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48.

Schneidemühl, 75 km a Ovest di Bromberg, Gennaio 1945


Impiegarono tre giorni a coprire la distanza che Albert, da solo, avrebbe percorso in uno. Ma maledizione, si diceva a ogni casolare apparso dopo una svolta, avrebbe dovuto aspettarselo. "Continua a marciare," ordinava a se stesso, "metti un passo avanti all'altro, Albert."

«Albert» sentiva spesso dietro di sé.

"Continua a marciare."

«Albert, ti prego.»

"Avanti, un altro passo."

«Albert...»

«Che c'è?»

«Dammi tregua, non ce la faccio più.»

"Non ci possiamo fermare, non è ancora sera."

«Forza, Leonhard, la strada è ancora lunga.»

«Abbiamo camminato tutto il giorno, ti chiedo solo un po' d'acqua.»

«La tua l'hai finita?»

«Sì.»

Leonhard lo fissava implorante, reggendosi a un bastone di fortuna recuperato il primo giorno, quando gli aveva lasciato il compito di portare il suo dannato fucile. Già ne aveva abbastanza.

"Ti avevo detto di non farmi da zavorra."

«Ti prego.»

Albert si guardò intorno: la campagna era deserta verso Est, mentre a Ovest, non troppo distante, ci doveva essere un qualche paesino, di cui si intravedeva un campanile distrutto.

«Va bene, tieni.»

«Dio santo, grazie.»

«Vacci piano. Dammi qua. Hai freddo, vero?»

Era desolante vederlo annuire. Faticava così tanto a marciare che, quando poteva, faceva economia di parole.

«Facciamo così, Leo, fino a quelle case lì in fondo, va bene?»

«Va bene, penso di farcela.»

«Forza. Aspetta, ti aiuto.»

Aveva chiesto niente zavorre, e invece eccolo lì, con un ferito in spalla. Avrebbe dovuto abbandonarlo a sé il primo giorno, invece di portarselo appresso, e invece eccoli lì, a trascinarsi verso un paesino controllato nemmeno lo sapevano da chi.

«Dovremmo levarci dalla strada, Leo.»

«Non è un problema.»

«Davvero? Non mi sembra.»

Leo annuì ancora e strinse il braccio intorno alle spalle di Albert, sollevò il bastone e si tirò in avanti, verso il muretto che costeggiava il sentiero.

«D'accordo» gli disse Albert spingendo per allentare la presa intorno al collo. «Andiamo.»

«Albert?»

«Sì, dimmi. Forza, scavalca.»

«Grazie.»

Albert si issò sulla pietra e saltò nell'erba umida. Aveva lo zaino fin troppo leggero.

«Come, scusa?»

Leonhard deglutì. «Grazie.»

Ripresero a camminare, uno ancora sottobraccio all'altro.

«Non c'è di che» rispose Albert sbuffando, «Puoi star sicuro.»

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