90. || Sophie
La mattina di sabato è complicato alzarmi. Non ho chiuso occhio sia per la frase sia a causa dell'incubo che ho avuto, una sorta di visione, mentre mi rideva in faccia.
Liam si è alzato prima di me e mi ha preparato il caffè, in silenzio, ma con tanto impegno. L'ho divorato senza proferire parola.
Successivamente, mi sonoo filata in bagno evitando così una discussione con il mio ragazzo e ho cercato di svegliarmi almeno un po', facendo una doccia calda.
Non è servito a nulla.
E neanche il fondotinta serve a coprire le cupe occhiaie che ho stampate sul viso. Provo con un po' di mascara, ma è del tutto inutile, perciò ci rinuncio. Lascio i capelli sciolti e torno in camera.
Liam è già vestito.
Gli rivolgo un sorriso, poi apro il mio armadio. Tiro fuori dei jeans neri, una T-shirt a fiori e un cardigan bordeaux. Non voglio risultare formale per quel cretino, perciò scelgo dei vestiti assolutamente normali, che indosserò in qualsiasi altra situazione.
Una volta pronta, Liam si avvicina. Non gli ho nemmeno dato il buongiorno, forse lui sì, ma sinceramente non ho ascoltato. Senza dire niente, mi stringe a sé e mi bacia la testa.
A volte mi soffermo a pensare e ad osservare quei venti centimetri di altezza che ci dividono. Semplicemente li adoro.
«Ricordati che qualsiasi cosa accadrà oggi io sarò sempre al tuo fianco. Potrai stringere la mia mano e guardarmi, io ti aiuterò a sopravvivere oggi... e per sempre» sussurra Liam, aggiungendo un piccolo sorriso.
Ricambio il gesto e lo stringo più forte. Liam è così gentile nei miei confronti che a volte dimentico quanto sia stato bastardo prima che la nostra relazione cominciasse. A volte dimentico troppe cose del ragazzo che ho davanti.
«Grazie» balbetto, con la gola secca.
Un piccolo sorriso riconoscente appare sul mio viso.
* * *
Nel momento in cui entriamo in tribunale il mio cuore comincia a battere più forte del previsto. Dopo aver oltrepassato il metal detector, ci dirigiamo verso il banco informazioni.
La mia mano è stretta in quella di Liam e i miei occhi girano vorticosamente da un oggetto all'altro. Fortunatamente, è Liam a trainarmi verso qualcuno che scopro essere mio fratello.
Lascio la mano del mio ragazzo e corro ad abbracciarlo. Travis non è cambiato per niente dall'ultima volta che l'ho visto, anche se probabilmente ha aumentato la sua massa muscolare. Frequenta, insieme a Teddy, il club sportivo vicino a casa, ma non so se bazzichi ancora da quelle parti dopo il litigio con mia madre.
Oggi indossa dei jeans scuri e una maglietta attillata nera, che risalta ancor di più i suoi addominali. Travis sembra il fratello maggiore spocchioso, al quale non interessa nulla della sorella minore, ma non è affatto così.
Si è sempre preoccupato per me, come se fossi una piccola bimba, o addirittura una figlia. Da quando papà ci ha abbandonato, lui ha assunto il ruolo di padre, dato che non è oberato di esami e lavoro, come suo fratello gemello.
«Ciao Liam» esclama Travis, sorridendogli.
«Travis» replica il mio ragazzo.
Almeno loro non si odiano, cioè... si conoscono a malapena, ma non si stanno guardando come se volessero picchiarsi, perciò questo mi tranquillizza. In realtà Travis e Liam sono simili: molto competitivi, duri all'apparenza, sicuri di se stessi solo quando si trovano insieme ad altri e nei confronti delle persone che non conoscono.
Una voce chiama il mio nome.
Mi volto e con mia grande sorpresa noto l'avvocato Hale e la sua assistente, Sarah Hastings. La ragazza sembra un po' stanca. Tiene i capelli biondi lievemente arricciati e indossa un abito beige da lavoro.
«Buongiorno» esclama Hale.
Gli rivolgo un sorriso.
«Buongiorno. Prima di entrare dovete firmare la vostra presenza. Prego, da questa parte»
Liam riprende la mia mano e insieme seguiamo l'avvocato e la sua assistente. Mio fratello è al mio fianco, possessivo come Liam, perciò faccio un respiro e cerco di calmarmi. In questo momento nella mia mente appare la visione di Liam e Travis che picchiano Christian.
Succederà mai? Forse per una vendetta nei miei confronti per tutto quello che mi ha fatto? Ne sarebbero in grado?
Hale si ferma davanti ad un bancone dorato. Una donna sulla sessantina alza il capo e sorride. La sua pelle è rugosa, truccata con una cipria molto pallida, e porta un paio di occhiali che le nascondono il viso grassoccio e tondo.
«Siamo qui per la sentenza contro Christian Brooke» esclama il detective, «lei è la signorina Watson»
La donna sposta il suo sguardo su di me.
«Deve firmare qui» gracchia, indicando con una penna una linea nera su un foglietto. Mi porge la penna ed io trascrivo il mio nome con la mano tremante.
La firma risulta un po' traballante, ma la signora grassoccia non commenta.
«Dovete firmare anche voi due» aggiunge, lanciando un'occhiata a Travis e a Liam, «qua, nello spazio dedicato agli accompagnatori»
Liam impugna la penna e trascrive il suo nome velocemente, con espressione quasi infastidita. Nel momento in cui passa la penna a mio fratello, gli lancio un'occhiataccia e lui cerca di calmarsi.
«Bene» sentenzia la donna, «potete entrare»
Il detective e Sarah riprendono a camminare verso una porta nera, poco più a destra del bancone dorato. Li seguo senza proferire parola. Sarah apre la porta e la tiene aperta per farmi passare.
La sala dove entro è molto luminosa e molto piccola. Ci sono delle finestre, nella parte superiore del muro, ma sono decisamente piccine. Non so come faccia ad entrare così tanta luce.
Per tre quarti della stanza sono disposte delle sedie di plastica e dei tavolini di legno; in testa alla sala c'è un tavolo al quale sono seduti alcuni uomini con una tonaca nera.
Hale mi tocca un braccio e sorride.
«Prego, signorina, da questa parte»
Il detective mi porta al primo banco, dove si accomoda fra me e Sarah. Liam e Travis si accomodano dietro di me e tutti e due mi posano una mano sulla spalla. Ad essere onesta non ho idea di come affrontare la situazione, perciò spero che il tutto duri il meno possibile.
Ad un tratto l'uomo seduto al centro del tavolo di fronte a me si alza e batté un martelletto sul tavolino per tre volte.
«Fate entrare l'imputato» esclama.
Una porta si apre e immediatamente i miei occhi incontrano quelli dell'imputato, di Christian.
Ha i capelli più lunghi del solito, sporchi e ribelli. I suoi occhi sono arrossati, circondati da due chiazze nere. Sembra più magro e, fra le possenti braccia delle due guardie, continua a dimenarsi.
«Signor Brooke, si calmi» sentenzia il giudice.
Sono in piedi, come il resto dei presenti, e gli occhi di quell'uomo balzano da me a Christian.
«Signor Brooke» ripete, «si calmi»
Christian gli lancia un'occhiataccia, ma obbedisce. Si accomoda su una sedia, poco distante da me. Mi guarda ancora, con gli occhi che brillano. Al suo fianco si accomoda l'avvocato difensore. Non mi piace per niente.
Nonostante la lunghezza dei capelli, il nuovo tatuaggio – l'àncora – è ancora visibile.
«Siamo qui oggi per giustiziare il signor Brooke» comincia il giudice, «signorina Watson, mi chiamo Elvis Barnaby»
Annuisco lentamente con il capo. I miei occhi guardano ancora Christian e le mie mani tremano come foglie.
«Dato che le altre tre ragazze hanno ritirato le accuse contro il signor Brooke, solo lei - signorina Watson - è chiamata a testimoniare»
Alzo lo sguardo spaventata. Che cosa significa? Le ragazze hanno avuto paura? Christian ha loro imposto di ritirare le accuse?
«Signor Brooke, la prego di presentarsi, indicando le sue generalità» tuona Barnaby.
Christian sospira rumorosamente e si sistema in modo un po' più comodo sulla sedia.
«Christian Brooke, nato il 13 settembre 1994 a Edimburgo»
Barnaby annuisce. «Studia? Lavora?»
«Mi sono diplomato al liceo, ma non mi sono iscritto all'università» ringhia lui, lanciandogli un'occhiataccia.
Il mio cuore perde un battito. Sono spaventata da Christian, anche se è decisamente lontano da me.
«Bene» mormora Barnaby, guardando dei fogli sul tavolino, poi alza lo sguardo e mi chiama: «Prego, venga»
Mi alzo in piedi e deglutisco pesantemente. Con passo lento e tremante, raggiungo una sorta di ambone, di fronte a Christian e di fianco al giudice. Il cuore mi batte forte, la fronte è imperlata di sudore.
«Quando ha conosciuto il signor Brooke?» domanda il giudice, all'improvviso.
Deglutisco.
«A luglio del 2013, signor giudice, tre anni fa» rispondo, tenendo le mani unite.
Christian sorride. «Indossava sempre degli shorts super sexy, sa, giudice?»
Il giudice lancia un'occhiataccia a Christian e al suo avvocato. È un uomo alto, dai capelli scuri e dal viso un po' troppo meschino. Non mi piace affatto. Come fa a difendere un uomo come Christian?
«Che tipo di rapporto c'era fra lei e il signor Brooke?» domanda Barnaby.
«Noi... ci stavamo conoscendo, ma era già capitato che talvolta ci fossero situazioni decisamente più intime fra di noi»
Il giudice si schiarisce la voce.
«Qualcuno può testimoniare il fatto che sia stata realmente violentata?»
Il mio cuore perde un battito e per qualche secondo provo una sensazione di nausea, che viene sostituita dalla perplessità per la domanda. I miei occhi sbattono per qualche istante, fissi sull'uomo che ha formulato la domanda.
«Non credo di aver capito bene» sussurro, «lei pensa che io mi sia inventata tutto?»
Il giudice si scambia un'occhiata con gli uomini al suo fianco.
«No, signorina, ma effettivamente non abbiamo prove che il signor Brooke l'abbia violentata»
Spalanco gli occhi.
Che diavolo significa? Non sto capendo. Stanno per caso insinuando che sia una bugiarda? Come si può immaginare di essere stata violentata? Come giustificano la mia personalità?
«Signor giudice» esclamo, «lei può anche non credere alla versione sul primo stupro da parte del signor Brooke, ma riguardo al secondo credo abbia abbastanza prove per incarcerarlo»
L'avvocato di Christian si alza in piedi.
«Domanda, signor giudice» dice.
«Accolta, avvocato Cabret»
L'avvocato si avvicina al microfono con le labbra. Prima di prendere respiro, guarda Christian come per dire "ce la faremo".
Il mondo mi crolla addosso... vinceranno loro?
«Per mancanza di prove, signor giudice» comincia Cabret, «chiediamo di trasferire il signor Brooke in un ospedale psichiatrico. Al termine della sua cura, Vostro Onore, prenderete una scelta: incarcerarlo o liberarlo»
Spalanco gli occhi.
Il mondo si ferma per un istante. Che cosa sta succedendo? Che cosa ha appena detto? No, no, Christian non trascorrerà neanche un solo istante in un ospedale psichiatrico, lui merita la galera e la otterrà.
«Non mi sembra la pena adatta da scontare» esclamo.
«Signorina» mormora sorridendo Cabret, «non mi pare che la scelta sia sua»
Incurvo le sopracciglia. A quel punto capisco che devo giocare la mia ultima carta.
Tiro su la manica del golfino bordeaux e indico la cicatrice. Percorre una lunga parte del mio braccio, circa dal polso al gomito.
«Nessuno di voi può sapere che cosa frullava nella mia mente nel momento in cui Christian mi stava rovinando la vita. E forse, non potete nemmeno capirlo. Molte persone si sono limitate a dire "mi dispiace", ma lo dicono solo perché è un fatto spiacevole. Proviamo a pensare solo per un istante se al mio posto ci fosse stato qualcun altro e che a me non fosse accaduto nulla di tutto ciò. Be', non potrei capire nemmeno io il dolore che si prova, perché è qualcosa di soggettivo. A meno che tu non abbia provato sulla tua stessa pelle quel tipo di male, non hai idea di quello che ti succederà dopo. Un uomo non dovrebbe neanche permettersi di sfiorare una donna con un petalo di una rosa: ma quante volte abbiamo rispettato questa frase? Quante? Fate mente locale e rispondetevi da soli. Mai. E questo mondo fa schifo perché una parte di voi uomini non riescono a concepire il fatto che anche le donne hanno i loro diritti. Non chiedo a lei, Vostro Onore, di capirmi, primo perché è uomo e secondo, come ho già detto, è un dolore soggettivo. Lo chiedo a voi donne, chiedo a voi di capirmi, di provare a pensare a cosa sarebbe accaduto se il vostro primo ragazzo avesse provato a violentarvi. La vostra anima sarebbe morta come la mia. La vostra anima avrebbe rinunciato a tutto. Ad un sorriso. Ad una risata. Ad un abbraccio. Alla vita»
Pesanti lacrime salate cominciano a rigare copiosamente il mio viso.
Usare termini specifici aiuterebbe la mia posizione? Non ho mai raccontato a me stessa la vicenda, mi sono sempre limitata a scacciarla via dalla mia mente ogni volta che vi entrava qualche ricordo.
«Quando il signor Brooke mi ha penetrata, non sentivo di aver perso la mia verginità, ma di aver rinunciato alla cosa più importante della mia vita. Quell'uomo che oggi chiede di vivere in un ospedale psichiatrico non immagina lo strappo al petto che ho percepito io, non conosce le situazioni vissute dopo quell'episodio. E tu, Christian, non sai nemmeno il motivo che c'è dietro a questa cicatrice. O meglio, lo immagini, ma non sai se è realtà o meno»
Christian comincia a battere le mani teatralmente.
«Complimenti. L'anno prossimo hai intenzione di rubare l'Oscar a DiCaprio?»
Mi asciugo il volto con una mano.
«Se succederà, non sarai in grado di vederlo, perché per allora avrai già messo un punto a tutto questo» rispondo, poi volto il capo verso il giudice e aggiungo: «Non ho altro da dire. Prendete la vostra decisione»
Scendo dall'ambone e torno a sedermi. Quasi tutti i presenti mi stanno ancora guardando. Alcune donne hanno le lacrime agli occhi, altre sono impassibili. Anche gli uomini mi stanno osservando, con gli occhi lucidi. Liam e Travis, che hanno la loro mano sulla mia spalla, hanno il viso rigato di lacrime.
Il giudice si alza in piedi.
«La decisione è questa» sentenzia.
Il mio cuore batte forte. I miei occhi bruciano. Il verdetto finale sta per essere pronunciato.
«Il signor Christian Brooke, nato il 13 settembre 1994 a Edimburgo, viene trasferito nell'ospedale psichiatrico Bethlem Royal Hospital di Londra per un periodo da definire con medici specializzati. Così è deciso, l'udienza è tolta»
No.
No.
Non è vero. Non sta succedendo veramente.
Christian sta tornando in prigione, vero? Dove trascorrerà il resto della sua vita?
Tutto questo non è possibile.
Ho perso.
Ho perso tutto.
Ha vinto lui, la persona che mi ha ucciso l'anima due volte.
Liam mi prende la mano, ma libero la presa. Non voglio parlare con nessuno. Non ho bisogno di tutto questo per soffrire ancora. Mi volto e, invece di abbracciare Liam, mi lascio cadere fra le braccia di Travis. I suoi muscoli mi tengono caldo, mi tengono al sicuro e per qualche istante non ho più paura.
Ma da oggi ne ho ancora.
Di Christian.
E della sua probabile fissazione per me.
Ho paura dei suoi occhi, del suo viso, del suo tatuaggio, delle sue mani.
Della sua forza.
Ho paura di camminare, di uscir di casa, di sorridere, di ridere, di sognare.
Di incontrarlo.
Ho paura di una persona che è riuscita ad ingannare le persone ancora una volta.
Ed io ho perso.
Ancora.
E per sempre.
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