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Capitolo I ∙ Los Vampiros

1953, New York

Raphael quella mattina non era di buon umore. Si era svegliato completamente sudato dopo essere caduto dal letto a castello e aver battuto la testa riccioluta sul comò lì affianco. Caldi raggi solari filtravano dalle tende semiaperte dell'unica finestra nella stanza, non facendo altro che aumentare il fastidio di Raphael; perché doveva fare così caldo?

— Tutto bene, hijo?

La voce calda e familiare di sua madre Guadalupe lo richiamò dal piano di sotto. Evidentemente aveva sentito il rumore del corpo del ragazzo che cadeva, oppure semplicemente la moltitudine di parolacce in spagnolo che ne era seguita.

— Sì, tutto a posto — le rispose alzando la voce per farsi sentire. — Sono solo caduto dal letto.

Raphael si alzò in piedi ancora un po' ammaccato, maledicendo nuovamente il caldo, gli incubi e i comò muniti di spigoli odiosamente appuntiti, poi andò nel piccolo bagno per farsi una doccia fredda e rinfrescarsi un minimo. La temperatura in quei giorni si aggirava costantemente dai trenta ai quaranta gradi, e talvolta il ragazzo insisteva nel farsi docce ghiacciate anche più volte al giorno. Forse era il caldo il motivo del suo malumore, avrebbe avuto senso. Era da circa una settimana che non dormiva a modo, se poi si contavano anche gli attacchi dei vampiri... Decise di non pensarci, non in quel momento.

Dopo circa venti minuti Raphael scese al piano di sotto. Malgrado il caldo infernale, il giovane non avrebbe mai indossato dei pantaloncini corti. Li trovava orrendi. Al contrario, portava dei jeans neri semplici e una camicia bianca dalle maniche arrotolate fino al gomito. Non che gli importasse realmente qualcosa di essere elegante, ma se c'era una cosa che non voleva era seguire delle mode idiote; il suo obbiettivo era semplicemente quello di apparire composto quel che bastava, senza troppi fronzoli inutili.

Hola, Raphael — lo salutò sua madre quando entrò in cucina. I suoi fratelli minori erano già seduti a tavola a fare colazione.

Hola — rispose lui quasi distrattamente.

— Hai fame? — gli chiese ancora. — Ho preparato delle uova — aggiunse, mostrando la padella.

— Non molta — confessò Raphael mentre attraversava la stanza per prendere un bicchiere di succo d'arancia. Dopo averlo svuotato con pochi sorsi, disse: — Stasera credo che uscirò.

— Con quei tuoi amici?

Raphael sapeva che sua madre non era molto convinta delle sue compagnie, anche se non lo diceva. Si trattava di ragazzi più grandi di lui, ma non per questo più maturi. Se fossero stati un branco di lupi, sarebbe stato Raphael l'Alfa senza nessun dubbio. “Amici” poi era una parola grossa: “Compagni” sarebbe stato più appropriato. — Sì, con loro — rispose comunque, senza correggerla.

Guadalupe lo fissò con i grandi occhi scuri identici a quelli del figlio. Gli altri fratelli non facevano neanche caso al maggiore, erano impegnati a mangiare, ma Guadalupe lo stava scrutando in un modo quasi inquietante, come se volesse leggergli fin nel profondo nell'anima cosa avesse in mente. Evidentemente, ciò che lesse non le piacque. Fece per parlare, ma Raphael la precedette: — Madre, scusa, dovrei andare al mercato. È già tardi, tra un po' non si potrà uscire senza arrostire e morire carbonizzati sull'asfalto, quindi ora vado, ok? — Le dette un veloce bacio sulla guancia color caffellatte come la sua. Non era certo tipo che regalava baci e affetto senza pensare, ma verso sua madre faceva spesso uno strappo.

— Ne parliamo stasera, va bene?

Dopodiché uscì spedito dalla porta.

I quattro ragazzi armati avanzavano il più furtivamente possibile nel buio. Le loro ombre distorte al chiarore della luna si ingrandivano e facevano capolino sui muri delle case in modo inquietante. La catena d'oro con la croce al collo di Raphael ondeggiava a ogni passo sotto la camicia: una piccola richiesta di Guadalupe. «Portala al collo, hijo» aveva detto. «Portala per me. Ti proteggerà». E lui l'aveva fatto. Più per accontentare sua madre che per altro.


— Forza, ragazzi — disse Bruce, un ragazzo di diciassette anni dai capelli neri e mascella squadrata. Era il più grosso di tutti per stazza, e provava costantemente a dimostrare che, per così dire, era lui in cima alla gerarchia. Stupido, pensava Raphael con disgusto. Tutta quella sete di potere, quel bisogno quasi primitivo di far vedere di essere superiori... gli dava la nausea. Raphael era l'unico della band a non essere così: lui era il tipo di persona che non aveva bisogno di fare palestra per essere temuto, il tipo di persona che non aveva bisogno di nulla per essere rispettato ed ascoltato.

— Siamo vicini alla loro tana — disse ancora Bruce, superando tutti come per dimostrare che se fosse successo qualcosa li avrebbe protetti lui.

Raphael alzò per un secondo gli occhi al cielo; ma come poteva la gente pensare davvero che quelli fossero suoi amici? La verità era che lui non era il ragazzo socievole con a disposizione un gruppo di ragazzi di età superiore perché era popolare. In realtà, l'unico motivo per cui era in quella band era perché, se c'era una cosa in cui riusciva, era fare il leader. Non perché avesse voglia o bisogno di amici. Gli amici a uno come Raphael servivano a ben poco.

Ma non era quello il momento per pensare a quelle cose. Erano arrivati fin lì per trovare i vampiri che da giorni attaccavano i bambini nel loro quartiere, e ci sarebbero riusciti. I pugnali benedetti dal prete della loro chiesa abituale mandavano bagliori nella penombra, come se avessero una vita propria e sentissero l'odore di morte.

E la morte, in effetti, era più vicina ai giovani ragazzi di quanto non pensassero.

Sapevano dove andare: l'Hotel Dumont, ribattezzato Dumort perché le storie dicevano fosse infestato. E chissà, forse lo era per davvero. Quale posto migliore per un branco di vampiri se non un vecchio edificio maledetto? Molti anziani avevano giurato di sentire spesso delle urla, dei passi felpati, dei risucchi abominevoli provenire dalle pareti cadenti e marcescenti dell'hotel. Tutti gli indizi sembravano portare lì.

Arrivati sul retro dell'edificio maledetto, si misero in cerca della grata di cui avevano sentito parlare. Doveva pur essere da qualche parte un'entrata, e avevano sentito dire di quella grata che utilizzavano i cuochi dell'hotel per far uscire gli odori della cucina. La trovarono dopo una decina di minuti, il metallo leggermente corroso dal tempo e dall'umidità. Impiegarono altrettanto tempo per cercare di toglierla, e quando alla fine ci riuscirono, le loro mani erano graffiate e sporche di ruggine dall'odore poco gradevole.

— E ora? — chiese un ragazzo.

— Si salta — gli rispose Raphael come se fosse la cosa più normale del mondo. I grandi occhi scuri parevano nella penombra più cupi.

Saltò per primo, e fu questione di un secondo prima che atterrasse sui piedi su un pavimento che lo resse. Dalla sua posizione accucciata si mise in piedi, tentennando solo un po' per la lieve storta presa nella caduta a una caviglia. Si guardò intorno e realizzò di essere in una specie di cantina: il pavimento, per quello che riusciva a distinguere, era di pietra, e grossi scaffali che immaginò un tempo contenessero bottiglie in fase d'invecchiamento ora erano rovesciati per terra nel caos più totale. Nessuna traccia di vampiri, ad ogni modo.
Dette quindi il via libera ai compagni ancora all'aperto: — Saltate, è una cantina.

Quando lo ebbero raggiunto, suppur con meno grazia di Raphael, il gruppetto ad armi sguainate si incamminò furtivamente ai piani superiori.

l'Hotel Dumort era forse l'edificio più malandato e sporco di New York, pensò Raphael. Ragnatele senza ragni ad abitarle adornavano ogni angolo come veli da sposa che avevano perso lucentezza, strati di polvere intatta ricopriva il pavimento e i pochi mobili ancora presenti, macerie e pezzi di legno che forse in passato erano sedie o scale ora intralciavano il passaggio. Ma la cosa peggiore era il sangue: coagulato e non, ricopriva a macchie secche e nere il pavimento scheggiato. Piccoli oggetti come lembi di tessuto intrisi del liquido cremisi si trovavano all'interno delle pozze.

Non c'erano più dubbi: quello era il covo dei vampiri.

Ma loro dov'erano?

Tutto era silenzioso intorno a Raphael e agli altri ragazzi. Troppo silenzioso. Gli unici rumori erano i respiri dei giovani, quello regolare e misurato di Raphael a contrasto di quelli affannati dei sui compagni. Erano spaventati? Dentro di sé, Raphael provò un leggero moto di disgusto; cosa si erano aspettati? Che fosse tutto uno scherzo?

— Molto bene — sussurrò loro mostrandosi calmo e sicuro come sempre. — Non dividiamoci, rischieremo di perderci. I vampiri non devono essere lontani, tra poche ore sarà l'alba, se anche fossero usciti per cacciare ritorneranno, e a quel punto metteremo in atto l'agguato, come da piano.

Negli occhi degli altri ragazzi si leggeva la paura, forse dovuta al sangue sotto i loro piedi, ma annuirono. Perfino Bruce guardava Raphael speranzoso, come pregando che lui ordinasse la ritirata. Proprio lui, pensò disgustato. Lui, che ha ritrovato il fratellino dissanguato sul portico. Ma non dette voce a quei pensieri, né la sua espressione cambiò.

— Diamoci da fare — disse infine Raphael, o almeno, fece per dirlo quando un uomo come apparso dal nulla atterrò davanti a loro, come se si fosse lanciato da un piano superiore.

I ragazzi alzarono subito i pugnali, ma tutti, perfino Raphael, erano sorpresi di quell'apparizione. Il loro piano era quello di sorprendere i vampiri quando sarebbero tornati dalla caccia. Non si aspettavano che succedesse il contrario.

L'uomo che aveva saltato alzò il capo, ancora accucciato a terra in perfetto equilibrio. Quando mostrò il viso si rivelò essere un giovane uomo, un ragazzo, che dimostrava una ventina d'anni. I capelli color paglia erano tirati indietro dal gel in un'acconciatura che gli donava, gli occhi color cacao scrutavano ferini e incuriositi i nuovi arrivati. Due cose però tradivano la sua vera natura: le mani artigliate sporche fino ai polsi di sangue ancora fresco e i canini bianchissimi che facevano capolino sulle labbra sporche di rosso.

Il vampiro sorrise candidamente ignorando con lo sguardo i coltelli sguainati, come se fossero arrivati gli ospiti d'onore a una festa. Si alzò in un unico gesto aggraziato, senza smettere per un istante di sorridere e guardare i ragazzi. Poi disse: — Oh, ma oggi è proprio il nostro giorno fortunato! — Si girò di poco e aprì la bocca, come per chiamare qualcuno. Non ci volle molto a Raphael per fare due più due. Avevano sbagliato i calcoli: di vampiri ce n'erano molti di più, e quello davanti a loro stava per chiamare rinforzi. Se l'avesse fatto, sarebbero inesorabilmente morti.

Coltello in mano, si lanciò verso il vampiro con l'intenzione di pugnalarlo al cuore. Quest'ultimo però, fu più veloce. Muovendosi con più rapidità di qualsiasi essere umano si scansò, afferrando contemporaneamente il polso della mano con cui Raphael teneva il pugnale, prima di torcerglielo senza pietà, fino a che non si sentì un rumore chiaro e nitido di ossa frantumate. Il ragazzo aveva lasciato cadere il coltello, ovviamente, ma non urlò. Si limitò a digrignare i denti prima di mollare un calcio nello stomaco all'avversario. Troppo poco forte, però. Il vampiro non si scompose più di tanto e si limitò a fare una smorfia di dolore, prima di colpire nettamente l'interno di una gamba di Raphael con un calcio. Il ragazzo inspirò di colpo tentando di trattenere un urlo mentre il dolore alla gamba si estendeva su tutto l'arto. Se mi ha rotto anche quella giuro su Dio che lo scuoio, pensò furioso.

Non fece in tempo a scuoiare nessuno però che il vampiro alzò la testa e fece un... richiamo. Non si poteva definire un urlo vero e proprio, non esattamente. Era acuto e roco al tempo stesso, e rimbombò per tutto l'Hotel. Durò relativamente poco, poi il vampiro abbassò lo sguardo sui compagni di Raphael, che non avevano mosso un muscolo. Ma scappate, no? Aiutatemi, se proprio vi sentite altruisti oggi! Raphael era di secondo in secondo più arrabbiato con quel maledetto mostro che gli bloccava entrambe le braccia, frustrato per essere finito in una trappola senza pensare, infuriato con i compagni per essere così stupidi da non essere scappati quando lui distraeva il vampiro biondo, e anche un po' spaventato per le decine di figure dai volti pallidi che apparivano dall'ombra.

— Scappate! — ringhiò Raphael rivolto ai tre ragazzi. I vampiri erano troppi.

Loro non se lo fecero ripetere e si voltarono, ma il passo era già sbarrato da una fila di vampiri con i canini visibili e sporchi di sangue, come se si stessero nutrendo quando erano arrivati. Li avevano accerchiati.

Sotto l'espressione calcolatrice di Raphael, lo sconforto si stava facendo sentire. Cosa aveva fatto?

Un vampiro uscì dal cerchio e avanzò verso Bruce e gli altri due, senza degnare di uno sguardo Raphael, tenuto ben fermo dal vampiro biondo. Portava i capelli rosso cremisi lunghi fino alle spalle, tanto che sembravano fatti apposta per ricordare il sangue appena versato. I tratti erano affilati e aquilini, le labbra sottili curvate in un ghigno, gli occhi famelici.

— Oh! Ma cosa abbiamo qui... — La voce del vampiro dai capelli rossi era al tempo stesso graffiante come dei coltelli sul metallo e profonda come un pozzo buio. — Tre piccoli mondani.

— Veramente — lo interruppe Raphael ancora semi-accucciato per terra grazie alla gamba rotta. — Sarebbe quattro.

Il vampiro spostò immediatamente gli occhi sul giovane dalla pelle color cioccolato e il mento alzato in un gesto austero e di palese sfida. Le sue sopracciglia si alzarono lievemente, per poi sorridere mettendo ben in mostra i canini. — Oh, ma che delizia! Quattro, ancora meglio! E siete venuti voi da soli, molto bravi!
Raphael aveva sempre più voglia di mollargli un calcio nelle parti basse, così, giusto per togliergli dalla faccia diafana quel sorriso da mentecatto. Purtroppo, era impedito dal farlo.

— Li uccidiamo? — chiese impaziente una vampira dai lunghi riccioli scuri.

Il vampiro rosso – evidentemente il capo – fece un gesto noncurante con la mano, senza staccare gli occhi blu scuro da Raphael. — E perché no? — rispose. — Ma ho una richiesta: il ragazzino più piccolo è mio.

Il cerchio di vampiri fremette, impaziente. Anche se fossero stati contrari, a loro rimanevano pur sempre altri tre ragazzi con cui sfamarsi. Il pensiero fece venire la nausea a Raphael.
Il ragazzo sentì il vampiro biondo che mollava la presa sulle sue braccia, ma con una gamba inutilizzabile avrebbe combinato ben poco.

— Va bene, Louis. Ora possiamo? — implorò ancora la vampira, leccandosi un labbro con sguardo predatore.

Il sorriso del vampiro dai capelli rossi – Louis? – si allargò, fino a diventare una smorfia famelica che non aveva più nulla di umano. — Certo. Accomodatevi, ragazzi.

Dopodiché si lanciò contro Raphael, nell'istante stesso in cui tutti i vampiri si scagliavano contro gli altri tre giovani.

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