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44.

A Sud di Bromberg, Gennaio 1945


Con l'inizio del nuovo anno i tedeschi si ritirarono e l'orda sovietica, come sciame di locuste o branco di lupi su una carcassa in putrefazione, si riversò nel varco lasciato aperto. Prima ancora della fine del mese arrivarono all'Oder, a un ponte dalla Germania. Era fatta ormai.

Albert non osava pensare a cosa sarebbe successo dopo, si rifiutava di immaginarlo. Aveva visto la spiana che era diventata Varsavia.

Continuava a camminare dal tramonto fino a quando la luna lo permetteva, scendendo lungo il corso della Vistola verso Nord; seguiva d'appresso i fanti sovietici, studiando le loro tracce, cibandosi dei loro scarti e di quelli abbandonati dai tedeschi. Ora la sua battaglia, tolto il voler andare dietro a dei soldati completamente disarmato, era coi pidocchi. Quelle merde appiccicose erano più mortali del tempo passato al fronte, e lui non poteva far altro che sopportare.

Dormiva nelle buche, sotto i cespugli, raramente accendeva un fuoco, e la mattina doveva scuotere via una patina di brina dalla coperta di fortuna che si portava appresso, avvolta come una salsiccia intorno al pastrano.

Una sera, ormai abbattuto e privo di un tetto, non resistette, e raccolse della legna prima che fosse troppo tardi. S'addormentò lì a fianco al fuocherello, nascosto in una bassa depressione del terreno spoglio.

Con ancora le braci incandescenti, fu svegliato da uno stivale nelle reni. Tossì e sgusciò fuori dalla coperta, ma alzò la testa solo per ricevere il calcio d'un fucile sulla tempia.

Dolorante e stordito, rimase giù.

Quattro soldati russi lo guardavano dall'alto in basso e ridevano, additandolo con le canne dei fucili. Probabilmente si chiedevano se prendersi la briga di accopparlo o meno. Al minimo gemito lo colpirono di nuovo, e in poco tempo i calci saltuari divennero una gragnuola di pugni e bastonate. Albert si portò le mani alla nuca e si chiuse in se stesso. Sotto il bombardare delle nocche sentì lo sguainare d'un coltello, ma lo ignorò. Iniziò a pregare mormorando, finché i colpi non s'interruppero e non sentì una mano palpargli un fianco e spostarsi verso la coscia.

Albert scattò inarcando la schiena e afferrò il braccio che lo toccava. Il russo dai capelli paglierini e il viso tondo bruciato dal sole borbottò qualcosa nella sua lingua, e a fianco a lui un suo compagno mostrò la lama del coltello. Lentamente Albert ritirò le braccia, e la perquisizione riprese.

Gli tolsero il cappotto, ma gli lasciarono quel poco di provviste che si portava in una bisaccia di fortuna, gli vuotarono le tasche e gli controllarono persino le scarpe. Non fu difficile trovare il suo tesoro.

Albert s'agitò, alzò le braccia e urlò frasi sconnesse per protesta, ma ottenne il solo risultato d'essere di nuovo bloccato a terra. Con la coda dell'occhio poteva vedere il soldato dai capelli paglierini stringere in mano la foto stropicciata del suo amore, divorandolo con occhi vampireschi.

Mugugnò ancora e si divincolò. Il compagno s'inginocchiò accanto a lui e gli avvicinò la lama alla guancia barbuta. Fu un attimo.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime di dolore e, non appena gli lasciarono libere le mani, se le portò alla guancia squarciata.

Il compagno si portò dietro di lui, alzò la lama pronto a colpire. Paglierino lo richiamò. Forse gli disse che era solo un povero contadino pazzo, o forse che s'era comprato la libertà, Albert non capiva.

I tre sottoposti si lamentarono e sbuffarono, ma presero le loro cose e s'allontanarono, lasciandolo andare. Paglierino lo guardò un'ultima volta, rise e li seguì.

Albert, rimasto totalmente solo, pianse.

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