11. La lezione di genetica
Art. 500, comma 1 del manuale delle regole:
Ad ogni verifica, interrogazione o progetto viene assegnato un voto. I voti sono numeri razionali da zero all'infinito non compreso. Lo zero è il voto migliore.
I piedi di Trentacinque si trascinavano lenti lungo il tappeto: l'idea di fare centoventiquattro minuti di genetica non lo entusiasmava particolarmente. Aveva passato l'ennesima notte dormendo poco e male, tormentato dalle preoccupazioni e dal rumore della corrente elettrica che sentiva provenire da Eco e dai corridoi. Melissa camminava al suo fianco, i lunghi pantaloni che strisciavano sul pavimento e raccoglievano la polvere.
«Pronto per la tua prima lezione?»
Trentacinque si guardò le scarpe, era tutto troppo veloce in quella scuola: non aveva nemmeno il tempo di elaborare un avvenimento che partiva quello successivo. «Sì, mi sento abbastanza pronto» si ritrovò a rispondere, anche se non si sentiva affatto così. Dirlo però non avrebbe cambiato nulla, non poteva certo saltare la lezione e Melissa non poteva fare niente per aiutarlo.
Varcò la porta dell'aula di genetica assieme alla ragazza: la stanza era molto più grande e spaziosa di quanto si fosse aspettato, ed era gremita di persone. C'erano studenti seduti un po' ovunque, sia sulle lunghe sedie bianche dalle linee sinuose sia sui termosifoni in fondo all'aula.
Melissa gli afferrò la manica della felpa. «Seguimi» disse e cominciò a guidarlo verso alcune sedie centrali in prima fila.
«Non dirmi che dobbiamo sederci proprio lì davanti» mormorò Trentacinque, il professore sarebbe stato a due passi.
«Temo proprio di sì» gli rispose rassegnata la ragazza.
«Ma siamo arrivati con venti minuti di anticipo» obiettò Trentacinque, facendo scivolare sovrappensiero la mano nella tasca, in cerca del materiale freddo e rassicurante dei suoi occhiali che non trovò. Strinse piano la mano a pugno, mentre la tensione per la sua prima lezione alla Scuola dei Demeriti aumentava esponenzialmente.
«In effetti è strano» rifletté Melissa. «Devo essermi persa qualcosa la scorsa volta, di solito è praticamente impossibile trovare la prima fila libera.» Scosse la testa, come a scacciare un pensiero, e si guardò meglio intorno. «Sono gli unici posti non occupati» constatò. «Mi dispiace molto, ma non abbiamo scelta.» Gli offrì un sorriso incoraggiante e si sedette davanti ad una ragazza con una lunga gonna blu.
Trentacinque si sistemò accanto a Melissa, davanti ad un'altra ragazza. Quella gonna, quel movimento ondeggiante delle gambe, avevano qualcosa di familiare, pensò. Pure il rumore degli orecchini che tintinnavano dietro di lui, come piccole campane portafortuna, e l'odore, se ne accorse di colpo, c'era un odore molto forte di fissante per carta.
Melissa si girò proprio verso la ragazza dalla lunga gonna blu. «Sara, sai che succede?» le domandò.
A Trentacinque si gelò il sangue sentendo quel nome: era una delle quattro ragazze della stanza 60, quella in cui le persone con un punteggio basso svanivano nel nulla o venivano ritrovate morte.
«Sara, sai che succede?» sussurrò nuovamente Melissa alla ragazza che la guardò, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso beffardo.
«Allora alla lezione di venerdì stavi proprio dormendo, eh?» fece una pausa, gongolando.
Melissa incrociò le braccia. «Potrei avere chiuso gli occhi per qualche secondo» ammise.
«E ti sei persa la notizia più rilevante di tutte, temo. Oggi il professore introdurrà... rullo di tamburi... il progetto del mese!» Gli occhi della ragazza brillarono divertiti mentre la faccia di Melissa perdeva colore. «Altrimenti ti pare che questi scansafatiche sarebbero già in aula?» aggiunse, indicando con la mano gli altri studenti.
Le spalle di Melissa si abbassarono, le sue gambe oscillarono molli dal bordo della sedia ed Eco le si avvicinò rapido.
«Cosa c'è che non va?» le domandò allarmato Trentacinque, voltandosi verso di lei e quindi anche in direzione della ragazza della stanza 60.
Melissa non rispose, Sara però posò l'attenzione su di lui. «Tu sei nuovo qui, vero?»
Trentacinque assentì, circospetto.
«Immagino Melissa non ti abbia ancora spiegato come funziona il corso di genetica. Accanto alle lezioni teoriche si accompagna un compito mensile: un progetto che devi portare a termine autonomamente.» Sara si rassettò la gonna, prima di chinarsi ancora più vicino a Trentacinque. «Lo scorso mese il progetto è saltato ancora prima di iniziare... Vuoi sapere perché?»
Fece una pausa, gli occhi azzurri che brillavano, felice di avere tutta la sua attenzione su di sé. «Il professore non è riuscito nemmeno a spiegarci in cosa consistesse il progetto, se vogliamo essere precisi. Ha solo chiesto tre volontari, ovviamente nessuno si è proposto, e quindi ha ordinato ai tre ragazzi più vicini a lui di avvicinarsi.» Sara prese fiato prima di continuare il suo racconto, mentre lo sguardo di Melissa rimaneva vitreo e lontano, e Trentacinque ascoltava nervoso. «Il professore ha disteso sul pavimento dell'aula un lungo foglio ricoperto di fitte linee verdi e gialle, ha poi chiesto al primo ragazzo di sdraiarsi sopra alla carta e lui ha eseguito. Mi ricordo che indossava una felpa rossa e aveva la pelle talmente chiara che si intravedevano le vene sulla sua mano. Dopo pochi secondi, le parti della sua pelle che erano a contatto con il foglio hanno cominciato a vibrare, come la corda di un arco di violino, e poi...» La ragazza deglutì, ma mantenne il suo sguardo freddo e canzonatorio. «Poi ho notato che i suoi vestiti stavano cominciando come ad incollarsi a quell'enorme pezzo di carta. Il ragazzo ha lanciato un grido e ha allungato un braccio per afferrare la ragazza che era vicino a lui che a sua volta si è aggrappata all'altra ragazza "volontaria". A quel punto è come se il tempo si fosse fermato: l'istante prima erano in piedi e in equilibrio, l'istante successivo erano cadute rovinosamente sopra al ragazzo.» Sara si toccò gli orecchini, facendoli oscillare. «Il ragazzo ha ripreso ad urlare e l'ho osservato meglio: i suoi vestiti, la sua pelle, il suo intero essere stava venendo assorbito dal foglio. E a quel punto ho capito che era della carta che funzionava al contrario: invece di entrare all'interno del tuo corpo, come fa di solito, eri tu ad entrare all'interno della carta. È stato uno spettacolo agghiacciante: la felpa rossa del ragazzo che si scioglieva dentro la carta sembrava sangue e forse lo era davvero.» Sara deglutì, i capelli ricci e biondi le finirono davanti al visto. «Anche le altre due ragazze hanno cominciato a venire inglobate dalla carta e in tutto questo il professore sembrava calmo, per questo non mi sono preoccupata, ho pensato che facesse magari parte dell'esperimento, che quella carta dovesse funzionare in quello strano modo, ma il professore poi si è messo a urlare ed è lì che ho capito che stava accadendo qualcosa che non sarebbe dovuto succedere, e insieme a me tutti gli altri. Forse il professore era rimasto pietrificato dallo shock e per questo non aveva reagito prima, o forse voleva semplicemente testare la carta che aveva inventato su degli esseri umani... Non lo so, so solo che a quel punto tutti noi siamo scappati dall'aula, anche se le ragazze stavano ancora urlando.» Gli occhi di Sara si riempirono di disprezzo. «Nessuno ha mai più rivisto quei tre ragazzi e nessuno ci ha detto che fine abbiano fatto: non sappiamo se la carta li abbia liberati oppure se siano diventati cellule disseminate al suo interno. Il progetto del mese è stato ovviamente annullato e le lezioni sono andate avanti come se niente fosse; chiunque facesse domande è stato punito assegnandogli anche cinquecento demeriti a domanda.»
Sara riprese fiato, godendosi lo sguardo sconvolto di Trentacinque, e respirando soddisfatta l'ansia che sentiva provenire da Melissa. Attese qualche secondo prima di ricominciare a parlare. «Quei tre ragazzi erano seduti proprio ai vostri posti e i "volontari" vengono scelti sempre dalla prima fila, lo dicono gli studenti più vecchi. Per questo si sono tutti scapicollati a lezione oggi: per sfuggire con certezza all'eventualità di diventare delle cavie da laboratorio.» Sara mutò il suo tono di voce, rendendolo più sinuoso e basso. «Se lo desiderate, però, potremmo fare uno scambio. Io e Ginevra potremmo sederci ai vostri posti e voi ai nostri...»
Sara fece un cenno col capo alla ragazza che era seduta al suo fianco; anche lei era della stanza 60: era la ragazza di media statura che aveva tremato preoccupata, una volta sentito il proprio punteggio.
Melissa aveva le dita tremanti, ma sembrò sbloccarsi. «Con tutto quello che è successo in questi giorni me ne sono completamente dimenticata... Non so come fare a ringraziarti per l'offerta.»
Sara le sorrise. «Figurati.»
Melissa fece per alzarsi, ma Sara la interruppe: «Non così in fretta, noi stiamo rischiando la vita, dovremmo pur ottenere qualcosa in cambio...»
«Ad esempio?» sussurrò Melissa guardinga.
«Diciamo che so che nella stanza 30 avete qualcosa che ci serve...» Sara guardò a destra e a sinistra furtiva. «Se voi mi prestaste quella cosa per qualche giorno, ecco, potremmo essere pari.»
Trentacinque pensò immediatamente alla mappa che avevano usato lui e Pietro per raggiungere l'infermeria; non gli sembrava uno scambio particolarmente svantaggioso, loro la mappa nemmeno la usavano.
«Che cosa volete?» cercò di contrattare Melissa.
Sara sorrise di nuovo e mormorò: «Qualcosa di illegale.» Notò l'incertezza di Melissa, perciò aggiunse: «Qualcosa che potremmo tranquillamente prenderci da sole, se ce la negate con le buone, ma non sarà necessario, vero? Questo scambio è vantaggioso per tutti: a noi risparmia fatica, a voi risparmia la vita. Direi quasi che la bilancia pende anche troppo a vostro favore...»
Melissa si mordicchiò piano le dita, poi lanciò uno sguardo a Trentacinque e ad Eco, la maglietta con le maniche lunghe che si alzava e abbassava rapida seguendo il suo respiro. La ragazza incontrò lo sguardo disperato di Trentacinque e scosse piano il capo, allontanando la parte razionale che le continuava a ripetere quanto avere un debito non fosse mai una buona cosa in quella scuola, allungò quindi la mano verso Sara guardandola negli occhi.
Sara gliela strinse, soddisfatta, mentre Ginevra al suo fianco tremava leggermente.
«Affare fatto, quindi» sentenziò Sara alzandosi dalla sedia. Melissa annuì e fece lo stesso, seguita da Trentacinque e da Ginevra. Uscirono tutti e quattro dalla prima e dalla seconda fila e non appena Sara si avvicinò a Melissa, Trentacinque la sentì sussurrarle qualcosa. Afferrò poche parole, qualcosa su un segreto che avrebbe rivelato se Melissa non avesse mantenuto i patti. Forse si riferiva all'esistenza della mappa? In fondo era un oggetto vietato dal manuale delle regole, e chissà quanti demeriti avrebbero assegnato a ciascuno di loro anche solo per il fatto di possederla, figurarsi se avessero scoperto che l'avevano pure utilizzata.
Trentacinque si sedette rabbrividendo sulla sedia in seconda fila, ciò che contava era che almeno non sarebbe stato uno dei volontari per il progetto del mese.
«Scusami» gli sussurrò Melissa. «Non so che cosa mi sia preso, di solito non...» Incespicò con le parole. «Di solito sono una persona affidabile, avrei dovuto chiedere a qualcuno di aggiornarmi sulla lezione, mi dispiace.»
Trentacinque cercò di piegare la bocca in un sorriso e di trasmetterle con il volto quello che effettivamente pensava, non solo con le parole. «Non fa niente, abbiamo combinato lo stesso alla fine.»
Una parte di lui però non aveva potuto fare a meno di notare che si era scusata per non avere recuperato ciò che era stato detto mentre dormiva, non per essersi addormentata durante la lezione. "Strano" pensò Trentacinque. "È quasi come se avesse avuto un valido motivo per non riuscire a rimanere sveglia quel giorno, e che giorno era? La lezione di genetica è due volte a settimana: il lunedì nella fascia d'orario diurna e poi... giovedì o venerdì in quella notturna. Non mi ricordo... Era, comunque, o il giorno in cui sono arrivato o quello prima."
Trentacinque si stiracchiò sulla sedia pensoso, doveva memorizzare meglio il suo orario delle lezioni se non voleva che qualcuno scoprisse che non riusciva a leggere.
Pochi minuti dopo il professore di genetica varcò la porta dell'aula. Era un uomo dagli occhi chiari, di un'età indefinibile e con un largo sorriso. Teneva le mani sprofondate nelle tasche di un ampio camice arancione; su una spalla se ne stava abbarbicata, come fosse un pappagallo, una Piantina Ombra, sul petto aveva appuntata una spilla rettangolare che recitava "Prof. Costachiara".
Il professore si avvicinò alla cattedra, lasciò cadere a terra la morbida valigetta marrone che portava a tracolla e si sedette sul bordo del tavolo.
«Come ben sapete, oggi introdurremo il progetto del mese» esordì. «Ricordo che nella mia classe non ci saranno verifiche, né interrogazioni: il voto che vi assegnerò a fine mese sarà unicamente frutto della mia valutazione sul vostro progetto.»
Nessuno fiatò e il professor Costachiara accarezzò la Piantina che teneva sulla spalla prima di riprendere a parlare. «So che alcuni di voi sono preoccupati e particolarmente ansiosi di sapere in cosa consisterà, quindi bando alle ciance e iniziamo...»
Il professore tirò fuori da una tasca un dischetto circolare fatto di tessuto spugnoso. Se lo avvicinò alla bocca e sussurrò alcune parole; il dischetto cominciò a gonfiarsi, muovendosi a scatti, fino ad assumere la forma di un fiore alto una quindicina di centimetri. Il fiore era dello stesso giallo acceso di cui era composto il dischetto circolare. Il professor Costachiara sussurrò ancora qualcosa e il fiore si colorò di un viola macchiettato.
«Quella che vedete è una riproduzione della Mimilosa erbacea, un fiore commestibile, e largamente usato in medicina.»
Sussurrò qualcos'altro e il fiore si duplicò. Un altro sussurro e questo secondo fiore si colorò di un viola intenso più scuro del precedente e privo delle piccole macchiette gialle che caratterizzavano il primo.
«Questo fiore, invece, è la Mimilosa raspante; sembrerebbe identica alla Mimilosa erbacea, ma non fatevi ingannare... Questo fiore, se mangiato, provoca dolori atroci per intere giornate e può addirittura risultare letale se ingerito da soggetti particolarmente predisposti o di piccole dimensioni...» Lo sguardo del professore scivolò proprio su Trentacinque che rabbrividì, domandandosi se il suo peso fosse sufficiente per non morire ingerendo quei petali.
«Noi andremo ad occuparci proprio della Mimilosa raspante.»
Le parole del professore furono accompagnate da un chiacchiericcio preoccupato.
«Buoni, buoni... Non siete curiosi di sapere che cosa dovrete fare?»
Il silenzio calò nuovamente, intervallato solo dagli scatti delle penne e dal fruscio dei fogli.
«Consegnerò a ciascuno di voi un vasetto in cui è stato piantato un seme di Mimilosa raspante; sarà vostro compito occuparvene e scrivere una relazione giornaliera sul suo sviluppo. Per aiutarvi potrete fare riferimento al libro di testo, al capitolo che inizia a pagina trentadue.»
Nelle due ore successive il professore continuò a parlare in lungo e in largo delle caratteristiche della Mimilosa erbacea e della Mimilosa raspante, mentre gli studenti prendevano appunti silenziosamente. Trentacinque cercava febbrilmente di memorizzare tutto ciò che sentiva, fingendo al contempo di stare scrivendo sul foglio di carta che gli aveva prestato Melissa.
Quando suonò la campanella il professor Costachiara tirò fuori da sotto alla cattedra due casse ricolme di vasetti rettangolari trasparenti. Non appena l'uomo alzò il braccio per appoggiare le casse sul tavolo, la manica del camice scivolò giù rivelando delle macchie bianche sulla sua pelle: si attorcigliavano lungo il polso, leggere e ipnotiche, probabilmente dovute alla vitiligine.
«Prendete un vasetto ciascuno di Mimilosa raspante prima di uscire dall'aula» si raccomandò. «E leggete sul libro di testo il capitolo a loro dedicato.» Detto questo si sedette sulla sedia dietro alla cattedra, la Piantina Ombra che era rimasta tutto il tempo sulla sua spalla scivolò lungo il suo braccio e andò ad appollaiarsi proprio vicino alle casse ricolme di vasetti.
Trentacinque non perse tempo e, mischiandosi fra gli altri studenti, afferrò il vasetto più vicino per poi fiondarsi fuori dalla porta: non voleva rischiare di ritrovarsi da solo in aula con il professore.
Una volta fuori Melissa lo raggiunse: «Come ti è sembrata la prima lezione?»
Il bambino socchiuse gli occhi ed emise un profondo sospiro. «Questo progetto sembra fattibile, ma il professore... Non lo so.»
«Sì, ho notato che lo fissavi.»
Trentacinque strinse i denti, doveva stare più attento. «Lo ascoltavo con attenzione» si inventò, non poteva certo dirle che all'inizio pensava che il professore stesse indossando un enorme cappotto arancione con una sciarpa verde e che questo l'aveva confuso. Solo quando lui si era avvicinato maggiormente e aveva cominciato a muoversi nell'ambiente aveva dedotto che il cappotto arancione era un camice e quella roba verde che aveva al collo doveva essere qualcos'altro. Solo che non aveva capito cosa, fino a che alla fine della lezione non si era mossa e a quel punto il suo cervello aveva fatto due più due e dedotto che si trattava di una Piantina.
«In molti lo fanno all'inizio» gli disse Melissa.
Trentacinque socchiuse gli occhi. «Davvero?»
«Sì, è normale essere curiosi quando si vede qualcosa di nuovo per la prima volta.» Melissa si resse per un secondo a Eco. «Che cosa stavo dicendo? Ah, sì, non è così comune incontrare persone con macchie bianche sulla pelle, come quelle che ha il professore, e in molti la prima volta le fissano.»
"Che cosa?!" pensò Trentacinque. "Di quali macchie sta parlando?"
«Perché ce le ha?» cercò di indagare, di certo non poteva dirle che non le aveva nemmeno viste.
«Ad alcune persone vengono e basta. Alcune parti della loro pelle perdono i loro pigmenti e quindi perdono il loro colore e diventano bianche, cioè io dico bianche ma non intendo il bianco tipo quello della gomma, è un bianco diverso, ma l'hai visto, sai cosa intendo. E no, non è contagioso.»
Trentacinque infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Come fai a sapere tutte queste cose?»
Melissa abbassò lo sguardo. «So che il professor Costachiara è un-» si bloccò. «È una persona pericolosa: ha ucciso quei tre ragazzi, ci minaccia spesso, però alcune informazioni che girano su di lui sono solo voci infondate e sbagliate, che creano un danno anche ad altre persone. Alcuni dicono che quelle macchie le ha ottenute per colpa dei suoi esperimenti, che si è bruciato con qualche sostanza chimica o cose simili, ma non è vero. Vedrai che qui, ci sono molte altre persone con macchie simili, magari con forme diverse o in zone differenti del corpo, e anche nel loro caso è semplicemente un modo in cui la loro pelle è cambiata.» Melissa si schiarì la gola. «Ed è brutto sentirsi fissati tutto il tempo, in ogni luogo in cui si va. Fa... stare male.» La sua voce si era leggermente incrinata pronunciando l'ultima frase.
«E quindi? Dici che potrebbe arrabbiarsi e darmi dei demeriti perché lo fisso?» domandò Trentacinque confuso.
Melissa scosse il capo. «No, dico che potrebbe ferirlo.»
Il bambino si sentiva ancora più smarrito di prima. «Ma lui...»
«Lui è tante cose, ha fatto e fa tuttora del male agli altri, ma fissarlo solo perché ha la pelle diversa dalla mia e dalla tua è...» Ci pensò su un attimo. «Se vuoi criticarlo per i suoi metodi di insegnamento e per il suo scarso rispetto per la vita umana, fai pure, ma non tirare in ballo altre parti di lui solamente perché non sono comuni.»
Trentacinque si sentì in colpa: erano come quegli sguardi che gli lanciavano i suoi compagni di classe quando tirava fuori gli occhiali o quando faceva qualcosa che loro consideravano strano. Facevano male, da morire. E, a volte, lo avevano guardato per altri motivi, magari perché aveva una bella felpa o delle scarpe nuove, ma il suo cervello era talmente abituato a quell'altro tipo di sguardi da pensare che stessero fissando gli occhiali, o i suoi occhi, o qualche suo movimento strano. «Non intendevo fissarlo...» mormorò infine con voce triste.
«Lo so» disse con tono dolce Melissa.
«E cercherò di non farlo più con nessuno» le promise, anche se lei non sapeva la verità, ma su una cosa aveva ragione: se avesse continuato a fissare le persone a lungo, le avrebbe fatte sentire a disagio, forse ferite; doveva prestare più attenzione. Un nodo si formò nella sua gola, se solo avesse potuto vedere come gli altri, se solo avesse potuto essere come gli altri, sarebbe stato tutto molto più semplice.
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