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106. || Sophie.

La porta d'ingresso alla sala comune dell'ospedale psichiatrico di Christian si apre violentemente. La guardia mi lancia un'occhiataccia e, dopo aver riprodotto un verso, dice: «Le concedo quindici minuti. Purtroppo il signor Brook è... come dire... in castigo, oggi»

Storco un sopracciglio e lo fisso per qualche istante, chiedendomi che cosa diavolo ha combinato. Decido di non chiederglielo, così entro nella sala comune e mi guardo attorno, con l'intenzione di non sprecare neanche un istante di quei quindici minuti.

Durante il tragitto in macchina ho pensato a tante domande da porgere a Christian e voglio tutte le risposte di cui necessito. Dopo le lezioni in università, ho scritto a Liam che dovevo passare da mio fratello Teddy e poi sono partita alla volta dell'ospedale psichiatrico, sicura di poter sostenere un altro colloquio con Christian.

Mi guardo attorno per diversi secondi, chiedendomi dove si sia cacciato. Dopo qualche istante lo vedo seduto sulla stessa sedia dell'altra volta. Sospirando, e cercando di mantenere la calma, lo raggiungo lestamente.

Dopo aver appoggiato la borsa sul tavolo, Christian alza il capo. Rimango sbalordita: ha un occhio viola, il labbro spaccato e un enorme cerotto sulla parte del viso che non è rivolta verso l'entrata della sala comune.

Mi siedo e subito gli chiedo cosa diavolo sia successo.

«Niente» ringhia lui.

Roteo gli occhi al cielo e sospiro. Dopo essermi seduta in modo più comodo e aver posato la borsa sulle cosce, rialzo il capo e incontro lo sguardo di Christian.

«Sei tornata» mormora.

«Che occhio vigile» commento io.

Christian soffoca una risata e si passa una mano fra i lunghi capelli neri. Stanno crescendo così velocemente da quando l'hanno segregato qua dentro. I suoi occhi risultano più scuri di quanto lo siano mai stati e paiono più curiosi rispetto alla volta precedente.

«Perché sei tornata?» domanda.

«Be', ho delle domande da farti» rispondo, «e poi tu mi hai chiesto di ripresentarmi»

Con aria sarcastica, annuisce con un movimento del capo e sorride, come se avessi detto qualcosa di divertente. Ha sempre quell'aria da strafottente... che cos'è cambiato dalla prima volta che sono stata lì?

Ad un tratto una donna si avvicina lentamente. Sbatto gli occhi e davanti a me appare una versione un po' più attuale di Suor Jude, uno dei personaggi principali della seconda stagione di American Horror Story, la serie tv che sto guardando con Liam.

È proprio lei, in carne ed ossa. Il suo sorriso divertito s'allarga sul suo viso rugoso e mi concede un'occhiata, mentre nella sua mente appaiono una serie di torture che avrebbe inflitto a qualsiasi suo paziente.

Improvvisamente ricordo che lei è solo un personaggio di fantasia, che non esiste nella realtà. Scuoto la testa, e dopo aver riaperto gli occhi mi accorgo che al posto di Suor Jude c'è una semplice suora di almeno vent'anni più giovane, dai capelli scuri.

«Si ricordi, signor Brook, che alle diciassette ha un impegno» tuona, rivolta a Christian.

Sposto lo sguardo sul viso ammaccato e ferito del ragazzo che ho davanti e mi chiedo che cosa sia successo nel precedente minuto. Ho immaginato una donna che non esiste e ha aumentato il mio timore di trovarmi in un ospedale psichiatrico in visita al ragazzo che mi ha violentata.

«Tutto bene, Sophie?» domanda Christian.

Incontro il suo sguardo e mi affretto ad annuire.

«Certo, sì»

Christian fa spallucce e si schiarisce la voce. «Dunque, di che cosa dovevi parlarmi?»

Cerco di ricordare le domande che ho annotato nella mia mente durante il viaggio. Provando a restare calma, deglutisco e mi fermo il solito ciuffo di capelli dietro all'orecchio.

«Ho letto il giornale» esclamo, «in particolar modo l'articolo su quella povera sedicenne, Mia Smallwood»

Christian spalanca gli occhi, come se fosse sorpreso, ma qualche secondo dopo la sua espressione torna quella di sempre, spocchiosa e divertita.

«Mia, quella dolce ragazzina»

«Non fare l'idiota» esclamo, «ho letto la sua storia. Come hai potuto indurla al suicidio? Ti rendi conto che le hai rovinato la vita? Aveva solo sedici anni»

«Be', se non sbaglio ho rovinato anche la tua vita, no? Mia era solo una stupida, e se ha deciso di ammazzarsi significa che non era abbastanza forte per sopportare tutto quello che le ho fatto»

Mi alzo in piedi e lo guardo con aria schifata.

«Tutto quello che le hai fatto, Christian, è da malati mentali. Ed ora capisco perfettamente il motivo per cui tu sei qua dentro. Sai, forse avevi proprio ragione: ho sbagliato a venire qua, a tornare. Non sarei mai dovuta venire a trovarti. Sei pazzo. Pazzo. Forse non ho vinto la prima partita, visto che ora ti trovi qua, ma stai certo che passerai il resto dei tuoi giorni in questo ospedale psichiatrico, e vincerò la seconda. Non vedrai più la luce del sole, non potrai più sentire la pioggia precipitarti sul capo o sul viso, non potrai più abbracciare nessuno. So che non avrai mai il coraggio di scusarti per tutto quello che hai fatto me e tutte quelle persone che ancora oggi soffrono, ma nel caso ti venisse in mente di farlo, puoi anche risparmiartele, perché sei un grandissimo bugiardo»

Raccolgo la mia borsa e senza aggiungere altro mi precipito fuori dalla sala comune, sotto lo sguardo sbigottito di Christian.

Ho commesso un errore a venire. Non sarei mai dovuta andare a trovarlo. Ma come ho fatto? Come mi è venuta questa brillante idea?

Cammino di fretta, a grandi passi, verso l'uscita. Non saluto nessuna suora che erèa ferma all'entrata, non concedo un'occhiata ad alcuna donna. Sono troppo arrabbiata per fare ricorso alle buone maniere. E per una volta preferisco passare per la cinica stronza, piuttosto che per la stupida facile da abbindolare.

Raggiungo la macchina e, ragionando, arrivo la conclusione che non posso assolutamente guidare in queste condizioni. Mi appoggio all'auto e cerco di riprendere fiato. Non mi sono neanche accorta di aver accelerato troppo per allontanarmi da Christian. Il mio cuore batte in modo irregolare e le mie dita tremano lievemente.

Improvvisamente una voce femminile mi distrae. Una donna mi ha appena chiesto se sto bene e se ho bisogno di aiuto. Mi volto rapidamente, con l'intenzione di non accettare per alcun motivo il suo aiuto, ma quando i miei occhi incontrano i suoi, mi rendo conto di conoscerla.

Sarah Hastings è di fronte a me; indossa dei jeans blu, una giacca del medesimo colore e degli stivaletti bassi color cioccolato. I suoi lunghi capelli biondi sono raccolti in uno chignon.

«Sophie» mormora quasi sconvolta, «che cosa ci fai qua? Pensavo abitassi nell'appartamento di Liam, vicino alla zona dell'università che frequenti»

Ricordo che un giorno Hale mi ha chiesto quale college frequento. Probabilmente lui lo ha confidato a Sarah durante una conversazione.

«Io... infatti abito con Liam... in quell'appartamento» balbetto imbarazzata.

Sarah è alquanto turbata e non sembra affatto convinta della mia risposta. Si sta chiedendo il motivo per cui sono qui.

«Se non abiti in questa zona, allora per quale motivo ti trovi qui?»

Il respiro si mozza. Come posso risponderle? Devo inventare l'ennesima bugia oppure posso raccontarle la verità?

«Se mi dici il motivo per cui sei qui, ti dirò perché l'altro giorno mi trovavo nella sala comune dell'ospedale psichiatrico» esclama d'un tratto.

La guardo per un istante, senza fare caso al significato della frase. Dopo aver ripensato, mi rendo conto di ciò che effettivamente ha detto. Sarah mi ha vista nella sala comune dell'ospedale psichiatrico, ciò significa che sa anche il nome di colui che ho visitato?

«Sophie» mormora avvicinandosi, «lo so perfettamente che è difficile da confidare, ma di me puoi fidarti, davvero»

Il suo cellulare emette un bip. Lancia un'occhiataccia all'Iphone rosa e sospira.

«Scusa, ora devo andare. Ti andrebbe di cenare con me, magari domani sera? Potremmo continuare il discorso»

Deglutisco, imbarazzata. Dovrei accettare? Posso parlarne con Sarah? Posso fidarmi?

«Va bene»

Mi rivolge un gran sorriso. «Bene, allora ci vediamo domani»

Mi saluta con un gesto della mano, poi riprende a trotterellare verso l'entrata dell'ospedale psichiatrico. Allora lei ha qualcuno da andare a trovare? Qualcuno che non è Christian? E quasi sicuramente si tratta di qualcuno che se lo merita meno di lui.

Sospirando, entro in macchina e metto in moto. Voglio tornare a casa e studiare un po', soprattutto perché gli esami si stanno velocemente avvicinando. In più dovrei chiamare i miei fratelli per decidere quando passare da loro per Natale. Sebbene avessi litigato con mia madre, vorrei darle la possibilità di conoscere Liam e di essere perdonata. Ancora non so se accetterà, ma spero proprio che accadrà.

Nonostante tutto è mia madre.

Non ho mai avuto un gran rapporto con lei, soprattutto perché ero legata a mio padre. Dopo il tradimento, il legame che avvicinava me e mia madre si è rafforzato, ma di poco.

Voglio recuperarlo. Voglio di nuovo essere sua figlia. Chiamarla, parlarle, fare shipping con lei e riprendere tutte le vecchie abitudini madre-figlia alle quali abbiamo dovuto rinunciare per via del mio trasferimento.

Ma le cose cambieranno nel giro di poco tempo.

In fin dei conti, un nuovo anno è alle porte. Nel giro di tre settimane comincerà il 2016, ed io non ho nessuna intenzione di iniziarlo senza prima aver fatto pace con mia madre.

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