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39. Rimembranze (La prima bugia)


Un anno e otto mesi prima.


Quando Pietro vide per la prima volta la Scuola dei Demeriti, un largo sorriso si dipinse sul suo volto: non sarebbe rimasto lì a lungo, i suoi genitori lo avrebbero tirato fuori in fretta, probabilmente già la sera stessa, tanto valeva approfittarne per scoprire com'era quella scuola che tutti temevano e di cui nessuno sembrava sapere nulla.

Dall'esterno non era niente che non avesse già visto: i muri erano bianchi, come quelli di qualsiasi altra scuola. I suoi genitori, che erano dei veri e propri appassionati di leggi e di regolamentazioni, gli avevano spiegato che le scuole dovevano sempre essere bianche perché bianca era la carta speciale quando era grezza e poi, una volta programmata, veniva tinta di un altro colore; era un po' quello che accadeva nelle scuole: i bambini entravano con poche conoscenze, erano tutti simili e con le stesse potenzialità, proprio come la carta grezza, ma una volta terminato il periodo di formazione ne uscivano come prodotti finiti, in attesa solo di indossare i loro colori: avrebbero vestito camici verdi come i medici? O arancioni come i chimici? Sarebbero diventati ufficiali di polizia?

Dal canto suo Pietro sapeva già cosa avrebbe fatto non appena terminata la scuola: sarebbe entrato nell'azienda di famiglia e sarebbe diventato un programmatore di carta speciale. La sua permanenza alla Scuola dei Demeriti sarebbe stata solo una parentesi della sua vita, un aneddoto da raccontare ai suoi figli un giorno; in fondo i video di sorveglianza provavano che lui aveva assunto tutto le pillole, poteva stare tranquillo, e se quello non fosse bastato era sicuro che i suoi genitori avrebbero fatto qualcosa: la loro era la più grande azienda di programmazione di carta dell'intero Paese ed erano stati assunti persino dal governo come fornitori ufficiali, non avrebbero lasciato il loro figlio più piccolo in un luogo come la Scuola dei Demeriti, soprattutto visto che lui le pillole le aveva prese.

I muri bianchi all'inizio non lo avevano colpito, non fino a che non aveva attraversato il grande parco ricolmo di alberi e non si era avvicinato di più. Sui muri c'erano in rilievo delle figure: sulla parte bassa c'erano foglie complete delle più minuscole venature e spaziavano da quelle di faggio a quelle della pianta di ananas; sulla parte più alta c'erano delle radici, lunghe e nodose che si espandevano come ragnatele e sembravano stritolare la scuola stessa. Il fatto che fossero bianche e in rilievo gli dava l'impressione di osservare dei calchi di fossile.

Solo in quel momento notò che non c'era nessuna porta davanti a lui: gli ufficiali di polizia lo avevano scortato fino al cancello esterno della scuola e gli avevano detto di percorrere il sentiero attraverso il parco fino alla fine. Così aveva fatto, ma sulla parete della scuola c'erano solo piccole finestre e lucernari, niente porte o cartelli; che avesse sbagliato sentiero? Ma era l'unico.

Udì un rumore di viti che cigolavano, poi il lucernario a cupola sul soffitto più basso che vedeva si sollevò e ne uscirono due ragazzi in frac, entrambi avevano fra le mani un bastone dalla testa argentata. Camminarono con eleganza sul tetto spiovente, apparentemente incuranti del pericolo di cadere e si avvicinarono al bordo. Compirono un movimento deciso con il polso ed il bastone si allungò a dismisura fino a raggiungere terra. I due appoggiarono ciascuno il proprio bastone sulle tegole e l'impugnatura si incastrò perfettamente fra di esse; con un sibilo il bastone cominciò a curvarsi e a diventare sempre più simile ad uno di quei pali a spirale che si trovavano spesso nei parchi giochi.

I due ragazzi sorrisero divertiti e si calarono giù dal tetto girando lungo la pertica; non appena posarono i piedi a terra solleticarono con una mano i loro bastoni che ondeggiando si raddrizzarono, le teste si staccarono dalle tegole e con uno schiocco il corpo dei bastoni si accorciò tornando alla sua lunghezza naturale e piombando esattamente nelle mani dei due ragazzi. Le loro iridi erano di un azzurro talmente chiaro da far sembrare i loro occhi bianchi, ma le loro espressioni erano inequivocabili: si stavano divertendo un mondo.

Sogghignarono e si voltarono verso Pietro.

«Benvenuto!» esclamò uno.

«Siamo i Sorveglianti di questa scuola!» esclamò l'altro.

«E tu devi seguirci» mormorò mellifluo il primo. «A meno che tu non voglia regalarci un po' di divertimento, gli arrivi sono sempre così noiosi...»

Sorrisero mostrando i canini.

«E anche questo rimane in silenzio» borbottò deluso il secondo. «Mai che ci diano qualche distrazione, poveri noi.»

«Su, muoviti, seguici» disse il primo.

Batterono contemporaneamente i bastoni su una foglia posta sul muro della scuola e alle loro spalle l'erba si spostò e lasciò spazio ad una scala bianca a gradini che andava verso il basso.

«Forte, vero?» disse il primo Sorvegliante. «Alla Scuola dei Demeriti si entra solo dal cielo o da sottoterra.»

Entrambi i Sorveglianti riposero il bastone in un sottile sacchetto che avevano sulla schiena, simile a una faretra. Il secondo scese in fretta le scale. «Spicciatevi!» esclamò brusco.

Pietro non se lo fece ripetere due volte e lo raggiunse in fretta, mentre il primo Sorvegliante gli stava alle calcagna.

Le scale portavano a uno stretto corridoio sotterraneo; camminarono in quella formazione per alcuni minuti, poi comparvero altre scale, queste però salivano invece di scendere ed erano verde veronese; in cima c'era una porta, anch'essa di colore verde.

Il Sorvegliante davanti a Pietro si voltò di scatto e si chinò leggermente per guardarlo fisso negli occhi, la sua bocca si piegò con lentezza in un sorriso.

«Un altro stupido ragazzo che farà una brutta fine» mormorò suadente, poi tirò fuori dal taschino del frac un foglietto arancione e lo mise in mano a Pietro. Al contatto con la sua pelle la carta emise un fischio e cominciò a dissolversi in un fumo denso color albicocca.

«Grazie per la fatica risparmiata» sussurrò il Sorvegliante, gli occhi di Pietro si chiusero di colpo e il ragazzo crollò svenuto fra le braccia del Sorvegliante che era alle sue spalle.

«So che non sarebbe il protocollo» disse il secondo Sorvegliante «e che non dovrebbe nemmeno sapere dell'esistenza delle scale, ma è davvero così faticoso trascinarli lungo il corridoio fino a qui.»

«Hai proprio ragione» si lamentò il primo. «È meglio il nostro modo e tanto non ricorderà nulla degli ultimi minuti.»

«Sarebbe stata solo fatica inutile» assentì il secondo e afferrò Pietro per i piedi.

I due lo trasportarono fino in cima alle scale, poi il secondo Sorvegliante mollò la presa e le gambe di Pietro cozzarono con forza sulla pietra verde. «Ops!» sogghignò.

Il primo Sorvegliante lo fulminò con uno sguardo carico di disapprovazione.

«Ho bisogno di avere le mani libere per aprire la porta!» si giustificò il secondo.

Il primo sbuffò. «Tocca sempre a te tutto il divertimento.»

Il secondo estrasse il bastone che aveva riposto sulla schiena: la porta davanti a cui si trovava non aveva nessuna maniglia, solo un batacchio retto da un gufo intagliato. Il Sorvegliante infilò la testa del bastone proprio al centro del batacchio: le rientranze del corpo del gufo corrispondevano alla perfezione alle prominenze della testa del bastone.

Il Sorvegliante si avvicinò poi alla testa del gufo, che reggeva fra il becco il batacchio, e soffiò sui suoi occhi.

Le palpebre verdi del gufo si abbassarono e la porta si aprì lentamente.

Il secondo Sorvegliante riprese Pietro per i piedi e, assieme all'altro Sorvegliante, lo portò all'interno dell'infermeria dove il Fico li stava aspettando calmo come al suo solito.

«Appoggiatelo su quel letto» sussurrò il Fico, indicandone uno in fondo alla stanza con le sue lunghe radici. «Vicino a quello dell'altro ragazzo che è appena arrivato.»

Quando Pietro riprese conoscenza, la prima cosa che videro i suoi occhi fu il sorriso smagliante di uno dei due Sorveglianti, chino su di lui.

«Ben svegliato» gli sussurrò cantilenando. «Stavamo aspettando solo te.»

Pietro si sollevò veloce dal letto e la testa cominciò a girargli, fra le macchie nere che gli annebbiavano la vista riuscì a scorgere i due Sorveglianti e una terza persona in piedi al loro fianco: era un ragazzo con dei capelli di un biondo così chiaro da avvicinarsi al bianco, i suoi occhi castano scuro risaltavano per contrasto, indossava una divisa scolastica, una di quelle che facevano indossare nelle scuole private d'eccellenza del Paese, e ai suoi piedi se ne stava accucciato un Macc.

«Tenete» borbottò frettoloso uno dei due Sorveglianti mettendo fra le mani dei due ragazzi un grosso tomo. «Questo è il manuale delle regole, leggetelo, memorizzatelo; nella prima pagina è stato infilato il vostro orario delle lezioni» concluse roteando gli occhi, stanco di ripetere quel discorso per la millesima volta.

«Siete entrambi stati assegnati alla stanza 30» aggiunse l'altro Sorvegliante. «Venite con me!»

Pietro si alzò dal letto e quando si avvicinò al ragazzo dai capelli chiari lui gli sussurrò: «Puoi aiutarmi?»

«A fare che?» rispose Pietro, mentre seguiva con lo sguardo il Sorvegliante che si stava allontanando. «Dobbiamo andare!»

«Non ci vedo, ho bisogno che qualcuno mi guidi» disse deciso e rapido il ragazzo.

Pietro non ci pensò un attimo. «Stringimi la mano» disse.

Il ragazzo rise, come se avesse appena sentito una barzelletta. «Meglio il braccio» disse e andando a tentativi glielo afferrò.

Mentre seguivano il Sorvegliante lungo le scale e i corridoi, il ragazzo lo riempì di domande.

«Come ti chiami?»

«Pietro» disse lui, scegliendo il primo nome che gli era venuto in mente per paura che lo riconoscesse, in fondo era il figlio più piccolo della più grande azienda di programmazione di carta del Paese, il suo nome era girato diverse volte sui notiziari. «E tu?»

«Diego, mi chiamo Diego» rispose il ragazzo sorridendo.

«E il tuo Macc non ti aiuta a orientarti?» domandò Pietro curioso.

«Di solito sì, ma i Sorveglianti hanno disattivato tutte le funzioni che potrebbero essermi d'aiuto. Hanno detto che non ci sono articoli nel manuale delle regole che proibiscano i Macc, immagino sia perché sono rimasti in commercio poco a lungo e sono stati distrutti quasi tutti. Ci sono però articoli che vietano gli aiuti da parte di qualcosa di esterno e quindi adesso Luce è come se fosse un cane qualsiasi, mi fa solo compagnia.»

«Gli hai dato pure un nome?» domandò Pietro incredulo.

Diego rise. «E come dovrei rivolgermi a lei? Chiamandola Macc?»

«In effetti hai ragione.»

Durante il tragitto fino alla stanza 30 Pietro gli descrisse ogni parte della scuola che attraversarono. Dai morbidi tappeti che erano ricoperti dei disegni più disparati: alcuni riportavano dei giochi come la tria, il gioco della campana, cruciverba da completare; altri rappresentavano delle passerelle sospese su profondi canyon o precipizi, oppure sentieri di sassi su laghi pieni di pesci.

Quando arrivarono di fronte alla stanza 30, il Sorvegliante li guardò con frustrazione e noia.

«I vestiti di ricambio sono già stati messi sui vostri letti e i vostri due compagni di stanza sono già stati avvisati ieri del vostro arrivo.» Sbadigliò. «Dimentico qualcosa?» Si guardò attorno pensoso. «Ah, sì! Le prime due settimane sono di ambientazione, quindi non vi verranno assegnati demeriti per i prossimi quattordici giorni.» Il Sorvegliante alzò una mano: «Alt, non fatemi domande, chiedete ai vostri compagni di stanza o leggete il manuale delle regole, lì c'è scritto tutto.» Detto questo si voltò e percorse rapido il corridoio, lasciandoli soli.

Luce, il Macc di Diego saltellò in giro e guardò curiosa la porta socchiusa della stanza 30.

«Dobbiamo entrare penso» borbottò Pietro e bussò.

«Avanti!» urlò una voce allegra.

Pietro e Diego entrarono: due letti a castello riempivano quasi completamente la stanza e una piccola finestra brillava in un angolo. Due ragazzi, uno dai capelli rossi, l'altro dai capelli castani stavano in piedi fra i due letti.

«Benvenuti!» esclamò il ragazzo coi capelli rossi.

«Grazie» borbottò Pietro.

Il ragazzo coi capelli castani fischiò. «E tu vieni da una scuola importante...» disse rivolto a Diego. «La tua divisa è spaziale!»

«Grazie, mi chiamo Diego comunque» disse. «E voi?»

I due ragazzi, quello castano e quello rosso di capelli, si guardarono, sorridendo. «È davvero un bel nome» dissero.

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