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3. Occhi grigi


Art. 137, comma 1 del Codice penale:

Ogni persona che ottenga al Test del Livello di Perfezione (TLP) una percentuale inferiore al 100% è da considerarsi non Perfetta.


I Sorveglianti percorsero corridoi su corridoi, scale su scale, mentre Trentacinque arrancava dietro di loro, cercando di prestare attenzione al percorso che stavano facendo e di memorizzare ogni più piccolo dettaglio che avrebbe potuto aiutarlo nel caso di un'eventuale fuga.

Man mano che salivano le rampe di scale però, la sua speranza calava: non aveva già più idea di dove si trovasse; non capiva nemmeno più se stessero scendendo o salendo, talmente poche erano le finestre che avevano incontrato.

Dopo una ventina di minuti, i Sorveglianti finalmente si fermarono di fronte a una porta chiusa. Accanto a uno dei cardini vi era un grosso cartello che recitava "Stanza 30"; o così aveva dedotto Trentacinque, ipotizzando che la faccina triste vicino al tre dovesse essere stata in origine uno zero.

«Questa è la tua stanza!» esclamarono frettolosi i Sorveglianti, sollevando i bastoni dalla testa argentata. «Ci raccomandiamo, fa' amicizia con i tuoi compagni!» Sorrisero, la luce delle lampadine sembrava scomparire nelle loro pupille opache. Dopo aver pronunciato quelle parole, si incamminarono in fondo al corridoio; ridevano fra loro e uno dei due batteva le sottili mani bianche. Non avevano lasciato a Trentacinque nemmeno il tempo di dire qualcosa.

Il bambino rimase immobile per alcuni istanti, pensoso e preoccupato. Fuggire non era più un'opzione per il momento: non aveva la ben che minima idea di dove si trovasse; era più saggio attendere e raccogliere più informazioni sull'edificio.

Tese le orecchie e si guardò attorno circospetto. Era solo.

Sfilò dalla tasca della felpa gli occhiali e li indossò. "Strano" pensò. "Una lente è incrinata. Quando era successo?". Scosse il capo, doveva concentrarsi: finalmente riusciva a vedere l'ambiente circostante con chiarezza. Abbassò lo sguardo, i tappeti che aveva sentito sotto le scarpe lungo l'intero tragitto e che gli erano sembrati pieni di macchie informi, erano ricolmi di elaborati disegni e fantasie. Su quello che aveva sotto ai piedi era dipinto un sentiero di sassi, talmente dettagliato da parere reale.

I muri erano spogli, eccetto per il grosso cartello a lato della porta e che recitava effettivamente "Stanza 30" come Trentacinque aveva ipotizzato. Non c'erano finestre, ma la cosa più strana erano le lunghe lampadine al neon: invece di essere posizionate al centro del soffitto erano disposte ai lati, appiccicate alle due pareti del corridoio, lasciando così il soffitto completamente vuoto.

Trentacinque si guardò attorno ancora per qualche secondo, poi rinfilò gli occhiali nella tasca della felpa. Non c'erano indizi utili e nient'altro che poteva fare perciò, con un groppo alla gola, decise di bussare alla porta della stanza 30, anche se era socchiusa.

Nessuno rispose.

Passarono alcuni secondi e Trentacinque bussò di nuovo, tutto però rimase silenzioso: forse la stanza era vuota.

Trentacinque spinse lentamente la porta e la spalancò.

Davanti ai suoi occhi si stagliò una stanza minuscola con incastrata, non si sa bene come, una coppia di letti a castello; una lampadina incandescente dal rumore particolarmente fastidioso illuminava l'ambiente.

Lo sguardo di Trentacinque fu calamitato da una piccola finestra nascosta in un angolo: il sole che, quando si era risvegliato in infermeria stava tramontando, ormai era scomparso lasciando il posto a un cielo scuro.

La stanza non era vuota però: uno dei letti era occupato da un ragazzo snello dai capelli castani intento a scribacchiare ai margini di un libro; la punta della sua penna lasciava profondi solchi sulla pagina. Sembrava concentratissimo, non era una sorpresa che non avesse sentito il bambino bussare alla porta.

Trentacinque gli si avvicinò titubante. «Ehi, ciao» disse cercando di usare un tono amichevole.

Il ragazzo non sollevò nemmeno lo sguardo. «Non ho tempo» borbottò. «Ho lezione di etica e sono già in ritardo.»

«Tanto vale non andarci affatto, no?» ribatté Trentacinque.

Gli occhi grigi del ragazzo si riempirono di orrore. «Se salto una lezione mi danno cinquanta demeriti! Se arrivo in ritardo me ne assegnano solamente venti» spiegò e tornò a scrivere con più foga di prima.

«Quanto durano le lezioni qui?» chiese Trentacinque, meditabondo.

«Centoventiquattro minuti.»

«Allora è sufficiente che arrivi entro centoventitré minuti dall'inizio della lezione, no? Ormai sei già in ritardo; che arrivi adesso o fra qualche minuto non ti fa differenza, tanto i demeriti te li danno lo stesso e anche la stessa quantità...»

Al ragazzo cadde la penna di mano e guardò il bambino dritto negli occhi per la prima volta. «Non ci avevo mai pensato» si lasciò sfuggire. «Non mi era mai venuto in mente che arrivare con un minuto di ritardo o due ore venisse considerato allo stesso modo.»

Trentacinque gli sorrise. «Ora che lo sai, possiamo parlare un po' per favore? Abbiamo più di un'ora prima che tu risulti assente.»

Gli occhi grigi del ragazzo corsero all'orologio appeso alla parete. «Va bene» borbottò nervoso. Chiuse il libro che stava leggendo e lo infilò sotto al materasso, la copertina completamente arricciata dall'usura.

«Come ti chiami?» domandò il bambino.

Il ragazzo sussultò e quasi cadde dal letto. «È una domanda inappropriata qui» mormorò agitato. «Non hai letto il manuale delle regole?»

Trentacinque fece un passo indietro. «No, non l'ho letto. E non sapevo nemmeno della sua esistenza se è per questo.»

«No?» Gli occhi del ragazzo lo scrutarono sospettosi. «È la prima cosa che mi hanno dato appena sono arrivato qui. Non hai nemmeno l'orario delle lezioni, quindi?»

«Non ho niente» ammise il bambino.

Il ragazzo trattenne il respiro. «Da quanto sei qui?»

«Da non molto... Mi sono svegliato in infermeria quando il sole stava tramontando e poi mi hanno subito accompagnato qui.»

«Subito?» domandò scettico il ragazzo.

«Sì, subito.»

«Ma sei sicuro che fosse proprio il tramonto quando ti sei svegliato?»

Trentacinque ripensò con un brivido al lucernario dietro a cui aveva visto i Sorveglianti illuminati dal sole aranciato. «Sì, sono sicuro.»

«È impossibile! Adesso sono le due del mattino.»

Trentacinque impallidì e fece un passo indietro. «Le due?» mormorò incredulo.

«Sì! Forse ti stai confondendo, magari hai scambiato le luci delle lampadine per il sole, o qualcosa di simile» disse a raffica il ragazzo. «Ma non è questo che conta adesso! Oggi ci sono proprio le lezioni notturne; vuol dire che probabilmente adesso dovresti essere anche tu ad una lezione, o comunque che dovresti andarci fra poco.» La voce del ragazzo divenne stridula. «Ma sei sicuro che non ti abbiano dato nessun foglio?»

Trentacinque ripercorse mentalmente ciò che era accaduto negli ultimi minuti. «Non mi hanno dato niente e non mi hanno detto nemmeno nulla sulle lezioni o su qualsiasi altra cosa.»

A quelle parole il ragazzo prese a respirare velocemente, la faccia completamente rossa. «Il punteggio della stanza... calerà sicuramente...» farfugliò nervoso, gli occhi lucidi ricolmi di paura.

L'ansia del ragazzo stava cominciando a contagiare anche Trentacinque. «Spiegami come funziona questa cosa del punteggio» gli domandò, anche se sentiva la propria voce ovattata.

«I demeriti. Ogni cosa qua è regolata dal numero di demeriti che possiedi» cominciò il ragazzo. «Se infrangi le regole, ti danno dei demeriti; se prendi voti bassi, pure. La parte peggiore è che i demeriti non si possono recuperare in alcun modo, non importa se righi dritto o prendi tutti ottimi voti: una volta assegnati non si torna indietro.»

«Ma a cosa servono esattamente questi demeriti? Cioè, se ho tanti demeriti cosa succede?» mormorò Trentacinque con un filo di voce, preparandosi al peggio.

«Tutto!» esclamò il ragazzo accompagnando la parola con un ampio gesto delle mani. «Ogni settimana viene stilata una classifica delle varie stanze basata sul numero di demeriti. Il punteggio di ogni stanza corrisponde alla somma dei demeriti ottenuti da chi vi appartiene; ad esempio, il nostro punteggio è pari alla somma dei demeriti miei, tuoi e di Melissa che è l'altra ragazza che dorme qui. Le stanze con i punteggi peggiori non possono accedere al giardino, hanno un cibo differente e milioni di altri svantaggi! Fidati, stare in fondo alla classifica non è piacevole.» Il ragazzo rabbrividì, prese fiato e ricominciò: «Il problema, nel tuo caso, è che probabilmente stai già accumulando demeriti senza nemmeno rendertene conto. Io, quando sono entrato qui, ho avuto lezioni fin dal primo giorno, e immagino sia lo stesso anche per te.»

Il respiro di Trentacinque si fece più rapido. «Quindi mi stai dicendo che dobbiamo trovare il mio orario delle lezioni, giusto?»

«Sì, immagino che la priorità sia quella. E le uniche persone che ne possono sapere qualcosa temo siano i Sorveglianti.»

Trentacinque rabbrividì. «Ne sei sicuro?»

Il ragazzo si alzò dal letto con un sospiro. «Sì, dobbiamo andare a cercarli.»

Il bambino non si mosse, titubante. «Senti, posso chiederti un'ultima cosa?»

«Dimmi, ma fai in fretta.» Gli occhi grigi del ragazzo seguivano con insistenza le lancette dell'orologio.

«Come ti devo chiamare? Visto che non posso sapere il tuo nome... E perché non lo posso sapere?»

Il ragazzo lo guardò interdetto per un istante. «Giusto, sei nuovo» borbottò. «È un discorso un po' complicato. Gli insegnanti, i Sorveglianti e tutto il personale scolastico, ti chiameranno con il tuo numero. Io sono Trentuno, ad esempio» disse toccandosi il petto con la mano aperta. «Devi sapere che, oltre alla classifica delle stanze, esiste una classifica individuale che contiene il numero di demeriti ottenuti da ciascuno studente e in questa classifica comprare il tuo nome anagrafico, quello che usi al di fuori di qui. Facciamo finta il tuo nome sia Andrea; se gli altri sanno che tu sei Andrea, sapranno il tuo punteggio nella classifica individuale e, se sanno che sei fra i primi dieci, cercheranno di ostacolarti in tutti i modi. Questo perché i primi dieci alla fine dell'anno potranno andarsene dalla scuola. Se però nessuno sa che sei Andrea, potranno avere solo dei sospetti che tu lo sia, magari per via di un buon punteggio ottenuto dalla stanza in cui ti trovi, ma è comunque solo un sospetto, non una certezza. Per questo usiamo nomi fittizi. La maggior parte di noi, in realtà. Alcuni hanno detto il loro nome anagrafico ai compagni di stanza e... non è finita bene.»

«Quindi quella Melissa di cui parlavi...» intervenne Trentacinque.

«All'anagrafe non è registrata come Melissa. E se vedi una Melissa in classifica, non è lei.»

«E il tuo nome fittizio qual è?» domandò il bambino.

«Pietro» asserì deciso il ragazzo. «Sono Pietro.»

«Quindi avrò bisogno anch'io di un nome» concluse il bambino.

«Sì, è più comodo che chiamarci tutti per numero, ma c'è tempo. Per ora dovremo farci andare bene il nome Trentacinque, abbiamo problemi più grossi da risolvere adesso.»


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