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Il pescatore di sogni

Il vecchio pescatore un po' suonato suonava e cantava la sua storia: 

«È Monty un mostro sacro

che mangia solo sogni,

delle donne è giusto amante

e del lago è custode.»

Una spelonca profonda, protetta da un cupo lago e dalle tenebre dei boschi, sopra la quale nessun volatile poteva impunemente avventurarsi ad ali spiegate... ecco cosa era e cos'è il lago Averno.

Il pescatore cantava stonato una canzone che parlava di mostri, traghettatori immortali, spelonche che son regge, sogni e inferi; nudo nel corpo, ma inconscio di esserlo nell'anima, era steso sulla barca, gli occhi rivolti alla luna, luna che era rossa, rossa come la passione ormai da anni negata, perché l'amore perso era un infinito spezzato.

Il sole tramontava basso e gonfio come un'arancia, affondando nelle acque del lago Averno. La voce che cantava alla luna, sovrastava di poco i rumori del bar. La macchinetta del caffè a stantuffo, che sbuffava liberando il vapore, i colpi secchi e sordi del biliardo, le risa sguaiate di un gruppo di giovani balordi, che passavano ogni sera persi nel fondo di un boccale.

La storia era iniziata così e così finita, il cerchio dell'eternità che si ripeteva in riva al lago.

L'ukulele era stonato come stonato era il pescatore che cantava dell'amore, amore perso e mai più ritrovato.

E l'amicizia, mostruosa e meravigliosa, che supera barriere di mondi interi. Perché Monty D. era il guardiano dell'anima sua, il guardiano della tomba su cui eternamente avrebbe pianto. Il lago Averno.

«Canto a te mia dolce barca,

compagna d'avventura,

solitudine non mi abbandona,

solo un amico ho nel cuore è lui, Monty, 

che è guardiano di colei che amai un tempo

e che nel lago ormai riposa.»

«La fine, la fine del tempo verrà,  

verrà e dormirò anche io nel lago. 

Dormirò tra le spire di Monty D. 

Vecchio amico, che non mi farà mangiare dai pesci!»


«Mi porterà dove lei riposa,

la porta sulla sua groppa mi farà attraversare,

negli inferi l'andrò a cercare.

Ma lei giovane e leggiadra ancora sarà,

mentre io solo un vecchio apparirò. Tu gallina che mi dici?

Sei tornata dall'aldilà?

Sì è vecchi anche là?»

I ragazzi ridevano del vecchio pescatore che nudo cantava e che a un mostro credeva

Il bosco attorno al lago Averno era fresco, in quella sera di fine estate. L'umidità era mitigata dal vento che arrivava dal mare, non troppo lontano, e le braccia di terra riparavano il lago senza soffocarlo, come una madre saggia. Non era un posto di vita mondana; un paio di bar, qualche ristorante specializzato in cucina tradizionale. Appena un supermercato e un ufficetto postale. La vita frenetica era poco distante, pochissimi chilometri. Ma sulla riva del lago era facile dimenticarsene e crederla lontana. Anche le persone che vi ronzavano attorno come zanzare erano più o meno sempre le stesse. Abitudinarie e prevedibili. C'erano le giovani mamme, che si vedevano solo al mattino; i pochi ragazzi che scorrazzavano, giocando senza pensieri, nelle ore pomeridiane; i vecchi, per lo più pescatori e contadini cotti dal sole, spesso appollaiati sulle sedie messe fuori ai bar, gabbiani di terra ferma.

E poi il solito gruppo di balordi.
Troppo poco legati alla terra, per viverla con rispetto. Troppo insicuri per allontanarsene e legarsi alla città. Troppa birra e poco cervello costretti in un posto ogni giorno sempre più stretto.

E poi c'era lui.

Il tipo strambo che trovi in ogni luogo.
Era stato un pescatore e, dicevano in paese, un uomo vigoroso e pieno di ardore. Aveva vissuto per il mare e per la sua donna, più in mare che sulla terraferma.

Un giorno sfortunato, però, aveva perso la sua bussola: sua moglie, l'amore della sua vita, era annegata per un terribile accidente in quello specchio di cielo che è il Lago Averno, portando con sé la sanità mentale del pover'uomo.

Vedovo della sua donna, aveva abbandonato il mare. La sua barca era ormai sempre ormeggiata nel Lago, ne aveva fatto la sua casa e la sua prigione. Spesso ubriaco, sempre ciarliero, aveva cominciato a raccontare di mostri, fedi di roccia e acqua, di abissi insondabili.

Gli abitanti della zona ne tolleravano le intemperanze, compatendo e cercando di chiudere un occhio, se non due. Inutile dire che il gruppo di balordi ne aveva fatto il proprio bersaglio
Il pescatore, visti i suoi soliloqui con improbabili interlocutori, era un bersaglio semplice. I ragazzi avevano iniziato con frecciatine, piccoli sfottò e poi vere e proprie offese

Poi un giorno iniziarono a sfidarlo.

Volevano vedere Monty, il guardiano della porta che collegava il mondo dei vivi quello dei morti.

Non temevano la sua ira, né la sua fame di sogni.

Perché come il pescatore cantava, Monty, da chi riusciva a scorgerlo, esigeva un pegno, un pegno all'apparenza innocuo e senza importanza, lui esigeva in dono un sogno, il tuo più bello, più radicato nel tuo profondo, quello che non ti avrebbe abbandonato mai.

E il pegno che il pescatore aveva pagato era stato alto, tanto alto da fargli perdere la ragione.

La moglie era il suo sogno più bello e per colpa della sua curiosità lo aveva perso.

Ma Monty toglie con la destra e dona con la sinistra.

Il dono fattogli da Monty era stato la speranza, la speranza e la certezza che un giorno l'avrebbe riabbracciata e amata, ancora e ancora, fino a che gli inferi fossero esistiti, fino a che i due laghi, Averno e Lucrino, che erano il segno dell'infinito, non si fossero uniti per l'eternità.

«Parlano e ridono loro, parlano e ridono e pensano che siccome sono vecchio non vedo la birra nei loro occhi! Stupidi, ignoranti e più teste di legno della panca dove mettono il culo!

Che ne sanno di Monty loro? Che ne sanno delle porte dell'Ade?

Che ne sanno della luce spendente dell'abisso più oscuro?

Del monte più alto che in basso conduce?

Che ne sanno degli occhi belli di Anna? Di quando mi chiamava amore?

Che ne sanno di come si spezza l'anima a un uomo quando perde l'altra parte del suo infinito?

Dell'oro carbone che aveva negli occhi? Della bocca di miele che vita donava?

Le viscere della terra sono profonde e nascondono la ragione stessa di ogni respiro e Monty, vecchio amico di fuoco, veglia e protegge, protegge e veglia.

Perché mai i due mondi s'incontrino.

Eppure io non sono di sale.

Poiché, altrimenti, i morti sarebbero vivi e vivi sarebbero morti. La luce notte e la notte luce.

E i suoi denti non mi hanno mai sfiorato, anche se il mio cuore vive con i morti e la luce dei miei occhi è inghiottita dall'acqua.

So che se la sponda sommersa e il sole nascosto un giorno in groppa a Monty raggiungerò, finalmente, la mia Anna tra le braccia riavrò.

Perché Monty io non odi mi chiedete?

Sciocchi! Si può odiare chi la tua anima custodisce?

Chi il tuo tesoro in serbo per te, al sicuro, mantiene?

Scrigno di fiamme sopite dall'acqua, rovente custode della gelida mano che strinse la mia.

Occhi di ghiaccio non mi abbandonate, famiglia e amici ora, solo voi, siete.

Solo con acqua e fango posso parlare dei segreti oscuri, portano con sé i miei bisbigli, li fanno giungere là dove si sciolgono, come neve al calore infuocato della mia donna.»

«Vecchio, pazzo, amico mio, a me conduci l'ebbro e il sobrio, il giovane e il vecchio.
Cavernosa è la mia voce e il mio stomaco vorace, sol da lì a vita nuova puoi passare. Della porta del porto sicuro son custode, ma l'eternità è lunga da sopportare, sogni mi servono per poterla ingoiare.

Il gran mago, Virgilio, mi mise il sigillo, mai da questo lago potrò allontanarmi. Causa fu la sua concubina, Sibilla, i cui occhi il cuore mi catturarono e il cui canto d'amore le squame fecero fremere.

Mai più le ali potrò spiegare, mai più il cielo potrò sfiorare, mai più senz'acqua respirare.»

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