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35. L'esperimento


Art.131 del manuale delle regole:

Ogni studente deve indossare sempre le scarpe. Gli è consentito toglierle solo nella sua stanza o in bagno.


Melissa entrò nella stanza 30, il pacco di cibo che era riuscita ad ottenere dalle violette le sfuggì dalle mani, le patate al forno rotolarono bollenti sul pavimento, infilandosi sotto ai letti, una toccò la gamba di Trentacinque: il corpo del bambino giaceva riverso a terra, le punta delle dita erano pallide, le palpebre abbassate.

Melissa lanciò un urlo e Sara, che la stava aspettando fuori dalla stanza, entrò di corsa, anche i suoi occhi corsero veloci a Trentacinque.

Melissa si chinò in fretta sul bambino, mise una mano vicino alla sua bocca sperando di sentire del fiato caldo uscirne, ma non accadde nulla. Provò ad avvicinare l'orecchio al cuore, a mettere le dita sulla giugulare, sul polso, ma niente: non sentiva alcun suono provenire dal suo corpo.

Le lacrime cominciarono a riempirle il viso. «Che facciamo?! Lo portiamo in infermeria?» gridò con voce stridula.

Sara però era rimasta immobile sulla porta: le immagini del corpo di Gaia si sovrapponevano a quelle del corpo di Trentacinque, come in un brutto film. I suoi polmoni, il suo battito, i suoi muscoli, tutto sembrava essere tornato a quel giorno, a quando avevano trovato la lettera d'addio di Gaia, a quando si era svegliata e aveva scoperto che si era andata a uccidere in un Modulo di ascolto e cattura. Il mondo davanti a lei aveva cominciato a incrinarsi, crepe di presente si intervallavano a crepe sul passato; era come se fosse intrappolata in una casa degli specchi: ovunque guardasse i suoi occhi le restituivano un'immagine distorta della realtà e il suo corpo non faceva che schiacciare ancora e ancora il tasto replay, ripetendo quell'orrore che l'aveva sconvolta la prima volta.

«Sara» la voce di Melissa le arrivava lontana, ma in qualche modo riuscì a ridestarla. «Aiutami, dobbiamo portarlo in infermeria!»

Sara si chinò, afferrando il bambino per le caviglie, e i suoi occhi caddero sul vasetto della Mimilosa.

«Ha... ha mangiato i petali?» domandò con voce incerta.

«Penso di sì» annuì Melissa rapida.

Sara si bloccò. «Non portiamolo in infermeria.»

«E dove sennò?» Melissa cominciava ad avere il respiro affannato.

«Dobbiamo portarlo dal professor Costachiara, subito! Lui è l'unico che può avere un antidoto, non c'è tempo! Se lo portiamo in infermeria, potrebbe essere troppo tardi!»

Anche se forse lo era già, ma questo Sara si rifiutò di dirlo ad alta voce.

Melissa la guardò decisa. «Okay, come lo troviamo?»

«Tu solleva Trentacinque per le ascelle e seguimi. So dove si nasconde a quest'ora.»

Melissa eseguì, in quel momento non importava chiederle come faceva ad avere quell'informazione.

Sara fece un profondo respiro, non aveva potuto fare nulla per salvare Gaia, ma questa volta sarebbe stato diverso, anche se Trentacinque non respirava, anche se sentiva le sue fredde caviglie fra le mani, anche se la speranza di poterlo salvare era infinitesimale, questa volta avrebbe fatto qualcosa. Aveva bisogno di essere lucida e concentrarsi sul percorso da fare, di credere che per Trentacinque non fosse troppo tardi.

«Da questa parte» disse.

Sara e Melissa percorsero diversi corridoi a passo rapido senza incontrare nessuno.

«Non... ci riesco» esalò a un certo punto Melissa, sedendosi velocemente a terra, le vertigini e il cuore che batteva all'impazzata: si era sforzata troppo e la vista aveva cominciato a farsi a macchie.

Sara si maledisse: avrebbe dovuto immaginare che Melissa non sarebbe riuscita a camminare così a lungo, a quel passo e sollevando un peso considerevole poi. Era stata ingenua, non aveva considerato le variabili interne nel suo piano ed Eco, che avrebbe potuto aiutarla, stranamente era sparito dalla circolazione.

Inspirò ed espirò lentamente, quello non era il momento di colpevolizzarsi, doveva pensare a una soluzione. Infilò una mano in tasca e ne tirò fuori Verde Primo.

«Ho bisogno di te» gli sussurrò.

La rana color giallo Chartreuse saltò subito sull'attenti. «Ai suoi ordini, maestà.»

«Richiama chiunque sia vicino.»

«Sarà fatto.»

La benda nera che copriva uno dei due occhi disegnato a pennarello brillò di luce verde. A quel segnale spuntarono fuori piccole rane origami dalla gonna di Sara, dalle maniche dei suoi vestiti, da sotto i tappeti e arrivarono in volo un centinaio di gru.

«Prendetelo» ordinò la ragazza, che nel frattempo si era abbassata. «Cercate di mettermelo sulla schiena.»

Gli origami eseguirono: le rane salirono l'una sull'altra per aiutarsi, le gru spinsero più che poterono e riuscirono a sollevare il busto del bambino, permettendo a Sara di caricarselo sulla schiena.

«Reggetelo, non fatelo cadere!» ordinò alle gru che le volavano tutt'attorno e che facevano in modo che il corpo di Trentacinque non si sbilanciasse a destra o a sinistra mentre lei si alzava in piedi con il bambino sulle spalle.

«Raggiungimi alla terza porta a sinistra nel corridoio della stanza 80, bussa prima di entrare» disse rapida a Melissa, poi riprese a camminare più velocemente che poteva.

Mancavano pochi corridoi ormai, poteva farcela.

Con un ultimo sforzo percorse i metri che le mancavano e arrivata di fronte alla porta ci sbatté contro la testa, una, due volte, sperando che chi era all'interno la sentisse. Le gambe stavano cominciando a pesare e le dita a cedere, per quanto Trentacinque fosse leggero, sentiva che non ce l'avrebbe fatta a trasportarlo ancora a lungo. La porta però non si apriva. Che avesse sbagliato? Avrebbe dovuto portarlo in infermeria come aveva suggerito Melissa?

Ormai era troppo tardi.

Sbatté ancora una volta la testa sulla porta che proprio in quell'istante si aprì: il familiare camice arancione del professor Costachiara le baluginò davanti agli occhi, la Piantina Ombra che solitamente se ne stava appollaiata sulla sua spalla non c'era.

«Sei impazzita?» sbottò lui.

«Forse» rispose Sara, la voce che aveva cominciato a tremare.

«Entrate dentro, subito» disse il professore perentorio.

Sara fece un passo, poi due, poi cadde a terra sotto il peso di Trentacinque. Il professor Costachiara sobbalzò, gli occhi azzurri allarmati.

«Che diavolo è successo?»

«Ha mangiato i petali della Mimilosa raspante» rispose Sara frenetica.

Il professore si mosse di scatto, si avvicinò al corpo di Trentacinque e pose due dita sul suo collo. «Ha preso i petali delle Mimilose che vi ho dato io?»

«Sì, quelli del suo fiore e quello di un'altra ragazza.»

Il professore emise un lungo sospiro di sollievo. «Meno male.»

«Come meno male?!» Sara pensò di avere capito male.

Il professor Costachiara la ignorò e sollevò il bambino da terra, lo mise su uno dei lunghi tavoli che riempivano l'aula, prese un oggetto simile a una borraccia da sotto il tavolo e riempì un bicchiere con il liquido scuro contenuto al suo interno.

«Tieni» disse porgendolo a Sara.

«Cos'è? Un antidoto? Devo darglielo io?» domandò frenetica.

Gli occhi del professore si spalancarono e scoppiò a ridere. «No, è per te! È semplice tè.»

Sara sentì la rabbia montarle nel petto. «Perché non sta facendo niente per aiutarlo?!» gridò con voce spezzata. «Non mi dica... non mi dica che è già...morto.»

Il professore la guardò stupito. «Aspetta, tu non sai... non hai capito...» La sua voce si spense e mise una mano sulla spalla di Sara. «Sarebbe già morto se avesse mangiato i petali della Mimilosa raspante.»

A Sara la mano tremò. «Ma lui li ha mangiati! Lei non capisce!»

«Lui ha mangiato i petali della pianta che vi ho dato io, non della Mimilosa rasapante» spiegò calmo.

Sara voleva urlare dalla frustrazione. «Che era Mimilosa raspante!»

Il professore strinse la presa sulla sua spalla e cercò il suo sguardo. «Sara, io non vi ho dato dei semi di Mimilosa raspante, ma di Mimilosa erbacea.»

«Ma come...?»

«Pensavo che almeno tu te ne fossi accorta» riprese il professore. «La loro crescita segue ritmi completamente diversi: se vi avessi dato una Mimilosa raspante a quest'ora non sarebbe ancora nemmeno fiorita.»

«Non capisco» biascicò Sara confusa, la testa che gli girava più di prima.

«Il bambino che mi hai portato ha mangiato dei petali di Mimilosa erbacea, non di Mimilosa raspante: è vivo, starà bene.»

«Ma il suo cuore non batte» mormorò lei.

«Batte eccome» la rassicurò il professore. «La Mimilosa erbacea è un potente sedativo, forse per questo non riuscivi a sentire il suo battito o il suo respiro.»

Il cuore di Sara inciampò per un attimo, incredulo: Trentacinque non era morto.

«Forse è meglio se ti siedi» le sussurrò rassicurante il professore.

La ragazza ubbidì e, proprio in quel momento, si sentì bussare alla porta.

«Ti hanno seguita?» domandò fenetico il professore.

Sara sollevò debolmente la testa, la tensione che il suo corpo aveva accumulato stava cominciando a pesare. «Penso sia Melissa, le ho detto io di venire qui.»

«Che cosa?!» Il professore perse il controllo e per un istante la sua espressione si venò di paura.

Sara si strinse nelle spalle e il professore sospirò esasperato andando ad aprire la porta.

«Benvenuta, deduco tu sia Melissa, entra e fa' in fretta... Non ti ha seguita nessuno, vero?» disse rapido.

La ragazza era pallidissima. «No, ma come sta Trentacinque? È...?»

«È vivo!» intervenne Sara, alzandosi e andando ad abbracciare la ragazza. «Era Mimilosa erbacea, non raspante!»

«Com'è possibile?»

«Oggi non è proprio giornata» borbottò il professore. «Sedetevi, così vi spiego tutto con calma.»

Melissa guardò Sara titubante, poi lanciò uno sguardo preoccupato al corpo di Trentacinque e si sedette sulla sedia vicino a Sara.

Il professore si accomodò di fronte a loro. «Come ho già detto prima a Sara, quello che vi ho dato da coltivare a lezione non è un fiore di Mimilosa raspante, ma di Mimilosa erbacea... Fa tutto parte di un esperimento più ampio che sto conducendo.» Si chinò verso di loro. «Un mese fa ho deciso che avrei affidato ad una classe, la vostra, la cura di una pianta di Mimilosa erbacea a partire dal seme fino a quando non sarebbe fiorita. La chiave dell'intero esperimento era che io non vi avrei rivelato che si trattava di Mimilosa erbacea, ma l'avrei spacciata per un fiore molto simile: la Mimilosa raspante.» Guardò le ragazze. «Immagino ve lo ricordiate già da lezione: questi due fiori a livello visivo si differenziano soltanto per via di alcune piccole macchiette gialle sui petali, ma la loro crescita è completamente differente. La Mimilosa erbacea cresce molto più rapidamente e il colore dello stelo nei primi giorni di vita è diverso da quello della Mimilosa raspante. Volevo vedere quanti di voi avrebbero scritto nella relazione i reali progressi di crescita della loro pianta e quanti invece avrebbero riportato quanto indicato sul libro, anche se non corrispondeva a quello che stavano osservando.» La sua voce si adombrò. «E mi sembra che tutti voi abbiate seguito la seconda strada: il vostro fiore è già fiorito, con un anticipo di diversi giorni rispetto a quando sarebbe dovuto accadere e nessuno di voi ha detto nulla, nessuno di quelli che ha consegnato la relazione intermedia ha riportato le sue reali osservazioni. Certo, il fiore spuntato è viola, come quello della Mimilosa raspante, ma questo perché le macchioline gialle compaiono solo dopo qualche settimana sui petali della Mimilosa erbacea. Pensavo che qualcuno di voi avrebbe detto qualcosa, è impossibile che nessuno abbia notato che le cose non tornavano.»

Melissa e Sara si scambiarono uno sguardo. «Ma perché l'ha fatto?» domandò la prima. «Per farci prendere un cattivo punteggio?» La voce le tremava leggermente, spaventata.

Il professor Costachiara scosse con lentezza la testa. «Volevo solo cercare di capire quanto un voto, o in questo caso il numero di demeriti che possono essere assegnati, può influenzare gli studenti nell'esprimere le loro reali impressioni e pensieri. Quanta libertà può veramente esserci se poi un errore, uno sbaglio, un non raggiungimento di un risultato porta delle ripercussioni negative sullo studente? Lo studente sarà sincero? Farà quello che sente di dover fare per sopravvivere: ovvero mentire. Quando è la disperazione che ti guida nell'apprendimento, c'è davvero apprendimento? Questo stavo cercando di capire.»

Sara si morse il labbro. «In effetti io mi ero accorta che il mio fiore stava crescendo in modo anomalo, ma pensavo avrei ottenuto un punteggio negativo se avessi scritto la verità.»

Melissa riprese a respirare, il ragionamento filava, non se n'era resa conto ma aveva trattenuto il fiato da quando aveva visto il professor Costachiara.

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