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14. ||Ariana.

Dodici ore prima.

Il messaggio di Sophie è arrivato già da due ore e mezza e ancora non ha richiamato.

Detesto ammettere che sono preoccupata per qualcosa, soprattutto perché Julian mi dà sempre della paranoica. E sfortunatamente è proprio così.

Il bicchiere di vetro che tengo in mano continua a riempirsi e non ho contato quante volte Ginger lo abbia rimboccato, anche se forse avrei dovuto farlo. Ogni volta che mi chiede se voglio ancora un sorso, incapace di parlare e intimorita dall'essere giudicata male, accetto di berne ancora.

Julian è al mio fianco con espressione piuttosto rabbiosa, sia nei miei confronti che in quelli di Sophie, che è praticamente fuggita con Liam, che Julian non sopporta minimamente.

Inoltre, guarda male Shelley da quando è entrata nella stanza, la quale ha passato la serata sulle gambe di Matt.

«Non c'è bisogno di guardarmi così, Julian. Lo sai bene che quando ti comporti in questo modo mi dai molto fastidio» esclamo d'un tratto.

«Hai pensato, tu, che cosa dà fastidio a me? Per esempio, odio queste feste, odio Ginger e i suoi capelli... e odio...»

Mi alzo in piedi rabbiosa. «Odi me? Odi me? Solo perché decido di venire ad una festa come questa e, nel peggiore dei casi, ubriacarmi, non devi disprezzarmi. Sono comunque la tua ragazza!»

Julian sbuffa. «Non ti odio, Ari. Semplicemente non sopporto il tuo comportamento da quando siamo qua»

Metto le braccia ai fianchi e storto i sopraccigli. «Sai che ti dico? Vaffanculo, Julian!»

Esco dal salotto e mi nascondo in una stanza, al secondo piano. La camera è semibuia, con un grosso letto matrimoniale e diversi mobili in legno.

Un odore di fumo penetra nelle mie narici. Mi volto di scatto e noto un ragazzo piuttosto muscoloso, seduto contro il muro.

«Scusami... non sapevo fosse occupata» balbetto indietreggiando verso la porta.

«Non ti preoccupare. Puoi stare qua quanto vuoi, tanto sono venuto qua solamente per ubriacarmi» borbotta lui, senza alzare il volto.

Mi avvicino lentamente, con il cuore che batte a mille. A causa del buio non riesco a capire chi sia.

«Non è proprio un bel piano per la serata» commento abbozzando un piccolo sorriso.

Il ragazzo alza la testa e con gli occhi arrossati biascica: «Come ti chiami, ragazza perfetta

Soffoco una risata piuttosto divertita. Se solo sapesse la mia storia, cambierebbe idea.

«Non sono la ragazza perfetta. Mi chiamo Ariana, comunque»

«Bel nome»

Mi accovaccio di fronte a lui sorridendo e gli prendo la sigaretta dalla mano. Guardo come si stia rapidamente bruciando e, senza chiedermi che cosa direbbe Julian se mi vedesse, me la porto alle labbra. Non ho mai fumato in vita mia e non so cosa aspettarmi.

«E tu come ti chiami?»

«Il mio nome rimarrà un segreto per sempre»

Ignorando il sarcasmo, aspiro.

Dio, che schifo...

Evito di tossire in sua presenza, così gli ripasso la sigaretta e dico: «Le mie sono sicuramente più buone»

«A giudicare dal colore verdognolo del tuo viso, questo è stato il tuo primo tiro. Non vado errato, vero?»

«No» rispondo corrucciata.

Il ragazzo scoppia a ridere e fa un tiro. Non so per quale motivo, ma non mi offendo e non mi sento una sfigata, come ho sempre pensato di essere. Nella mia scuola ero presa in giro perché non andavo mai alle feste e perché sto con Julian.

«Sei splendida quando aspiri. Lo rifaresti?»

Lo guardo sbigottita per qualche secondo, poi realizzo che è arrivato il momento di abbandonare l'insicura Ariana e acquistare più personalità. Così mi siedo al suo fianco e stringo la sigaretta fra l'indice e il medio. Lui incontra il mio sguardo e me la cede. La porto alle labbra e aspiro ancora.

«Porca puttana» esclama lui, quasi in estasi.

«Come sei volgare» commento io, guardandolo.

Lui ride. Ed io sorrido. Mi sta simpatico, anche se non lo conosco per niente. Questo è uno dei tanti motivi per cui mi piacerebbe sapere il suo nome.

«Eh dai, tutti bestemmiano, io no. Vedi il lato positivo, mi limito a dire parolacce»

«Sai che differenza. Be', voglio sapere il tuo nome. Hai intenzione di dirmelo o no?» domandai allegra.

«Non saprei» sbuffa lui spegnendo la sigaretta, «che cosa otterrei dopo?»

«Assolutamente niente, è solo per conoscersi»

Si prende alcuni secondi per osservarmi, poi torna a fissare il vuoto davanti a sé. Rimane zitto ancora un po', infine mi guarda e dice: «Mi chiamo Michael, ma ti prego di chiamarmi Mike»

Mi prendo qualche secondo per squadrarlo. Ha i capelli castano cioccolato rasati sopra alle orecchie e un ciuffo più tendente al biondo nella parte più alta del capo. I suoi occhi color nocciola sono il lato migliore di lui, perfettamente intonati con la pelle chiara, ma leggermente abbronzata.

«Bene, ora che mi hai detto il tuo nome, come ti senti?» domando, sorridendo cordiale.

«Come dovrei sentirmi? Sto... bene, direi. Di solito i nomi delle ragazze non mi interessano, ma il tuo, in un certo senso, mi ha fatto piacere saperlo»

Riproduco un sorriso, guardandolo negli occhi. Mi ricorda molto Liam, ma Mike sembra più adulto e meno disastrato.

«E' strano che io sorrida. Il mio ragazzo mi ha appena detto che mi odia»

«Aspetta che? Hai un ragazzo? E ti odia?» domanda guardandomi per la prima volta.

Scoppio a ridere. Detta così sembra una barzelletta.

«Sì, ho un ragazzo. Si chiama Julian ed è l'esatto contrario di te. Mi odia perché sto cominciando ad apprezzare feste di questo genere. A proposito, sei amico di Ginger?»

«Mmh, non proprio. Ci siamo conosciuti quest'estate, quando lavoravamo al chiosco del college. Ma, essendo un anno avanti rispetto a lei, non ho nessun corso in comune a lei. Tu che cosa stai studiando?»

«Psicologia, anche se mi piacerebbe diventare dietologa o... sostenere in modo psicologico coloro che stanno provando a sistemare il loro fisico» rispondo solamente.

Michael volta la testa verso di me e mi squadra, come per controllare qualcosa, finché dice: «Non sei grassa, hai un fisico perfetto»

«Non è per me, è per gli altri» spiego quasi divertita.

Annuisce velocemente, ma con aria stranamente interessata.

«Quindi... sei una tipa altruista?» chiede, voltando il capo per guardarmi.

«Diciamo che mi piace rendere felici gli altri. Credo sia nata per questo motivo la relazione che condivido con Julian. Stiamo insieme da poco più di un anno»

Michael sorride.

«Che cosa ti ha regalato per l'anniversario?»

«Mmh... un libro, credo. Lo aspettavo da tanto» rispondo io vaga.

Spalanca gli occhi e dopo alcuni secondi commenta: «Non so se ridere o piangere. Cazzo, mica era il tuo compleanno!»

«Oh... be', l'ho apprezzato come regalo, davvero»

Michael annuisce e si alza. Aspetta qualche secondo prima di tendere la sua mano e tirarmi su. Sfortunatamente, scivolo e mi ritrovo sopra di lui... Michael è steso a terra ed io sono a cavalcioni sopra al suo bacino.

Mi rendo conto che i jeans azzurri e le Vans nere non erano esattamente ciò che pensavo di indossare per un incontro del genere.

«Dio... scusami!» esclamo imbarazzata.

Si tira su e mi trattiene sulle sue gambe, mentre avvicina il suo viso al mio, e mi accarezzava la pelle sensibile con il pollice. Mi sposta i capelli dietro all'orecchio e, con il viso, si avvicina sempre di più. I nostri respiri si fondono, le nostre dita – poggiate sul pavimento per tenerci in equilibrio – si sfiorano e... le nostre bocche si toccano.

Il bacio a stampo e dato per errore di Julian non è niente in confronto a quello romantico e veloce di Michael. La sua lingua è calda e viaggia nella mia bocca, perlustrandola come occhi fanno con un quadro.

Sa di birra e di fumo, ma mi piace. Non ho mai baciato alcun ragazzo che non fosse Julian e, non avendo mai bevuto o fumato, non ho mai percepito un sapore del genere.

Mi prende il volto fra le mani e continua a baciarmi con foga, mentre, sotto di me sento qualcosa crescere e aumentare di volume.

Improvvisamente si stacca da me e si lecca le labbra.

«Porca troia» commenta lui, tenendo lo sguardo fisso sul mio.

«Scusami...» mi affretto a dire, con il fiatone.

Michael scuote la testa.

«Sei... bellissima, cazzo»

Sorrido, mentre i miei denti affondano lentamente nel mio labbro inferiore. Abbasso il capo, ma lui prontamente lo alza e mi rifila un bacio casto.

«Mi dispiace se è successo... quello che è successo. Ad essere sincero non mi era mai capitato»

Mi alzo velocemente e lui fa lo stesso. Ci scontriamo per errore e subito lui mi afferra per un polso. I suoi occhi si dilatano: guardo nella direzione dei suoi occhi e scopro con sorpresa che la mia gamba sta sanguinando: un pezzo di legno del pavimento ha graffiato il polpaccio.

«Porca miseria, devo medicarmelo subito!» esclamo prendendomi il volto fra le mani.

«Vuoi una mano?» mi chiede Michael.

Lo guardo per diversi secondi.

«Non credo sia il caso. Io... ehm... devo andare. Scusami per il bacio... i baci, veramente»

Sono già sulla porta quando gli auguro buona notte, anche se con tutta me stessa so bene che prima delle quattro del mattino non avrebbe chiuso occhio.

Scendo le scale e rientro nel salotto cercando Daisy e Julian. Trovo solo la mia amica dai capelli neri e così le chiedo dove sia il mio ragazzo.

Carino da parte tua chiamarlo in questo modo dopo che hai baciato un ragazzo che non conosci nemmeno, esclama il mio subconscio.

Non gli do retta.

«Scusa, non ho capito... ripeti?» domando, vedendo la bocca di Daisy richiudersi.

«Ho detto» dice Daisy scocciata, «che è andato via

Spalanco gli occhi.

Che cosa? Julian è andato via? Mi ha lasciato ad una festa da sola? Ha lasciato la sua ragazza ad una festa piena di ragazzi ubriachi da sola?

Ancora scossa e incapace di parlare, mi trascino fino all'uscita della villa. Sento Daisy chiamarmi più volte, ma non ho la forza di rispondere. Una volta sul portico, afferro il cellulare dalla tasca dei jeans e compongo il numero di Julian.

«Pronto?» esclama lui.

«Julian! Ma si può sapere dove cazzo sei? Daisy mi ha detto che sei andato via e... la tua macchina non c'è» grido, stringendo la mano libera in un pugno, fino a quando le unghie non entrarono nella mia pelle.

Lui tossisce.

«Ariana, quanto sei volgare! Io... sono in dormitorio. Me ne sono andato via dopo che sei scappata»

«Ascolta... penso che Daisy rimarrà qua per la notte; Shelley non so dove sia... potresti passare a prendermi con la tua macchina? Per favore, è molto importante per me»

Julian sbuffa e non risponde. Per qualche secondo penso che si stia già mettendo le scarpe, pronto per correre da me e salvarmi.

«Pronto?» chiedo dopo una decina di secondi, «Julian, ho una gamba sanguinante, potresti darmi una risposta? Dove sei?»

«Nel letto della mia stanza» risponde tranquillo.

Rimango sbigottita. Provo a deglutire, ma il malloppo è fin troppo pesante. So che anche se glielo chiederò, mi dirà di no.

«Ti sai vestendo per venire da me?»

La via voce trema e ho paura di sentirmi dire un no.

«No, non verrò a prenderti. E non me ne importa niente se ti sei ferita ad una gamba. La prossima volta rimarrai al mio fianco invece di andartene, anzi, la prossima volta non ci andrai nemmeno ad una festa del genere. Buona notte, Ariana»

Singhiozzo. Non può essere vero. È davvero arrabbiato con me perché ho deciso di andare ad una festa? Non volevo che finisse così. Ho vissuto sotto una campana di vetro per diciotto anni, a causa di mia madre, e adesso che mi sono trasferita al college, non ho intenzione di continuare a prendere ordini, per di più da Julian.

«Julian! Julian! Dio, Julian rispondimi! Julian, ti prego!»

La chiamata viene interrotta: mi ha chiuso in faccia.

Lui mi ha lasciata lì volontariamente.

Lui mi ha abbandonata.

Come fossi un rifiuto.

Ripenso a tutto quello che ho condiviso con Julian: la mancanza che provo per mio padre, il rapporto con mia madre e mia sorella, l'amicizia che mi lega con le altre, i miei segreti più profondi.

Mi volto piangendo, ma vado a sbattere contro qualcuno: è Michael, che con espressione sia rabbiosa sia compatita, allarga le braccia.

Non mi chiedo se sia giusto o sbagliato, io lo faccio e basta.

Mi tuffo su di lui e comincio a singhiozzare come una bambina. Il motivo per cui sto bagnando la giacca di uno sconosciuto delle mie lacrime salate e pesanti, è abbastanza chiaro: Julian è la figura maschile con cui ho il rapporto più profondo e rendersi conto di essere stata abbandonata da lui non fa per niente bene.

Mentre singhiozzo, realizzo che Michael è al momento l'unica persona, escluse le mie migliori amiche, con cui ho intrattenuto una conversazione seria da quando mi sono trasferita al college.

«Scusami...» sussurro, asciugandomi il viso con una mano.

«Non ti preoccupare. Posso... posso fare qualcosa per te?» chiede sussurrando.

Annuisco piano prima di rendermi conto di ciò che avevo appena fatto.

«Se puoi accompagnarmi in camera mia, al college»

Lui scuote da me.

«Stasera vieni con me. Al college non riusciresti a dormire. Dai, vieni...»

Mi carica in macchina e mi porta nel suo appartamento. Mi spiega che ci vive sua sorella maggiore, ma che in questo momento è via per lavoro, perciò possiamo restare per tutta la notte. Lo ringrazio, anche se non sono proprio convinta.

Più ci avviciniamo, più mi accorgo che è proprio a fianco dell'università. Sposto lo sguardo su di lui e lo osservo, mentre guida e guarda con attenzione la strada. Involontariamente, comincio a sommare tutti i punti che ha guadagnato nell'ultima mezz'ora e realizzo che sono quasi numericamente uguali a quelli totalizzati da Julian in un anno.

Parcheggia sotto al condominio e mi aiuta a scendere dall'auto. Sempre in silenzio, ci dirigiamo verso l'entrata. Prendiamo l'ascensore per cinque piani, poi mi fa entrare per prima in casa.

Non ho la testa per rendermi conto di come sia pulita e ordinata, perciò gli chiedo dove sia la stanza. Mi rivolge un sorriso, poi mi accompagna nella stanza da letto. A giudicare dal colore della trapunta, deduco che sia di sua sorella.

Mi dice di aspettarlo lì ed io annuisco. Un minuto più tardi torna con delle garze e del disinfettante. Lo lascio medicarmi la ferita, in silenzio.

A lavoro terminato, mi sorride, dicendomi che posso dormire nel letto. Dopo avermi augurato la buonanotte e avermi lanciato una sua T-shirt, esce dalla stanza.

Mi siedo sul letto, ancora sconvolta per quanto accaduto con Julian, e provo a togliermi i vestiti. In realtà è una liberazione, considerato che sono i vestiti che indossavo quando ho tradito il mio ragazzo.

Una lacrima mi riga il viso.

Ho tradito Julian. Sono pessima. Faccio veramente schifo.

Mentre singhiozzo, mi svesto e indosso la T-shirt di Mike. Come previsto, è molto più grande di quelle che indosso io e mi arriva a metà coscia.

Torno a sedermi sul letto e osservo la stanza. Il grande letto matrimoniale e sulla sinistra, mentre la scrivania e la libreria si trovano sulla destra ed infine due grandi finestre di fronte alla porta d'entrata della camera.

Mi nascondo sotto le pesanti coperte e penso un istante a tutto quello che è successo nell'ora precedente.

Non solo ho conosciuto un ragazzo che, se anche migliorasse, mia madre non accetterà mai, ma ho anche appreso qualcosa che mi ha logorato il cuore per un anno intero.

Ci siamo amati, ma in modo diverso.

Ed io non lo amo abbastanza per continuare ad essere la sua ragazza.

***

La mattina successiva, mi sveglio nel letto di Michael. Decido di svegliarlo, così mi libero delle pesanti coperte e raggiungo il salotto. Lo trovo seduto sul divano a contare dei soldi.

«Buongiorno» esclama lui senza sorridere.

«Ehm... ciao. Mi chiedevo se... potessi accompagnarmi al dormitorio. Credo di... dover parlare con Julian»

Michael mi guarda per diversi secondi con aria interrogativa, poi annuisce e si alza. Mi propone di mangiare qualcosa e, riluttante, accetto. Mi porta in cucina e mette su il caffè. Non si è premurato di chiedermi se mi andasse, ma apprezzo lo stesso.

Durante colazione non parliamo. Ascolto distrattamente una conversazione fra i suoi vicini e qualche volta mi viene da ridere, ma non ho la forza di farlo. Mike sembra accorgersene, così mi sfiora una mano.

Alzo lo sguardo di scatto e incrocio il suo.

«Va tutto bene?» mi chiede, con voce rassicurante.

Annuisco, anche se non è così. Sto pensando alle parole giuste da dire a Julian, affinché non si offenda. Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, ma non ho mai avuto il coraggio di affrontare la dura e cruda realtà. Continuavo a rimandare il giorno in cui avrei dovuto ammettere a me stessa e a lui che non lo amavo davvero, o perlomeno quanto lui ama me.

Scuoto il capo e cerco di allontanare questi pensieri, così mi alzo e borbotto qualcosa che somiglia a "vado a vestirmi".

Non aspetto che risponda, anche perché non voglio sapere cosa ne pensa. Torno in camera e mi rimetto i vestiti di ieri sera, pensando a quante cose siano successo nel giro di dieci ore.

Non so che ore siano, non so dove siano le mie amiche, non ho detto loro dove ho passato la notte e vedermi tornare a quest'ora le farà incazzare.

Penserò dopo a loro, prima devo parlare con Julian e capire che cosa farne del nostro rapporto.

Torno in salotto, trascinando i piedi e vedo che Mike si è vestito. Indossa dei jeans e una felpa grigia. Sorridendo, si infila la giacca di pelle nera e mi accompagna verso l'entrata dell'appartamento.

Apre la porta e mi fa uscire. Chiamo l'ascensore e scendiamo insieme. La sua macchina nera è parcheggiata davanti alla portineria, così senza parlare, mi accomodo e attendo che mettesse in moto.

Il viaggio dura solamente pochi minuti e in tutto questo tempo lui non osa parlare. Solo quando parcheggia di fronte al dormitorio dei ragazzi, si schiarisce la voce e, dice: «Pensi di lasciarlo?»

«In realtà» comincio io deprimendomi, «non ne ho la più pallida idea. Ieri sera si è comportato davvero male nei miei confronti e non so se riuscirò a perdonarlo. Mi dispiacerebbe tantissimo lasciarlo, ma... non posso assolutamente permettergli di trattarmi in questo modo»

Michael sorride e mi afferra una mano. Con maniere piuttosto brusche, la stringe e l'accarezza. Da questo, deduco che lui non ha mai avuto una conversazione del genere con una ragazza. Come mai rivedo Liam in Mike, anche se hanno poco in comune?

«Ti ringrazio per avermi ospitata nell'appartamento di tua sorella, stanotte. È stato un gesto carino»

«Non ti preoccupare. È stato un piacere. Uhm, tanto per essere chiari... non sono come Liam Hamilton. O meglio, lo ero, poi sono cambiato. In un certo senso» spiega schiarendosi la voce, «ho smesso di scopare le ragazze per divertirmi. Ora... ne sto cercando una fissa, cioé... da quando mi hai strappato la sigaretta dalle mani e hai aspirato, sto cercando una nuova ragazza e possibilmente fissa»

Rimango a fissarlo con la bocca spalancata, poi soffoco una risata – la prima da ieri sera – e balbetto qualcosa come: «Uhm... bello»

Lui scoppia a ridere.

«Ti ho messa in imbarazzo»

«Sì, penso di sì» replico ridendo, in modo più acceso.

Anche lui si unisce alla mia risata e per alcuni secondi non ci guardiamo. Non voglio incontrare il suo sguardo perché so che se lo facessi, finirebbe male. Purtroppo, lo faccio: guardo i suoi occhi azzurri.

Avvicino bruscamente il mio viso al suo e lo bacio con foga.

Mi sto vergognando di me stessa... da quando Ariana Harris fa una cosa del genere? Cosa direbbe mia madre se mi vedesse? E mio padre? E le mie amiche?

Sono sempre stata l'eterna innamorata non ricambiata. Nel corso degli anni trascorsi al liceo, ho conosciuto diversi ragazzi e la maggior parte di loro mi hanno sempre considerato solo un'amica, perlomeno fino a quando non ho ceduto a Julian.

Ma Michael è diverso... stare con lui è diverso. Lui mi ascolta, mi comprende. E l'ho capito ieri sera, durante la mezz'ora passata insieme.

Mi stacco da lui e Michael sorride. Mi bacia ancora, velocemente, poi sussurra: «Dovremmo smettere di stare così appiccicati, altrimenti... mi farai diventare pazzo»

«Ci conosciamo solo da dodici ore e già... già ti faccio diventare pazzo?» domando col fiatone.

Michael annuisce.

«Oddio»

«Sei bellissima e... io non ti avrei mai trattato come ha fatto Julian ieri sera»

Scuoto la testa. «Lascia stare, dai. Ora... vado a parlare con lui. Dove ti posso trovare?»

Michael riproduce un'espressione perversa.

«Alloggio al dormitorio maschile. Palazzo B, stanza 154... oppure puoi passare all'appartamento»

Annuisco poi sorrido e scendo dalla macchina salutandolo. Aspetto che se ne vada, poi mi volto e comincio a camminare verso l'entrata del dormitorio maschile. I corridoi sono vuoti, dato che gli studenti sono a pranzo, così nessun ragazzo mi vede.

Appena arrivo davanti alla camera di Julian, faccio un sospiro, poi busso. Ad aprirmi è un suo amico, Mark, e mi sorride. Mi fa entrare e lui esce.

«Ariana... cosa ci fai qua?» mi chiede Julian confuso.

«Be', dopotutto questa è ancora la stanza del mio ragazzo, o sbaglio?»

Julian si tira su a sedere e mi guarda con perplessità.

«Che cosa vuoi?»

Esasperata, mi siedo di fronte a lui e lo guardo senza sapere bene cosa dire.

«E mi chiedi anche che cosa voglio? Forse delle scuse? Ieri sera mi hai trattato di merda, Julian, e sono la tua ragazza, porca puttana!»

«Ehi, modera i termini! Da quando parli in questo modo?»

Da quando ho passato una serata a parlare con un ragazzo che è l'esatto contrario di te... ah, ci siamo pure baciati, ma questo è un particolare.

Mi alzo in piedi sconcertata.

«Penserò dopo al mio vocabolario, ora ascoltami. Ti rendi conto di come mi hai trattata? Mi hai liquidata dicendomi che avrei dovuto risolvere i miei problemi da sola? Ero ferita, Julian. E tu non c'eri. Per me... per me è stupido continuare questa...»

Lui si alza.

«...conversazione? Pensi sia stupido continuare questa conversazione?»

Scuoto la testa negativamente.

«No, penso sia stupido continuare questa relazione»

Julian pare sorpreso; mi guarda come se avessi appena detto qualcosa in turco e rimane impassibile per una decina di secondi. Ha la bocca semiaperta, gli occhi ridotti a fessure...

«Cosa?» boccheggia lui, spalancando gli occhi.

«Ieri sera mi sono sentita una merda. Quale ragazzo abbandonerebbe la propria ragazza ad una festa piena di ubriachi? Ti devo ricordare cosa è successo a Sophie? Non hai pensato che una cosa del genere potesse accadere anche a me, considerando che ero pure ferita?»

Julian si sente improvvisamente in colpa. Viene verso di me e prova a prendermi le mani, ma non gli do il permesso. Mi allontano con espressione delusa e deglutendo dico: «Non sto scherzando, Julian»

«Nemmeno io, tesoro»

Una lacrima mi sfugge.

«Non chiamarmi in quel modo. Come puoi, dopo tutto quello che mi hai fatto? Da te non me lo sarei mai aspettata! Sei diverso da Chris; non sei stronzo, ma ieri sera lo sei diventato all'improvviso»

«Ari, ti prego»

Mi allontano ancora di qualche passo, fino a raggiungere la porta, e deglutendo termino la conversazione, dicendo: «E' finita»

Con le lacrime agli occhi, esco dalla stanza correndo.

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NELLA FOTO: CELINE BUCKENS NEL RUOLO DI RACHEL MICHELE.

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