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quarta prova: Nell'abbraccio della follia

"Quando l'amore non è follia, non è amore."

(Pedro Calderon De La Barca)

<<Papà, ritornerai domani con altri colori? Devo finire in tempo il disegno.>>

E le piccole manine si muovevano ancora più veloci sui fogli imbrattati di colori e sogni da far avverare.

Nel suo pigiamino rosa a pois, la piccola Elena, coltivava desideri da bimba e sogni da grande, affidandoli a disegni che avrebbe regalato, appeso e spedito a tutti coloro a cui voleva bene.

La sua camera ne era tappezzata, e anche il soffitto aveva ben pochi spazi rimasti liberi.

I suoi sogni erano quelli di tutti i bambini, ma ce n'erano anche di più semplici e comuni che, ad altri bambini, erano dati in dotazione alla nascita.

<<Certo mia Principessa, sai che le mie promesse sono come un patto di fedeltà di questo tuo umile servo. Domani avrai i tuoi colori nuovi.>>

E le sue grandi mani presero a coprirla per bene, tolsero fogli e colori dalle coperte per posarle sul comodino a fianco, già reso ingombro da album e pastelli.

<<Buonanotte mia Principessa>> disse per l'ultima volta.

Spegnendo la luce e posandole un bacio sulla fronte, capì che non avrebbe potuto mai fare altrimenti.

Si perdonò per la sua piccola bugia, ma quello era l'unico modo che conosceva.

Chiuse la porta e scese giù in salotto per parlare con la moglie prima di mettersi in viaggio.

<<Sei sicuro di voler ancora andare?>>

E le sue mani bianche a stringersi le braccia, per placare la tristezza e l'inconsolabile certezza che non c'era molto altro da fare.

Lo abbracciò forte, con le mani a sfiorargli i capelli e ad accarezzargli il collo, in quell'intimo tocco che solo lei sapeva donargli.

<<Ne abbiamo già parlato. Sai anche tu che è la soluzione migliore. Inutile aspettare ancora.>>

La teneva tra le braccia un'ultima volta, prima di darle un bacio come quelli che da ragazzi li aveva fatti innamorare.

Sarebbe stato l'ultimo e saperlo non alleggeriva quel distacco.

La scostò guardandola in quegli occhi ora lucidi ma che lo avevano stregato anni prima, le sorrise e le disse con dolcezza che doveva proprio andare adesso.

Si alzò con convinzione, guardando verso le scale e immaginando la sua Principessa dormire beata.

Arrivò alla porta, prese le chiavi e riabbracciò la moglie che in lacrime lo pregava di ripensarci.

<<Possiamo ancora aspettare, non è detto che debba andare così... come faremo senza di te? Cosa dirò ad Elena?>>

Ancora nell'abbraccio della moglie, Paolo prese un ultimo respiro del suo profumo e con voce ferma la rassicurò che tutto sarebbe andato bene lo stesso, per lui e per loro due.

Si chiuse la porta di casa alle spalle convinto di fare davvero la cosa più giusta della sua vita. Avviò il motore e si diresse verso la montagna.

Adele lo vide sparire in fondo al viale e lo seguì andar via, finché le luci rosse dei fanali divennero due puntini che poi sparirono.

Era esausta, erano giorni che ormai ne parlavano e l'unica soluzione era rimasta quella di Paolo, di andare e lasciarle vivere al meglio la vita.

Continuava a piangere, pur sapendo che non avrebbe dovuto più farlo in vita sua, pur capendo che la figlia avrebbe avuto una vita meravigliosa, anche senza avere a fianco la presenza del suo adorato papà.

Salì al piano di sopra e controllò Elena che dormiva il sonno miracoloso dei bambini, quello privo di problemi e di incertezze, quello che tutti i bambini del mondo avrebbero dovuto provare. Sempre.

Richiuse la porta della cameretta e andò in bagno a prepararsi alla notte più lunga che avesse mai affrontato, sapendo perfettamente che, stavolta, non avrebbe chiuso occhio neanche con un aiuto chimico.

Mentre si struccava, lo specchio le rimandava il volto di una sconosciuta, una donna stanca e rassegnata. Non era la vera lei quella, ma era quella che era rimasto di lei da quando era nata Elena.

A poco a poco il suo volto e i suoi occhi avevano fatto entrare la tristezza, il dolore e la pesantezza della vita.

Indossò la sua camicia da notte azzurra e lentamente entrò nella loro camera matrimoniale, che da quella notte l'avrebbe vista sola.

Tutto già pesava sul cuore, i suoi abiti nell'armadio, le sue cose lasciate sul comò, le foto appese e il libro sul comodino in attesa di essere finito di leggere.

A tenerne il segno, un foglio piegato, che Adele si portò al cuore, pur conoscendolo a memoria.

"Cardiopatia congenita complessa, per la quale non esiste possibilità di trattamento chirurgico convenzionale e con prognosi inferiore a 24 mesi..."

Questo era stato il verdetto dei medici, e dell'equipe di cervelloni che avevano fatto tutti gli esami del caso. Questo piombava il cuore di Adele, e col calare della notte, avvolta da quel silenzio che urlava, ne sentiva ancora di più il peso.

Schermata dalle coltri pesanti si permise di singhiozzare, a lungo, senza freni e senza vergogna, ben sapendo che dal giorno dopo avrebbe dovuto lasciare ad Elena il bel ricordo di suo padre.

Paolo guidava nel buio della notte, in cui l'unica luce erano i suoi fari debolmente puntati sull'asfalto rovinato di quella strada di montagna.

Aveva già predisposto tutto, pensato ai debiti, alla futura casa e ad ordinare una fornitura a vita di album, tele e colori di ogni genere per la sua Principessa. Le sarebbero serviti molti colori, negli anni a venire, per disegnare tanti desideri, pensò con un sorriso.

Arrivato alla serie di curve a gomito di quel tratto di strada che conosceva bene, spense i fari e accelerò.

La scena invece rallentò e il buio della notte lo avvolse come una coperta.

Staccando le mani dal volante e lasciandole sospese, risentì la voce di Elena e rivide gli occhi felici di Adele... sorridendo tra sé accolse la sua folle scelta con la convinzione di un guerriero, mentre l'auto sfondava il guardrail e la sua corsa veniva fermata dalla pineta nascosta tra le rocce.

"... si è instaurata una grave disfunzione ventricolare irreversibile, l'unica speranza per la bambina è il trapianto di un donatore compatibile che sia deceduto per altri motivi."

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