato addosso.
Sinceramente non lo biasimo e non lo giudico affatto. Anche io avevo un gran rapporto con mio padre. Era un uomo gentile, onesto, buono; amava suonare la chitarra e il pianoforte, giocava a calcio con qualche collega e disprezzava le zucchine. Ricordavo così bene mio padre che spesso mi chiedo se anche quella sia stata una copertura oppure no.
Mia nonna materna, Theresa, e sua figlia maggiore Francesca vivono troppo lontane da noi per gestire la situazione. Chiamavano qualche volta a casa, per sapere come stavamo, ma non erano mai passate a trovarci.
Ad essere sincera nemmeno noi.
Eravamo troppo grandi per andare a trovare nostra nonna; eravamo troppo impegnati per incastrare una visita alla famiglia tra un esame e un pagamento dell'affitto.
Teddy era passato qualche volta nell'ultimo anno. Era tornato a casa con una torta e il regalo di compleanno di mia madre, poi ha smesso di frequentare casa di mia nonna.
Nonostante tutto la adoravo. Era una donna burbera, simpatica, affettuosa; mia zia Francesca, invece, era molto riflessiva e somigliava molto a mia madre.
Ma l'abbandono alla famiglia di mia madre non fu l'unico. Dopo il tradimento, smisi di vedere anche il ramo paterno.
Mio nonno Paul e mia nonna Elena vivevano ancor più distanti, perciò andavamo a trovarli solamente durante le vacanze di Natale e quelle estive, e ad ogni compleanno ci inviavano un assegno.
Abitavano in un piccolo appartamento, dove si erano trasferiti dopo il matrimonio della sorella più piccola di mio padre, Melanie, si era sposata con il suo fidanzato, Maxwell.
I due si erano trasferiti a Glasgow dopo la nascita della loro prima figlia, Summer, di quattro anni in meno di me. Pochi anni dopo era nata la sorella minore, Carlie, di sette anni più piccola di me.
Durante i primi anni della mia adolescenza ho avuto un rapporto piuttosto intenso con loro, in seguito al tradimento di mio padre ho interrotto qualsiasi contatto.
Il periodo dai quindici a diciassette anni è stato il peggiore di tutti: non solo c'è stata la violenza di Christian, ma anche il tradimento di mio padre e il divorzio dei miei genitori. Queste tre ferite aperte sanguinano ancora e non ho trovato il modo di tamponarle definitivamente.
Liam inchioda improvvisamente. Scuoto il capo per riprendermi e mi volto per guardarlo. Le sue mani, ancora strette attorno al volante, tremano e i suoi occhi sono fissi a mezz'aria.
«Liam!» grido, «Liam! Cazzo, rispondimi!»
Si scrolla poco dopo e si volta a guardarmi. Deglutisce ancora spaventato e, dopo qualche secondo, riprende a respirare normalmente.
«Scusami» mormora, «stavo pensando e...»
«Non importa» taglio corto io.
Gli accarezzo una guancia dolcemente e lui mi bacia la mano. Le sue labbra sono gelide. Incontro il suo sguardo e gli rivolgo un grande sorriso.
Dopo essermi slacciata la cintura di sicurezza scendo dall'auto e percorro a piedi la strada che divide la macchina e il portone d'entrata al condominio. Liam apre la porta e mi riprende per mano; mentre saliamo le scale non osa separarsi da me neanche un istante.
È questo che amo di lui.
Fa di me la sua certezza anche nei momenti meno delicati. Ed è lodevole.
Una volta in casa mi tolgo le sparpe e la giacca, appendendola. Liam va in cucina e si versa da bere un bicchier d'acqua, come per calmarsi da ciò che è appena successo.
Lo raggiungo. «Ehi» mormoro, «sei sicuro di stare bene?»
Liam trangugia un altro sorso d'acqua, poi sorride.
«Certamente» risponde, «io... vado a studiare»
Accarezzo nuovamente il suo volto, poi gli concedo un piccolo sorriso riconoscente. Abbassa il suo viso e con le labbra carnose raggiunge le mie. Mi bacia dolcemente, tenendo le braccia ben salde dietro di me, come per trattenermi più a lungo accanto a lui. Le mie dita si allacciano dietro al suo collo e il bacio continua a farsi sempre più fugace.
Con il fiatone le sue labbra si scansano dalle mie e soffia su di esse.
«Mi sono dimenticato di dirti una cosa»
Alzo un sopracciglio. «A che cosa ti stai riferendo?»
«Non voglio sposarmi, è vero» mormora Liam, «ma questo non significa che io non voglia trascorrere il resto della mia vita con te. So che è passato poco tempo da quando ho deciso di instaurare una relazione con te, ma so con esattezza quali sentimenti provo per te. Forse non sono così forti da giurarti amore eterno, ma ho intenzione di trasformarli in qualcosa che ci assomiglia. Se qualcuno mi chiedesse come faccio ad amarti così tanto, sebbene ci conosciamo solo da settembre, risponderei che è stato amore a prima vista, ma ero ancora troppo stupido per capirlo. Con te ho avuto la prova di due fatti che ho sempre considerato futili: l'amore, primo, e l'amore a prima vista, secondo, esistono davvero. Voglio renderti felice come Daisy, come Ariana e come Shelley. Magari non come le nostre madri, ecco... ma voglio che tu sorrida sempre e che tu non abbia mai motivo di pensare come sarebbe andata se non avessi scelto me»
Una piccola risata di sorpresa mi sfugge dalla bocca. Sorridendo mi alzo in punta di piedi per baciarlo; una, due e tre volte, delicatamente.
«Io avrei comunque scelto te, sappilo»
Questa volta è lui a chinarsi per baciarmi. Le sue mani prendono il mio viso e lo attirano verso il suo volto.
«Dovresti andare a studiare» gli dico, dopo che si stacca da me.
«Agli ordini, signorina Watson!» esclama lui ridendo.
Mi stampa un altro bacio, poi lascia la cucina e raggiunge la sua stanza per poter studiare in pace.
Liam non è perfetto.
Non è il ragazzo che ti prepara la cena. O che ti lascia un bigliettino con scritto per quale motivo è uscito di casa. Non è il ragazzo che ti compra i fiori al mesiversario. O che ti compra un anello all'anniversario. Non è il ragazzo che ti dedica frasi strappalacrime su Facebook. O che compone una poesia per dimostrare quanto ami la propria ragazza. Non è il ragazzo che qualche anno fa ho desiderato di avere il mio fianco.
Ma va bene lo stesso, sono ugualmente felice.
E non smetterò mai di esserlo se lui sarà al mio fianco.
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