19. Sentore di morte
Art. 121 del manuale delle regole:
Possono accedere ai bagni contrassegnati con la lettera "M" solo le persone che riportano sui documenti di ingresso alla scuola la medesima lettera alla voce sesso. Analogamente per la lettera "F".
A Trentacinque mancò l'aria. Aveva cercato di mantenere la sua ipersensibilità ai suoni un segreto: sapeva che quella caratteristica sarebbe risultata ancora più incomprensibile e Imperfetta della sua bassa acuità visiva, ma ora Sara l'aveva visto.
A Trentacinque sembrò che il tappeto tremasse fra le sue dita, come durante un terremoto, ma in realtà erano le sue mani che si stavano scuotendo violentemente. Era la fine. Sara avrebbe capito tutto e nel giro di poche ore l'avrebbe saputo anche l'intera scuola. Perché proprio lei fra tutti aveva dovuto passare lungo quel corridoio?
Un'idea ben peggiore gli sfrecciò nella testa: ora che lei lo aveva scoperto, voleva ucciderlo? Magari non uccideva solo le sue compagne di stanza con più demeriti, ma tutte le persone che riteneva troppo Imperfette per sopravvivere, magari... magari aveva scoperto dei suoi trecentomila demeriti, magari aveva ucciso altre persone e nessuno lo sapeva. Magari...
Trentacinque trattenne un urlo mentre il rumore della corrente sembrava spezzargli il cervello in due, sciogliere ogni sua possibilità di pensiero lasciandolo prigioniero di quella sofferenza.
Scorse vagamente Sara muovere le labbra e vide volare fuori dalle sue tasche alcuni oggetti giallo Chartreuse, lo stesso colore di Verde Primo.
Il pavimento, prima vuoto, ora era ricoperto da un centinaio di origami a forma di rana, ciascuno con disegnata a pennarello un'espressione diversa. "Sto per scoprire come Sara ha ammazzato quelle ragazze" pensò Trentacinque, in fondo il corridoio che portava alla stanza 80 era il luogo ideale per compiere un omicidio: era deserto e isolato.
Il bambino chiuse gli occhi, perlomeno morire avrebbe posto fine a quella sofferenza una volta per tutte.
Sentì il tappetto su cui era disteso muoversi: la sua ora stava arrivando.
Non accadde nulla.
Né in quel momento né negli istanti successivi.
Anzi stava cominciando a sentirsi meglio.
Confuso aprì gli occhi, c'erano macchie gialle sfuocate tutte attorno a lui: rane origami probabilmente. Alcune però volavano, che fossero gru?
Si trovava in un posto diverso, gli origami dovevano avere trascinato il tappeto lontano dalla stanza 80 e dal suo corridoio fino a una parte della scuola molto più tranquilla e meno rumorosa.
Una delle rane si accorse che Trentacinque aveva aperto gli occhi ed emise un piccolo fischio. Doveva essere un segnale di ritirata perché tutti gli origami se ne andarono velocemente, alcuni nascondendosi fra la gonna di Sara, altri nelle sue tasche, altri ancora semplicemente saltellarono via lungo il corridoio.
«Sembri stare meglio» constatò la ragazza, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.
Trentacinque aveva la bocca secca, impastata come dopo un lungo sonno. Voleva parlarle, chiederle che cosa stesse succedendo, ma la voce si rifiutava di uscire, lasciandolo ingabbiato, intrappolato nel desiderio di comunicare ma senza usare le corde vocali.
Sara si accovacciò. «Mi senti?»
Trentacinque annuì e, rendendosi di conto di essere ancora steso sul tappeto, si mise seduto; non si fidava abbastanza dei suoi muscoli da alzarsi in piedi.
«Cosa ci facevi in quel corridoio? È pericoloso!» borbottò la ragazza.
Sara non l'aveva ucciso e non sembrava intenzionata a farlo, anzi sembrava addirittura preoccupata per lui.
«Non ti hanno detto che ci sono Moduli di ascolto e cattura nascosti sotto i tappeti?» domandò lei.
Trentacinque annuì, sperando che capisse che intendeva che sì, lo sapeva.
«Che ci facevi lì?» ripeté la ragazza.
Voleva risponderle, non con la verità ovviamente, ma non sapeva come fare. Il suo cervello si rifiutava di farlo parlare, lasciando le mille parole che avrebbe voluto comunicare intrappolate nella sua scatola cranica.
Provò a toccarsi con una mano la gola, battendo con le dita sul pomo d'Adamo nella speranza che Sara avrebbe capito.
«Sei senza voce?» tirò a indovinare lei. Trentacinque annuì, anche se non era proprio così, ma la realtà delle cose sarebbe stata troppo complicata da spiegare.
Sara lo osservò assorta, inclinando il capo. «Per caso conosci l'alfabeto muto? Ci giocavate anche voi a scuola?»
Trentacinque si illuminò, certo che lo conosceva. Era un alfabeto manuale che usavano i suoi compagni di classe per comunicare di nascosto durante le lezioni. A ogni lettera dell'alfabeto corrispondeva un segno che prevedeva l'uso delle mani, delle dita o di altre parti del corpo per indicarla.
Il bambino chiuse entrambe le mani a pugno, piegò le braccia in modo che fossero parallele a terra e allineò i polsi. Fece poi girare le braccia una sopra l'altra. Quel segno corrispondeva alla lettera esse. Sollevò poi una mano e alzò il dito indice. Quella era la lettera i.
«S-i» sillabò ad alta voce Sara man mano che lui segnava.
«Allora potremmo parlare così? Che dici?»
Trentacinque sollevò entrambi i pollici delle mani per mostrarsi d'accordo.
«Che ci facevi in quel corridoio?»
«M-i E-r-o P-e-r-s-o» rispose, decidendo di optare per la scusa che gli aveva detto di usare Pietro.
«Ti è successo qualcosa mentre ti trovavi lì? O hai visto... delle cose magari?»
«N-o. P-e-r-c-h-è?»
Sara sospirò per niente convinta. «Niente, nessun motivo particolare.»
«T-u?»
«Vuoi sapere perché io mi trovassi lì?» Fece una pausa e si guardò in giro. «Anch'io mi ero persa» disse infine usando la stessa scusa, ancor meno credibile se pronunciata da lei. «Comunque, cosa ti era capitato? Mi hai fatto prendere un colpo» aggiunse nel tentativo di sviare il discorso.
«M-i S-o-n-o S-e-n-t-i-t-o M-a-l-e. T-u-t-t-o Q-u-i. O-r-a S-t-o B-e-n-e.»
«Se lo dici tu...» borbottò Sara dubbiosa e si alzò in piedi. «Riesci a tornare alla tua stanza da qui?»
Trentacinque annuì, anche se non ne era così certo.
«Bene» la ragazza si sistemò i capelli con la mano. «Non dire a nessuno che mi hai vista lì oggi, sai non vorrei nascessero inutili pettegolezzi.»
Trentacinque le mostrò i pollici alzati, di certo non intendeva parlarne con anima viva, nemmeno lui avrebbe dovuto trovarsi in quel corridoio.
«Ah, prima che me ne dimentichi... Tieni, dallo a Melissa.» Sara estrasse dalla tasca il Foglio della Verità e lo mise nel palmo di Trentacinque. «Dille che mi hai incontrata nei corridoi o inventati quello che preferisci e ringraziala.» La ragazza si voltò. «Ciao...» bofonchiò mentre si incamminava verso la sua stanza. Il bambino alzò la mano in segno di saluto poi, una volta che Sara fu scomparsa alla vista, si distese nuovamente a terra. Gli era andata bene: Sara non avrebbe detto nulla né della sua presenza nel corridoio della stanza 80, né di quello che gli era successo, a dirla tutta era già un miracolo che non l'avesse ucciso.
Sara gli era sembrata molto diversa dalla prima volta in cui l'aveva incontrata: era stata gentile. Trentacinque guardò il soffitto pensieroso: ora capiva un po' di più perché lei e Melissa un tempo fossero state amiche. Magari Melissa aveva ragione, lei non aveva ucciso nessuno e quelle che giravano erano solo voci infondate sul suo conto; magari Pietro si sbagliava. Pietro... aveva detto di non fidarsi di quello che diceva Sara, mai. A rifletterci bene poteva essere stata tutta una sceneggiata, un modo per convincerlo a non rivelare di averla vista. Ora che gli veniva in mente, da dove era saltata fuori Sara? Era comparsa alle sue spalle, ma non era possibile: quel corridoio era senza uscita e la stanza 80 era proprio in fondo. Lui c'era stato dentro quella stanza e lei non era lì, e nemmeno lungo il corridoio; come aveva fatto?
Le aule in disuso! Era l'unica spiegazione possibile: mentre lui se ne era andato dalla stanza 80 e aveva cominciato a camminare lungo il corridoio, Sara doveva essere uscita da una delle aule in disuso collocata fra la stanza 80 e il punto in cui lui si trovava. A quel punto lei l'aveva incontrato e non aveva potuto ignorarlo: doveva passare per forza di lì se voleva andarsene. Forse lo aveva spostato così di fretta perché sapeva che i membri della stanza 80 sarebbero arrivati a breve. Ora che ci rifletteva, com'era stato spostato? Quegli oggetti gialli che aveva visto erano sicuramente rane origami, ma alcuni volavano, ne era sicuro. Che fossero state gru? Pietro o Melissa ne avevano parlato, però avevano detto che Sara non era riuscita a farle funzionare.
A Trentacinque salì un groppo alla gola: se veramente Sara era uscita da un'aula in disuso, forse aveva preso qualcosa dal suo interno, forse proprio quel qualcosa che usava per uccidere le sue compagne di stanza ogni seconda domenica del mese. E lui l'aveva vista, come aveva visto le gru origami. Forse Sara non gli aveva fatto niente perché in quel momento non era preparata e sapeva che di lì a poco sarebbe arrivato qualcuno, forse proprio in quell'istante stava pianificando come ucciderlo.
Trentacinque si sentì nuovamente mancare: era venuto a conoscenza di troppi segreti. Ne era certo, se lo sentiva, ci sarebbero stati due cadaveri quella domenica mattina: il suo e quello di una compagna di stanza di Sara.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro