34. || Sophie.
Christian mi tiene per i capelli e mi strattona da una parte all'altra, gridandomi nelle orecchie. Il sangue pulsa nelle mie vene, le mie mani sono intorpidite, i miei occhi colmi di lacrime.
Mi lascia andare e cado a terra, picchiando il gomito. Subito, porto la mano sulla zona dolente e massaggio, nella speranza che il dolore scompaia lentamente.
«Non ho finito un cazzo con te. Devo ricominciare da capo tutto. Ma del resto, meglio così. Si prova una certa soddisfazione nel vederti soffrire» grida.
Alcune lacrime mi cadono dagli occhi, ma lui non osa considerarle. Mi tira su e mi sbatte su un materasso scucito e sporco. Mi fa male il braccio e credo di avere del sangue sul labbro che Christian mi ha spaccato dopo avermi tirato un ceffone.
Non capisco e non so dove sono. Forse è una fabbrica abbandonata, ma non ne sono certa. Il mio cervello è in fiamme, come posso concentrarmi e capire qualcosa?
Intorno a me c'è odore di ferro bruciato; mi trovo in una stanza vuota, con qualche sedia abbandonata, tre o quattro materassi e dei pezzi di legno. Alcune vecchie e traballanti luci appese al soffitto fatto in travi di legno illuminano la stanza, ma nel punto in cui Christian mi ha sbattuta, la luce è offuscata.
Ma anche se c'è la luce, i miei occhi sono troppo colmi di lacrime per controllare cosa stia accadendo attorno a me.
Vedo una sagoma nera, Christian, che cammina attorno a me, come se stesse pensando a quale dolore infliggermi.
Be', non ha molte scelte, considerando che la prima volta ha optato per il peggiore di tutti. Non solo mi ha privato della cosa più importante che abbia mai avuto, ma mi ha anche distrutta dentro in modo perenne.
Il fatto positivo è che ci siamo solo io e Christian, gli altri ragazzi sono andati via. Forse è meglio così, l'aspettativa di essere stuprata da una dozzina di ragazzi non mi entusiasma poi così tanto, anzi mi fa letteralmente vomitare. Christian lo conosco, almeno. So bene cosa aspettarmi da uno come lui, so riconoscere la sua forza.
«Allora» esclama d'un tratto, «sono passati almeno tre o quattro anni dall'ultima volta che ci siamo visti. Non hai nulla da dirmi?»
Ho il fiatone. Mi siedo sulle caviglie e, passandomi una mano fra i capelli scompigliati, rispondo: «No, proprio nulla»
Christian scoppia a ridere.
«Neanche una parolina? O un pensiero? Ci dev'essere qualcosa che muori dalla voglia di raccontare. Forse è legato alla cicatrice che porti sul braccio?»
D'istinto la copro con una mano e lui scoppia a ridere. La maglietta bordeaux che ho lasciato a casa di Liam ha le maniche lunghe, perciò se l'avessi indossata Christian non avrebbe mai visto quella cicatrice. La T-shirt nera di Liam, invece, ha le maniche corte.
Ho freddo e ho la pelle d'oca. Il mio corpo è gelido, ma in questo momento è l'ultimo dei miei problemi. Singhiozzo, e ripenso a ciò che mi sono detta in macchina, per tranquillizzarmi. Le promesse pronunciate in auto non sembrano contar più nulla.
Il mio sguardo finisce nuovamente su Christian.
Passeggiando tranquillamente, dice: «Di tutte le mie prede, sei stata quella più fragile. E tu sai bene quanto amo le persone fragili»
«Sì, lo so bene» rispondo, cercando di respirare regolarmente.
Si schiarisce la voce e si accomoda su una delle sedie. È a pochi metri da me, il che mi rende ancora più sotto pressione.
Penso a Liam, alla telefonata... dov'è in questo momento? Sta per arrivare? O forse, arrabbiato com'è, mi ha ignorata? Alla fine, non sa che cosa sta accadendo, quindi per ripicca poteva tornare a casa, accendersi un film in tv e rimanere sul divano a goderselo...
Una lacrima scivola sulla mia guancia arrossata e qualche secondo dopo Christian si alza. Si avvicina a me e, poggiando le ginocchia sul materasso, mi accarezza il volto. Mi fa schifo essere toccata da lui in questo modo.
«La prima volta che ti ho vista ho pensato una cosa sola... che volevo fossi mia, per sempre»
«E il miglior modo per essere tua, era ridurmi in questo stato?» domando, liberandomi della sua presa.
Sogghigna.
«Forse, non lo so, ad essere onesto. Comunque, ho deciso di tenerti sulle spine per qualche minuto. Ho voglia di scoparti ancora, e credimi, dall'ultima volta l'ho sognato tutte le notti, ma voglio vederti soffrire, voglio guardarti mentre piangi»
Sospira e fissa come estasiato le pesanti lacrime che cadono sulle mie guance. Si schiarisce la voce e si avvicina al materasso, accucciandosi, rimanendo quindi in equilibrio sui talloni.
«Perché... perché ti comporti così? Non credo di averti trattato male tre anni fa» sussurro, con la voce tremante, «in più, è passato tanto tempo: che cosa ti ha spinto a cercarmi e a ritrovarmi?»
Christian ride e si alza in piedi con uno scatto.
«Semplicemente non ho concluso il lavoro con te ed è bene terminare sempre qualsiasi cosa cominciata. Non sei d'accordo, piccola mia?»
Gli lancio un'occhiataccia.
«Non osare chiamarmi in quel modo. Dalle mie lacrime e dalle mie reazioni può sembrare che io abbia paura delle tue parole, ma non è così, Christian»
Soffoca una risata alquanto divertita e, tenendosi una mano sul capo, si allontana un po' da me, di spalle. Quando si volta, incontra il mio sguardo e con un ghigno scoppia a ridere, ancor più divertito.
«Sai una cosa, Christian? Posso trattenere il fiato, mordermi la lingua, fingere un sorriso, forzare una risata e darti tutto quello che possiedo, posso farlo per davvero, ma non dimenticherò mai ciò che tu hai fatto. È vero, sono una semplice umana e se cado a terra sanguino, io crollo e mi abbatto... le tue parole arrivano come coltelli nel mio cuore e sono tre anni che sto cadendo a pezzi. Sono solamente un'umana, una semplice e piccola umana! Non posso sopportare molto, solo fino a quando ne ho abbastanza, ma ci riuscirò»
Christian mi guarda ancora per qualche secondo, poi batte le mani, come per complimentarsi con me, e sogghigna. Il mio respiro si fa affannoso mentre lui si avvicina a me, tenendo un passo tranquillo e gli occhi ben aperti. Il mio cuore batte forte, forse perché ha il timore che Christian mi faccia del male da un momento all'altro.
«Vedo che il desiderio di voler parlare in pubblico non è mai svanito, anche se forse, negli ultimi anni, ti è stato un po' impossibile discutere con qualcuno, vero?»
Senza nemmeno accorgermene, dondolo il capo su e giù. Christian scoppia a ridere ancora e l'ennesima lacrima attraversa la mia guancia. Successivamente, si avvicina a me, si china e sposta le mani fino all'orlo della maglietta nera di Liam. Incontra il mio sguardo, e tenendosi il labbro inferiore fra i denti, la tira su, fino alla cerniera dei jeans.
«Un po' grandicella questa, per te, non credi?» domanda, leccandosi il labbro inferiore.
«Non sono affari tuoi» rispondo secca.
Ride sguaiatamente.
«Ah, davvero? Di' un po', ti comporti da brava ragazza coraggiosa perché speri nell'arrivo del tuo nuovo ragazzo? Be', mi spiace essere così diretto, ma sei fregata: non verrà mai un cazzo di nessuno a salvarti la vita»
Scuoto la testa.
«Ti sbagli. Diversamente dalla tua situazione, io ho qualcuno. Le mie amiche, i miei compagni in università... non sono sola, ho una spalla su cui appoggiarmi nei momenti di difficoltà. Tu non ce l'hai e sei sicuro del fatto che, facendo così male alle ragazze, troverai la fierezza di essere te stesso; pensi di ricevere un trofeo, perché nella tua vita di tutti i giorni non te lo puoi permettere. Non è così che si vince: si deve sudare per ottenere qualcosa, ed è quello che sto facendo io»
Christian scoppia a ridere e mi guarda divertito.
«Non me ne importa un cazzo delle tue parole. Ti ho portato qua per finire un lavoro, ed io lo porterò a termine»
Posa le mani sulle mie spalle e mi spinge giù. La mia schiena colpisce il materasso e per un secondo percepisco sollievo a contatto con una superficie morbida. Nel frattempo, tenendo una mano sulla mia gola, mi slaccia i jeans e li fa scivolare giù. Fatico a respirare e più mi agito più l'aria viene a mancare.
«Non provare a muoverti, altrimenti ti ammazzo a mani nude» mi avverte.
Lancia un'occhiata alla sua destra e con la coda degli occhi provo a controllare cosa c'è. Un'altra sedia in legno, uguale identica a quella di fronte a me, dove Christian si è accomodato prima di saltarmi addosso... e sopra di essa una pistola.
È... carica? Christian ha intenzione di utilizzarla?
Lentamente, scopre la parte più sensibile del mio corpo e abbassa il capo per toccarla. Il suo naso mi sfiora, le sue dita si insinuano fra i miei slip.
Mi fa aprire le gambe e guardandomi con occhi da maniaco, improvvisamente infila due dita dentro di me. Grido, mentre lui continua a farle entrare e uscire. Ride, ma ride come un pazzo. Mi fa paura, non per ciò che mi sta facendo ancora una volta, ma per il suo comportamento.
«Dimmi che ti piace, porca troia, dillo!»
«Basta! Lasciami stare!» piagnucolo, disperata, ma lui mi tira un ceffone.
Mi copro la guancia con la mano destra e lui ridendo dice: «Devi stare muta. Hai capito?»
Con le lacrime agli occhi, annuisco lentamente. Non ho il coraggio di ribellarmi... è impossibile. Come posso? Il mio cuore si sta spezzando in mille pezzi, sento che sto per perdermi nell'oblio.
Questa volta sarà diversa: le conseguenze mi uccideranno, non sopravviverò un'altra volta al dolore più grande della mia vita.
D'un tratto, Christian aggiunge un dito e gira la mano. Il suo gioco aumenta di velocità. Continuo a gridare, a piangere, nella speranza che si fermi.
C'è qualcosa che si sta spezzando, dentro di me. E' il mio cuore. Ancora una volta. Vorrei e dovrei impedirglielo, ma non ho forze, energie, coraggio... ho paura della sua reazione, ho paura che, preso da uno scatto d'ira, possa commettere qualcosa che metterebbe fine alla mia esistenza.
Vorrei solo che questo dolore si interrompa. Ora. Qui.
In un nano secondo, mi alza la maglietta fino al collo e si tuffa su di me, avventandosi sul seno. Sgancia il ferretto e lo tira su, assieme alla maglietta, poi abbassa il capo e mi morde con forza un capezzolo, fino a quando non rimangono i segni.
Caccio un urlo e una lacrima solca il mio viso.
«Ti piace, eh piccola? Forza, di' che ti piace, dillo, cazzo!»
Le sue mani si appropriano delle mie spalle e mi percuote per diversi secondi, facendomi sbattere la schiena sul materasso. Vuole una risposta, ma non la otterà.
Mi sento letteralmente prosciugata, logorata. Non ho più energie. Improvvisamente ho una certezza e tutte le mie promesse riemergono lentamente nella mia mente.
No, non sto per morire di dolore. Non ho intenzione di andarmene in questo modo. E non voglio rinunciare alla mia vita concedendo a quello psicopatico di Christian la possibilità di uccidermi.
È qualcosa che proviene da un'altra parte, da un punto della stanza che fino a questo momento non ho minimamente considerato.
E la voce... quella appartiene ad una persona a cui devo delle scuse piuttosto lunghe e particolari, per una serie di cose che ho omesso o combinato. Quella voce appartiene alla persona che negli ultimi tre mesi mi è stata più vicina, alla persona che non è al corrente di ciò che mi è capitato, ma si comporta come se lo sappia.
E le parole mi colpiscono più di qualsiasi altra cosa, perché non solo esprimono qualcosa che entrambi avremmo dovuto rivelare precedentemente, ma anche perché sono la cosa che avrei voluto udire di più in quel momento.
«Togliimmediatamente le tue fottutissime mani dal corpo della mia ragazza»
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