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10. L'orario delle lezioni


Art. 137, comma 4 del manuale delle regole:

Ogni studente che non assuma le pillole verrà adeguatamente sanzionato dai Sorveglianti. In caso di recidiva la somministrazione sarà forzata.


Trentacinque fissava la colazione, lo stomaco ancora in subbuglio dopo la visita in farmacia. Al suo fianco Melissa faceva lo stesso, la testa bassa e gli occhi che seguivano infastiditi una fetta di torta alle fragole.

«Immagino lo trovino divertente» disse sommessamente la ragazza.

Trentacinque sollevò lo sguardo dal piatto per poi posare gli occhi su Melissa.

«La colazione...» gli sussurrò lei «non abituartici. Tutta questa roba la danno solo la domenica, gli altri giorni il cibo lo servono in base al punteggio delle stanze, vedrai che schifo ci aspetta domani.» La ragazza sbuffò tenendosi una mano sullo stomaco. «Secondo me lo fanno apposta: sanno che dopo aver preso quelle maledette pillole è praticamente impossibile mangiare...» gli occhi della ragazza si posarono su Pietro. «Beh, eccetto per lui.»

Pietro le sorrise, lo sguardo stranamente tranquillo. «Che dire, almeno una fortuna mi è capitata!»

Il ragazzo sorseggiava della cioccolata calda, alcuni pasticcini gli riempivano il piatto.

«Vorrei tanto si potesse portare via il cibo» mormorò Melissa, stringendo forte la tazza di tè verde che non accennava a calare.

«Sarebbe bello» concordò Trentacinque; anche se in quel momento aveva la nausea, sapeva che la sera o il giorno successivo uno di quei pasticcini al kiwi avrebbe proprio voluto mangiarlo, probabilmente anche una brioche al pistacchio o uno di quegli invitanti cioccolatini perfettamente sferici ripieni di piccole scaglie di cocco. Passare gli occhi sulle tavole imbandite gli ricordava come quello fosse l'ennesimo tentativo di ricordargli che, anche se qualcosa sembrava alla sua portata, non poteva raggiungerla. Un po' come le porte a vetri della mensa: avevano le maniglie ma non potevano essere aperte e il giardino che si intravedeva invitante poteva solo essere guardato con desiderio, ma mai calpestato.

Il bambino si alzò dal tavolo, il suo senso di frustrazione andava e veniva a ondate. «Torno in stanza» asserì deciso, il tono gli era uscito più arrabbiato di quanto avesse voluto. Il Macc di Melissa lo fissava preoccupato.

«Ti accompagno» si offrì lei lanciando uno sguardo di intesa a Pietro. Sembrava che quei due avessero preso la decisione di non lasciarlo solo nemmeno per un minuto; probabilmente per evitare che accumulasse altri demeriti che avrebbero affossato ulteriormente il già tragico punteggio della stanza. Trentacinque non poteva biasimarli: in fondo si conoscevano da appena due giorni, decisamente poco tempo per costruire un legame di fiducia.

Mentre camminavano sui tappeti polverosi, Trentacinque sentiva il peso delle tasche vuote della felpa; la sua mente vagava inevitabilmente fra la preoccupazione di dover nascondere i suoi problemi di vista e il dubbio sempre più pressante e intenso che qualcosa fosse successo fra il tramonto e le due del mattino, il suo primo giorno alla Scuola dei Demeriti.

La nausea e un'immensa stanchezza lo fecero cadere sul letto non appena varcata la soglia della loro stanza. Passarono alcuni istanti, poi Melissa fece un piccolo colpo di tosse per attirare la sua attenzione: sembrava sul punto di dirgli qualcosa e dallo sguardo dava proprio l'impressione che non fosse nulla di spontaneo, ma un discorso preparato a tavolino.

«Possiamo parlare?» gli domandò lei, gli occhi dorati coperti da un velo di preoccupazione.

Il respiro di Trentacinque cominciò ad accelerare. "Ecco," pensò "mi sembrava strano che non mi avessero detto ancora nulla; probabilmente adesso Melissa mi comunicherà che è meglio per tutti se me ne vado in un'altra stanza, se scompaio dal loro quadro. In fondo, ho causato loro solo problemi... Ognuno per sé."

Trentacinque strinse con una mano il lenzuolo, ancorandosi a quel pezzo di tessuto prima di rispondere che sì, potevano parlare.

«Io e Pietro abbiamo discusso brevemente e... vorremmo darti una mano.» A Trentacinque mancò il fiato; la ragazza fece una lunghissima pausa, guardandolo dritto negli occhi, per poi aggiungere quasi mangiandosi le parole: «So che non siamo il massimo... Io ormai sono qui da diversi mesi e Pietro non ottiene mai punteggi alti nei test... Ma ci terremmo ad aiutarti ad ambientarti alla tua nuova vita.»

Trentacinque si sentì trafiggere: quelle parole inaspettate sembravano sincere e sentite, e sapeva che avrebbe dovuto sentirsi sollevato e grato, felice di essere stato accolto, ma quella sensazione durò pochissimo. Come un tuono gli rimbombavano nella mente le parole di Melissa: "la tua nuova vita" aveva detto. Nemmeno lei credeva che sarebbero mai usciti da quella scuola; chissà se lei aveva mai pensato di scappare, se ci aveva provato e aveva fallito, realizzando così che dalla Scuola dei Demeriti uscivano solo i primi dieci. Gli occhi di Trentacinque corsero al Macc di Melissa; non era il caso di affrontare quell'argomento davanti ad un dispositivo in grado di registrare video e audio delle loro conversazioni, soprattutto visto che la priorità del Macc era il benessere di Melissa e non quello di Trentacinque. In caso li avessero scoperti, il bambino era abbastanza sicuro che Eco avrebbe trovato il modo di addossare l'intera colpa su di lui, pur di salvare Melissa.

«Che ne dici, Trentacinque?» gli domandò con un sorriso incerto e preoccupato la ragazza, interrompendo il flusso rapido e disperato dei suoi pensieri. «Non è un obbligo, eh!» aggiunse agitando le mani davanti a sé, il Macc le toccò la gamba con il naso nel tentativo di rassicurarla.

Trentacinque cercò di sorriderle di rimando. «Accetto volentieri la vostra proposta» si lasciò sfuggire, la voce che gli tremava leggermente perché era sì preoccupato, ma anche sinceramente sollevato all'idea di avere qualcuno che, almeno all'apparenza, sembrava voler essere dalla sua parte. Melissa, poi, irradiava un'aura rassicurante; quella ragazza pareva attenuare i rumori continui e martellanti di quella scuola con la sua sola presenza.

Melissa gli sorrise, Eco se ne stava a terra, disteso in una posa rilassata con la coda che batteva forte a contatto con il pavimento.

«Ti ringrazio per la fiducia» mormorò la ragazza, gli occhi che brillavano luminosi. Il suo sguardo si posò sul foglietto di carta pesante che giaceva ai piedi del letto di Trentacinque. «Non hai ancora guardato il tuo orario delle lezioni?»

Il cuore del bambino si fermò per un istante; quella piccola dose di calma che l'aveva avvolto negli ultimi istanti svanì, veloce come era arrivata. Si fidava in un certo qual modo di Melissa, ma non era ancora disposto a rivelarle che senza occhiali non era in grado di leggere né l'orario delle lezioni, né qualsiasi altro libro di testo, incluso il manuale delle regole. Sentiva che quell'informazione avrebbe potuto cambiare completamente l'opinione che lei aveva di lui, abbassandola ulteriormente. D'altronde, Melissa si era offerta assieme a Pietro di aiutare il Trentacinque normale, quello che vedeva come tutti e che non sentiva il rumore della corrente e nemmeno della porta dell'infermeria. La conosceva da troppo poco tempo per sapere come si sarebbe comportata scoprendolo: l'avrebbe preso in giro? Avrebbe usato quella conoscenza contro di lui? Gli avrebbe detto che i patti erano cambiati e che avrebbe dovuto cambiare stanza? E soprattutto chissà cosa sarebbe accaduto se Melissa, o qualcun altro, avesse scoperto il suo segreto più grande, quello a cui aveva cercato di non pensare per tutto il giorno e tutta la notte da quando si era risvegliato nell'infermeria: il vero motivo per cui era finito alla Scuola dei Demeriti.

Melissa se ne stava seduta sul pavimento, le lunghe gambe incrociate fra di loro, gli occhi che seguivano il profilo stanco e preoccupato di Trentacinque. Il bambino, incerto su come uscire da quella situazione, allungò rassegnato la mano verso il foglietto di carta spessa; sentì in lontananza Melissa che gli urlava di aspettare, ma ormai era troppo tardi: le sue dita avevano toccato la carta.

Il foglietto si stava sciogliendo lentamente lungo la pelle di Trentacinque, lasciandogli una sensazione di freschezza. Quella sensazione, per quanto piacevole, scivolò amara nella mente di Trentacinque, riportandogli alla memoria brevi sprazzi di quanto era accaduto quando aveva toccato la busta arancione gommagutta: la faccia preoccupata della madre adottiva, la sua voce calma e leggera, la confusione che lo aveva animato.

Il foglietto, nel frattempo, era completamente scomparso, assorbito dalla sua pelle. Trentacinque si sentiva strano: avvertiva un forte prurito che sembrava estendersi pian piano dalla mano, lungo il braccio, fino all'intero corpo; era un pizzicore particolare, come avere della lana che sfiorava e grattava l'interno di ogni sua cellula. Gli sembrava che miliardi di piccoli soldatini stessero rimestando all'interno del suo corpo, pungendolo con le loro minuscole lance.

Quando quel prurito violento ed insopportabile gli raggiunse le orecchie, la sensazione di spilli che rumorosamente lo perforavano dall'interno si fece più intensa e devastante.

Trascorsero alcuni minuti, poi gradualmente il pizzicore si attenuò; Trentacinque aveva l'impressione che quei piccoli soldatini si stessero pian piano ritirando.

Facendo appello a tutta la sua concentrazione, il bambino riuscì ad abbassare lo sguardo e vide la carta uscire lentamente dalle dita della sua mano e farsi sempre più grande fino a ritornare alle dimensioni e alla forma originali.

La carta non era più bianca, ma di un leggero arancione albicocca. Con le mani ancora tremanti Trentacinque aprì il foglietto: delle righe colorate perfettamente dritte riempivano ogni più piccolo spazio della pagina. Il bambino ci passò sopra le dita con delicatezza, sporcandole così di una polvere colorata che odorava di inchiostro fresco.

Mise la bocca vicino al foglietto e soffiò: una nuvola di colori volò via, rivelando quella che sembrava una tabella oraria fresca di stampa.

Solo a questo punto Melissa gli si avvicinò, sbirciando da sopra la sua spalla.

«Che materie interessanti...» mormorò.

«Davvero?»

«Sì, genetica è abbastanza comune, la frequento pure io, ma le altre... Conosco pochissime persone che le seguono, alcune non le avevo nemmeno mai sentite; tipo sistemi di scrittura, che roba è?»

Trentacinque pendeva dalle sue labbra, cercando di estrapolare da quella conversazione più informazioni possibili su quell'orario che non era in grado di leggere.

«Devi avere una mente abbastanza originale» continuò la ragazza.

«Sì?»

«Sì! Non hai ancora terminato di leggere il manuale delle regole?»

Il bambino scosse il capo.

«Le materie delle lezioni vengono scelte in base alle tue esigenze. Quando la carta entra all'interno del tuo corpo, ti scandaglia, cerca di capire di che cosa hai bisogno, e quando l'ha fatto esce e prepara il tuo orario per te. Evidentemente, ha visto qualche tua parte che necessitava di queste materie.»

Il cuore di Trentacinque si riempì di sollievo. Da quando era arrivato, quella era la prima volta in cui la Scuola dei Demeriti non gli sembrava essere stata progettata per torturarlo, ma per accoglierlo, ascoltarlo ed aiutarlo.

Un nugolo di emozioni si agitava nei suoi polmoni, vibrava lungo le dita. Erano passati solo due giorni dal suo arrivo, e il suo cervello continuava a rimbalzare da un'idea all'altra: la fuga, la rabbia, classificarsi fra i primi dieci, l'impotenza, il dolore, imparare, studiare, la mancanza della madre. E in tutto questo non c'era nessuno di cui potesse fidarsi veramente, qualcuno che l'aiutasse a scegliere se fuggire o restare; se rivelare o meno i suoi problemi di vista e i rumori che riusciva a sentire. Forse avrebbe potuto parlarne con Pietro e Melissa, ma li conosceva da troppo poco tempo, e nelle poche conversazioni che aveva avuto con loro l'avevano sempre invitato a non fidarsi di niente e di nessuno. 

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