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41. Rimembranze (Premessa alla terza bugia)


Un anno e quattro mesi prima.


Era il penultimo giorno di Diego alla Scuola dei Demeriti e lui non riusciva a fare a meno di sorridere: ce l'aveva fatta, avrebbe rivisto suo fratello e i suoi genitori, il suo gatto, i suoi amici. Mancava solo una notte, o forse due, e sarebbe uscito di lì.

C'era però una piccola parte di lui che sbuffava infelice: l'idea di lasciare Pietro lo rattristava profondamente. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e strinse forte il foglietto che Pietro gli aveva regalato: con quello avrebbero potuto scambiarsi messaggi anche se li avessero separati centinaia di chilometri; avrebbe preferito poterlo vedere di persona, ma avrebbe dovuto farselo bastare.

Pietro stava facendo colazione seduto al suo fianco. «A cosa stai pensando?» domandò posando il bicchiere d'acqua, gli occhi grigi che brillavano sotto le luci al neon.

Diego scosse il capo. «A niente» sussurrò. «Solo a quanto mi mancherai.» Tirò fuori la mano dalla tasca e la allungò verso Pietro che gliela strinse, nascosto dal tavolo. La mano di Pietro era calda, mentre quella di Diego era ghiacciata; col passare dei minuti il palmo e le dita di Diego si riscaldarono, fatta accezione per l'anello con incisa una testa di gufo che portava sull'indice. Il becco cozzava sulla pelle di Pietro, lasciandogli un piccolo solco.

«Questa giornata è tutta per noi» mormorò Pietro dolcemente. «Non pensiamo a quello che accadrà domani.»

«Va bene» cedette Diego con un sorriso.

Pietro gli lasciò di colpo la mano. «Sta arrivando un uomo, non so chi sia» sussurrò veloce. «E sta venendo proprio verso di noi.»

L'uomo sulla cinquantina indossava dei pantaloni in velluto color beige, una camicia stropicciata e puntava proprio nella loro direzione.

«Buongiorno» tossicchiò avvicinandosi al tavolo. «Sono qui per Diego.»

«Sì, sono io» aveva risposto lui.

«Sono il professor Crive, non penso ci siamo mai incontrati prima.»

«Piacere di conoscerla» rispose Diego con un sorriso.

«Ci sono delle carte che dovresti firmare per poter uscire, se vuoi seguirmi nel mio ufficio.»

«Non si può rimandare?» si intromise Pietro.

«Temo di no» rispose il professore. «È abbastanza urgente.»

Diego si alzò con un sospiro. Batté i tacchi delle scarpe l'uno contro l'altro, attivando così il foglietto che Pietro aveva cucito sulla suola interna e che gli permetteva di seguire la persona davanti a lui: la suola si riscaldava in vari punti suggerendogli la direzione da prendere e l'eventuale presenza di gradini.

«Mi faccia strada» disse e rivolto a Pietro aggiunse: «Ci rivediamo in un battibaleno.»

Pietro lo osservò camminare dietro al professor Crive mentre Luce, il suo Macc, gli trotterellava al fianco. Quel piccolo contrattempo non avrebbe rovinato la loro giornata: Diego sarebbe tornato presto e poi avrebbero potuto passare tutta la mattina e l'intero pomeriggio assieme.

Terminò con calma di fare colazione e poi andò nella stanza 30, Diego però non era già lì ad aspettarlo.

Arrivò il pranzo, ma lui non era ancora tornato.

Arrivò la cena, e di lui non c'era ancora traccia.

Pietro camminava nervoso verso la mensa, mentre Michele e Alberto, i suoi compagni, ridevano e scherzavano.

Dov'era finito Diego? Lo stava aspettando per cenare assieme?

Non c'era. Pietro sentì il cuore spezzarsi: l'avevano fatto uscire da scuola in anticipo, senza dargli la possibilità di salutarlo?

Mentre mangiava i suoi occhi saettavano in tutte le direzioni, cercandolo. Ormai fremeva di impazienza, voleva solo tornare nella stanza 30 e prendere il foglietto con cui poteva comunicare con Diego: l'aveva lasciato nascosto dietro l'intelaiatura della finestra, convinto che non gli sarebbe servito fino al giorno successivo e Michele e Alberto erano rimasti tutto il tempo dentro la camera impedendogli così di recuperarlo in segreto.

Sapeva che Diego aveva con sé la sua controparte del foglietto e che doveva avergli lasciato un messaggio. Probabilmente era già fuori, forse addirittura già fra le braccia della sua famiglia.

Pietro bevve con un sorso rapido tutta l'acqua che aveva nel bicchiere, si alzò in piedi e corse in direzione della stanza 30: doveva arrivare prima dei suoi compagni di stanza e prendere il foglietto.

Entrò veloce in camera e vide il letto di Diego: era stato svuotato, non c'erano più né lenzuola, né vestiti, né libri, era rimasto solo il materasso.

Un brutto presentimento gli scosse il cuore, mentre una parte di lui cominciava a domandarsi perché un professore avesse chiamato Diego: di solito erano i Sorveglianti a sbrigare ogni faccenda e non aveva mai visto un professore al di fuori della propria aula, okay, ne aveva visti alcuni nei corridoi, ma sempre nelle vicinanze delle loro aule.

Pietro scosse il capo, probabilmente a fine anno le cose andavano diversamente.

Batté rapido il pugno sull'angolo dell'intelaiatura della finestra, la afferrò quando gli cadde fra le mani e afferrò il foglietto che cercava. Rimise tutto a posto e corse verso uno dei bagni più isolati del piano.

Controllò che tutti gli stalli fossero vuoti e chiuse la porta alle sue spalle.

Aprì il foglietto arrotolato e notò con un sospiro di sollievo che proprio al centro del foglio c'era un quadrato nero: Diego gli aveva lasciato una registrazione vocale e doveva essere particolarmente lunga visto che il quadrato riempiva quasi tutto il foglio.

Il cuore gli fremette: forse gli aveva parlato durante tutto il viaggio di ritorno?

Appoggiò il pollice proprio al centro del quadrato e una voce provenne dal foglio: apparteneva ad un uomo.

«Hai imbrogliato, ammettilo» sibilava.

«Non ho imbrogliato.» Era la voce di Diego! «Se vuole può interrogarmi sull'intero programma.»

L'uomo rise e Pietro lo riconobbe: era il professor Crive, quello che aveva chiesto a Diego di seguirlo quella mattina.

«Non mi serve» sbottò l'uomo velenoso. «Non perderò parte del mio prezioso tempo per una nullità come te: so che non sai.»

«Mi metta alla prova» lo supplicò Diego.

Il professore rise ancora. «Anche se tu sapessi rispondere alle domande non proverebbe niente» sibilò. «Tu non sei in grado di capire nulla, impari unicamente a memoria.»

«Mi faccia risolvere dei problem-» fece per ribattere Diego, ma venne interrotto.

«Un essere Imperfetto come te?» Rise. «Le possibilità sono due: o imbroglieresti o ripeteresti a pappagallo qualcosa che hai memorizzato.» Ci fu una pausa. «Hai imbrogliato, ammettilo!»

«No» disse calmo Diego.

«I miei colleghi» sbottò il professore. «Si sono rammolliti, probabilmente gli hai fatto pena e te l'hanno lasciata passare liscia, ma io no, nossignore. Che un essere così Imperfetto sia arrivato primo è impossibile.»

«Posso andarmene?» La voce di Diego era decisa.

«No, stiamo aspettando qualcuno.»

«Chi?»

Il professor Crive non rispose: avevano bussato alla porta.

Si sentì un rumore di sedie spostate, una chiave girare, una maniglia venne abbassata e una porta si aprì. Alcune voci maschili riempirono la registrazione, scambiandosi saluti, poi la porta venne richiusa a chiave.

Ci fu un attimo di silenzio.

Poi dei rumori convulsi.

«Lasciatemi!» urlava Diego. «Lasciatemi andare!»

Si sentì Luce abbaiare potente, un grido rompere l'aria.

«Prendete quel Macc!» urlò il professor Crive. «Fatelo a pezzi! Distruggetelo!»

Luce abbaiava.

Abbaiava.

Diego gridava.

Luce abbaiava.

Poi Luce non abbaiò più.

«Ben fatto» borbottò il professore. «E ora veniamo a te...» disse.

«Lei non può» mormorò Diego. «Non può ferire un Macc.»

«Non c'è nessuna regola che me lo vieti.»

«E nessuna che glielo consenta.» La voce di Diego era strana, molto debole.

«È qui che ti sbagli» ringhiò il professore in un mezzo sorriso. «Io posso fare qualsiasi cosa.»

Diego urlò ancora.

I rumori si facevano sempre più indistinguibili tanto erano forti e l'unico che Pietro riusciva a distinguere era il suono della voce di Diego.

Era straziante.

Logorante.

Aveva ascoltato fino a quel punto come in uno stato di trance, ma l'ennesimo grido di Diego lo spinse a stoppare la registrazione. Il quadrato nero si era fatto leggermente più piccolo: era in realtà formato da tanti quadrati concentrici e ogni due minuti di registrazione ascoltati uno dei lati del quadrato più esterno scompariva.

Pietro strisciò tremante verso uno degli stalli e vomitò dentro una turca.

Gli occhi gli facevano male.

Il cuore batteva troppo forte.

La testa non capiva più nulla.

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