25.
Berlino, Settembre 1940
Si sposarono nel Marzo del 1935, poco prima che fosse reintrodotta la leva, seguendo a poca distanza l'esempio del loro vicino di casa, Otto, che era convolato a nozze con una domestica di cinque anni più giovane di lui. Come loro, Agathe e Albert avevano preso i voti in chiesa, con un'umile cerimonia tenuta dal pastore Kofler, alla faccia dei burocrati che spingevano per i matrimoni civili.
In realtà, Agathe provava una certa antipatia nei confronti della signora Elise, ora coniuge Hampel, poiché il suo volto duro le ispirava un'istintiva diffidenza. La sua sensazione si rivelò azzeccata quando, l'anno successivo, la donna si iscrisse alla Lega delle donne Nazionalsocialiste.
Eppure non poteva biasimarla, dato che tutti, ognuno a modo suo, cercavano la stessa cosa: provare a tirare avanti.
Nonostante le difficoltà, gli anni erano stati clementi: Albert, che aveva compiuto da poco 22 anni, trovò lavoro poco dopo il matrimonio come fattorino, ed evitò per un soffio la leva, ritrovandosi comunque iscritto alla riserva; Agathe continuava a lavorare all'Adlon, dove i ricchi turisti americani e gli ex aristocratici erano stati nel tempo sostituiti dai gerarchi nazisti, che vi avevano aperto anche alcuni uffici tra il primo e il terzo piano - lontano da lei, per fortuna.
Non aveva più avuto modo di incontrare quell'idiota del sesto piano che per poco non le aveva fatto perdere il posto. Da quel che aveva sentito tra un turno e l'altro aveva lasciato l'hotel a inizio estate, nel '34, e voci di corridoio dicevano che s'era sposato all'improvviso con una dell'Hannover, o forse dell'Hessen, per quel che valeva.
Nel '38 Albert aveva seppellito l'anziana madre, rimasta vedova nella primavera di vent'anni prima, da qualche parte nel Sud delle Fiandre.
Poi era tornata la guerra, e Albert aveva preso a vivere nella paranoia della chiamata alle armi.
«Se solo fossi due anni più grande, se avessi potuto votare nel '32...» lo consolava Agathe di tanto in tanto, «...ora non ci ritroveremmo con un nuovo Kaiser.»
«Forse però ci sarebbe ancora la crisi economica ed io sarei stato ancora senza lavoro, chissà» le rispondeva sempre Albert. «Non pensiamoci più, ti prego.»
«Però, davvero, chissà...»
«Credi di poter cambiare il mondo da sola, Agathe? Non farti illusioni.»
***
A Settembre, dopo la conquista della Francia, ci fu un altro funerale: Otto aveva perso un cognato, e per la moglie fu un duro colpo che consumò in silenzio, rinchiusa tra le mura domestiche. Agathe la vide solo qualche giorno dopo, tornando dal fare la spesa, mentre imbucava alcune lettere in una cassetta per la posta.
«Elise, buonasera.»
La donna la guardò, il suo volto duro contorto in un'improvvisa smorfia di spavento. Balbettò un rapido saluto e scappò via, camminando in tutta fretta verso casa, lasciando lì la povera Agathe, spiazzata, con ancora le condoglianze che le premevano contro le labbra.
Allibita, tornò a casa da Albert, rimuginando sull'accaduto.
«Credo che Elise mi odi» gli disse mentre cenavano.
«Sarà ancora di malumore per il fratello. Avrai detto qualcosa...»
«È questo il punto: non mi ha dato proprio il tempo di parlare, appena mi ha vista è scappata via. È stata davvero rude.»
Albert rifletté per qualche attimo. «Sono sicuro che non voleva farti una scortesia» giudicò infine, tentando di consolarla. «Ci sarà una spiegazione.»
«Io continuo a pensare che mi odi.»
«Facciamo così, domani parlo con Otto e vediamo se lui ne sa qualcosa. Magari ne approfitto per chiedere se all'associazione dei veterani sanno nulla su quali piani abbiano...»
«Amore, Otto ha lasciato l'associazione anni fa.»
«Giusto.» Albert fece una pausa e si pulì la bocca. «Andrò comunque a parlare con lui, per te.»
Agathe sorrise appena e si alzò per baciargli i capelli castani. Lui le prese la mano, le baciò il palmo. Anche se non lo dava a vedere, Albert tremava.
Lo strinse a sé e gli si chiuse intorno, sperando di potergli infondere quel senso di protezione che da lungo tempo cercava. Rimasero così, avvolti l'uno sull'altro, a cullarsi per non pensare al futuro.
Nel silenzio, ognuno mormorò al proprio amore: «Grazie.»
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