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7. || Liam.

Ancora non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di quella ragazza – della quale non ho ancora capito il nome – che si allontana correndo da me. Non posso sopportare una cosa del genere, ma non perché mi ha fatto arrabbiare, bensì perché mi ha sorpreso.

Sicuramente è successo qualcosa, qualcosa che le ha impedito di rimanere lì. E non parlo de il solito panico da conversazione con il ragazzo più figo del college, ma un panico insolito, che nessuna ragazza ha mai avuto nei miei confronti.

Ho letto negli occhi di quella ragazza il terrore. E quello non è collegato al fatto che stesse dialogando con me, ma a qualcos'altro, un segreto del quale non sono a conoscenza.

Forse mi ha già conosciuto? Si ricorda di me perché mi ha visto da qualche parte? È a conoscenza di qualche mio errore, commesso durante gli anni del liceo?

Se così è stato devo assolutamente farle sapere che non sono più quella persona. Be'... tecnicamente lo sono ancora, ma ho smesso di fare tante cose che alimentavano la mia fama di cattivo ragazzo.

Molte delle caratteristiche che mi sono accalappiato durante gli anni delle superiori non sono più veritiere, ma la gente non lo sa, perché sono fuggito dal luogo in cui sono cresciuto per evitare che mio fratello mi rovinasse la vita.

Mentre esco dall'appartamento senza Matt, ripenso a ciò che ho fatto a mio fratello e, per l'ennesima volta, realizzo che andarmene è stata la decisione più saggia.

Salgo in macchina rapidamente, per evitare di prendere freddo, e mi accendo immediatamente una sigaretta. Il viaggio dura talmente poco che non accendo neanche la radio e, dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio del campus, mi dirigo a piedi verso l'edificio di letteratura.

Entro nell'aula e immediatamente tutti gli sguardi sono su di me. Senza guardare nessuno, mi siedo in ultima fila e tiro fuori il cellulare.

Non ho nessuna notifica, così comincio a guardare le novità di Facebook, ingannando il tempo.

Rachel Michele ha cambiato l'immagine di profilo.

La osservo per qualche secondo, complimentandomi per la scelta della maglietta così scollata.

Non è molto diversa dall'ultima che hai selezionato, cara Rachel. A proposito, è passato decisamente troppo tempo dall'ultima volta che ci siamo visti, non è vero?

Improvvisamente, la voce del professor Wright mi disturba.

«Signor Hamilton, potrebbe per cortesia posare il suo smartphone sul banco e non toccarlo più per il resto dell'ora?»

«Lo poso sul banco, professore, ma non gli assicuro di non toccarlo più» rispondo facendo un sorrisetto.

Alcune ragazze scoppiano a ridere, mentre il professore mi lancia un'occhiataccia. Quando abbassa lo sguardo sul suo quaderno, guardo le ragazzine che sghignazzano: non ho la minima idea di come si chiamino, ma questo non è mai stato un mio problema. Torno a guardare il professor Wright.

«Abbiamo una nuova matricola, deduco. Come si chiama signorina?»

Una ragazza coi capelli castano chiaro in prima fila parla e qualche secondo dopo spalanco gli occhi: è lei, è la sua voce.

Ma non ho sentito il nome, cazzo.

«Bene» esclama Wright, «spero che si trovi bene nel mio corso di letteratura»

Lei scuote la testa positivamente e successivamente la lezione comincia. Per un'ora non faccio altro che guardarla.

Come posso ascoltare la voce di quel cazzone quando lei è a pochi metri da me?

Devo assolutamente chiederle il motivo della sua sparizione di ieri: voglio capire se il problema sono io o qualcos'altro, qualcun altro. Perché nel caso sia io... be', avremmo potuto risolverlo insieme.

Sul mio volto appare un sorrisetto ammiccante, ma lo faccio scomparire qualche secondo dopo, quando il professore mi guarda, chiedendomi qualcosa. Vedo le sue labbra muoversi, ma non odo la sua voce pesante.

«Non ho capito, può ripetere?» domando io.

Vedo il corpo della ragazza tremare e, un istante dopo, si volta dicendo: «Ti ha chiesto qual è la frase più famosa della celebre opera Amleto di Shakespeare!»

Incontra il mio sguardo e rimane imbambolata a guardarmi, come se si sentisse in colpa per avermi risposto così, dato che non sapeva fossi io.

«Uhm... non lo so» rispondo ancora preso da lei.

Fortunatamente la campanella suona. Il professore sorride alla ragazza e poi torna a sedersi alla cattedra. Saluta gli studenti che escono dalla classe per dirigersi verso la prossima aula.

Dopo aver raccolto le mie cose, avanzo rapidamente verso la ragazza, come per chiederle scusa, ma lei appena mi vede, fa per uscire dalla classe.

L'afferro per un polso e solo in quel momento mi rendo conto che ci siamo solo io e lei nella stanza. Mi chiedo dove cazzo sia finito Wright, ma un secondo più tardi realizzo che non me ne importa niente.

«Mi stai facendo male» dice debolmente, con la voce che le trema.

Interrompo il contatto, ma continuo a fissarla. Diversamente da come mi immagino, lei rimane lì, si volta solo per essere completamente di fronte a me.

«Mi dispiace per ieri sera» comincia lei, visibilmente a disagio, «è che... be', è lungo da spiegare, comunque mi dispiace»

Le rivolgo un sorriso e mi rendo conto di essere... cordiale. Perché mi comporto così nei suoi confronti?

«Non ti preoccupare. A me dispiace invece per averti disturbato tutta l'ora. Sai, l'ho capito che ti interessava sapere la fine del discorso del professore»

Sul suo volto appare un sorriso un po' timido, ma sento che si sta sciogliendo lentamente. Forse per la fine della settimana riuscirò a portarmela a letto.

«Non ti preoccupare, Amleto l'ho letto almeno diciassette volte. Tu invece non sai nemmeno cos'è vero?»

Ridendo, annuisco. Mi piace parlare con lei e subito mi pento di quello che ho pensato prima che aprisse bocca. Non so perché, ma non voglio scopare con lei prima di conoscerla.

I nostri sguardi si incrociano ancora per qualche secondo, poi lei abbassa la testa e dice: «Ti chiedo scusa, ma devo andare. Ho lezione di inglese»

Spalanco gli occhi e mormoro: «Ehm... anche io ho inglese»

Lei pare così confusa che si ritrova a tossire.

«Scusa!» esclamò lei imbarazzata.

«Non ti preoccupare... ehm...»

Lei mi lancia un'occhiata perplessa, come se non capisse cosa devo dirle. Il nome, cazzo, il nome! Ancora non lo so.

«Può sembrare stupido ma... ancora non so come ti chiami»

Lei sorride e diventa paonazza. «Giusto, sì... mi chiamo Sophie, scusami se non mi sono presentata, pensavo lo sapessi»

Scuoto la testa e rispondo dicendo: «Nessun problema. Allora, andiamo?»

Sophie annuisce e insieme usciamo dalla classe.

Durante il tragitto a piedi, lei non osa guardarmi nemmeno una volta, anche se tutte le altre ragazze lo stanno facendo. Cerco di concentrarmi sul suo respiro, sulla sua voce poco squillante e sul suo modo di muoversi, ignorando la serie di ragazze che continuano a chiamarmi per nome.

Oggi Sophie indossa dei jeans azzurri che le segnano i fianchi trasformandola nella ragazza più sexy che abbia mai avuto a distanza di così pochi centimetri. Sopra, tiene una camicetta bianca – probabilmente comprata da Tally Weijl dato che anche mia sorella Lauren ne va pazza – e un cardigan color topo.

Stranamente le sta particolarmente bene e risalta il colore dei suoi capelli.

«Come mai ti guardano tutte?» domanda lei, prima di entrare nel palazzo di lingue.

«Uhm... sono un ragazzo piuttosto... come dire... aperto, ecco»

Lei mi guarda confusa. «Hai fatto coming out

Incontro il suo sguardo e con un sorriso un po' tirato dico: «No, non intendevo questo. Solo che... be'... sono molto famoso all'interno di questo istituto»

Sophie soffoca una risata.

«Sicuramente non perché hai letto Amleto»

«Ti diverti a prendermi in giro, eh?» le faccio notare ridacchiando.

Non risponde. Volta la testa verso di me e sorride.

Dio, quanto cazzo sono belli i suoi occhi? Come vorrei prenderla e baciarla, ora qui...

«Ascolta, riguardo alla cena di ieri sera...» azzardo io, con il timore di pronunciare ad alta voce i miei pensieri sporchi.

Sophie si gira a guardarmi e poi abbassa la testa. Nasconde la bocca fra le mani e strizza gli occhi per diversi secondi, poi dice: «Sì?»

Rimango a guardarla con un sopracciglio alzato, poi quando noto che si è lentamente calmata, dico: «Dicevo... potremmo provare, una sera. Anche le tue amiche e il tuo amico... potreste venire a casa mia e di Matt a mangiare»

«...sai cucinare?» mi chiede tossendo.

«Uh, di solito cucina Matt, io sono solo... negato»

Sophie non mi guarda ma strizza gli occhi una seconda volta. Vorrei chiederle se sta bene, ma lei mi precede, dicendo: «Scusami, devo andare in bagno»

Inizia a correre verso i servizi e mi lascia da solo nel corridoio. Chiedendomi cosa le sia successo, mi dirigo verso l'aula. La attendo in un banco a due, ma lei non arriva, né all'inizio dell'ora, né alla fine.

E questa cosa mi preoccupa parecchio.

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NELLA FOTO: BRUCE HERBELIN EARLE, CHE INTERPRETA MATT STEVEN.

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