Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 3

Prendo un po' di coraggio e inizio a svuotare gli ultimi scatoloni. Ne restano quattro, tra cui quello che contiene le cose di Nicole. Compresa la foto.
Mi fermo per un istante, fissandolo. Un respiro profondo mi aiuta a trovare la forza di aprirlo. Dentro ci sono tutti gli oggetti che mi ha regalato: la foto, un souvenir completamente a caso che mi aveva preso durante una gita a San Francisco, delle cartoline di New York, e la nostra collana in comune.
Quella collana..Me l'aveva regalata quando avevo compiuto quattordici anni. Il ciondolo, una stella marina verde acqua, brillava sempre alla luce del sole. Ogni volta che la indossavo, mi sentivo vicina al mare, a casa, e soprattutto a lei. Ora invece mi sembra solo un peso sul cuore.
La stringo forte al petto, chiudendo gli occhi. Sento una fitta di dolore, ma so cosa devo fare. Devo liberarmene. È l'unico modo per lasciarmi alle spalle una parte di lei. Ho scoperto che, per dimenticare veramente qualcuno, devi prima cancellare tutto ciò che te lo ricorda.
Mi alzo decisa, tenendo la collana stretta nella mano, e scendo in giardino. Il cestino della spazzatura è lì, davanti a me. Apro il coperchio, pronta a lasciarla andare.
«Anne... tesoro. Che stai facendo?»
La voce di mia madre mi blocca. Mi giro lentamente e la vedo sulla soglia della porta.
«Mamma... devo buttarla.»
Lei si avvicina a me impassibile «Sei sicura? Era così importante per te quella collana.»
Sospiro profondamente. «Era, mamma. Ora non lo è più.» Tento un sorriso per mascherare la mia amarezza. Non voglio farle capire quanto mi costi questo gesto.
Lei mi osserva per un momento, poi annuisce. Non dice altro. Capisco che mi sta lasciando decidere.
Torno a girarmi verso il cestino e butto la collana dentro. Per un attimo, il mondo sembra fermarsi. Una parte di me vorrebbe allungare la mano e riprenderla, ma resto immobile.
Sento un vuoto dentro di me. Ma sapevo che sarebbe stato così.
«Sei sicura di aver fatto la scelta giusta?» La voce di mia madre è un sussurro.
Faccio spallucce. «Credo di sì. Quella collana mi faceva ricordare troppo la nostra amicizia.» Pronuncio queste parole con una calma apparente, senza guardarla negli occhi. Poi mi incammino verso casa, lasciandomi il giardino alle spalle.
Rientro e mi dedico agli altri scatoloni. Comincio a piegare quelli che ho già svuotato, cercando di non pensare a ciò che ho appena fatto. La stanza è quasi piena delle mie cose, ma la sensazione è come se ci fosse ancora un enorme vuoto.
Rimetto a posto la foto di Nicole nello scatolone e chiudo il coperchio, come se in qualche modo sigillarlo potesse alleviare il peso che sento sul petto. I miei pensieri, però, non smettono di ronzarmi in testa. La verità è che la mia vita non è più mia da quando ci siamo trasferiti qui.
«Quando abbiamo deciso di trasferirci, sapevamo che sarebbe stato difficile per te. Ma io e tuo padre abbiamo bisogno di ricominciare. Lui ha trovato un nuovo lavoro qui, e tutti noi abbiamo bisogno di cambiare aria.»
Quelle parole mi tornano in mente, ma suonano vuote, prive di significato. Perché la verità, che nessuno vuole dire ad alta voce, è che questo trasferimento non era per tutti noi. Era per Eleonor.
Me ne sono accorta subito, quella mattina, quando l'ho vista brillante per affrontare il suo primo giorno di scuola qui a Seattle. Ero lì, seduta sul letto, con ancora il pigiama addosso e il vuoto negli occhi, mentre lei era già in cucina a chiacchierare con mamma e papà come se fosse un giorno qualunque. Come se non avessimo lasciato indietro tutto quello che conoscevo.
«Mamma, io vado!» Era davanti alla porta, radiosa, mentre io ero ancora in cucina, avvolta nel mio silenzio.
Nostra madre le augurò buona fortuna, con una risata che riempiva la casa, mentre a me, quando dissi che me ne andavo, il suo «Buona fortuna anche a te» sembrò privo di calore, quasi distante.
Tutto mi sembrava più forte in quel momento: la differenza nel modo in cui guardavano lei, come se ogni passo che faceva fosse una conquista, e come a me veniva riservato solo uno spazio marginale.
Il pensiero mi tormenta mentre osservo la stanza. Eleonor è la protagonista, quella per cui tutto sembra essere stato messo in gioco, mentre io sono qui, intrappolata in un angolo che nessuno vuole davvero vedere.
Mi giro verso la scrivania, e i miei occhi cadono su di lei: quella maledetta rosa blu. È ancora lì, intatta, come se non avessi mai avuto il coraggio di sgretolarla in mille pezzi. Un'ondata di odio e frustrazione mi assale. Perché è ancora lì? Perché ieri non sono riuscita a liberarmene?
«Volevo darti questa,» aveva detto mia madre, posandola sulla mia scrivania. «Spero ti piaccia.»
E poi, come se non bastasse, aveva avuto il coraggio di dirmi che Nicole era il mio "obiettivo irraggiungibile," proprio come quella rosa.
Le sue parole continuano a rimbombarmi nella testa. «Ora spetta a te capire come superare questa paura e andare avanti.»
Ma cosa vuol dire "andare avanti"? E soprattutto, perché dovrei essere io a farlo? Perché nessuno si è mai fermato a chiedermi come stavo davvero?

Entro in cucina con passi pesanti, il cuore che batte forte. La tavola è già apparecchiata e il profumo del cibo si diffonde nell'aria, ma non ho fame. Mi siedo in silenzio, senza incrociare lo sguardo di nessuno.
Eleonor è lì, sorridente, e racconta della sua giornata a scuola. «Mamma, a scuola mi hanno già notato!» dice, il tono entusiasta. «La prof mi ha detto che ho talento e che potrei entrare nel club di scacchi. Non è fantastico?»
Mamma le sorride, piena di orgoglio. «Fantastico, davvero! Sapevo che qui saresti stata felice. Te lo meriti.»
Mangio in silenzio, infilzando il cibo nel piatto senza neanche guardare cosa sia. Le parole di mia madre, però, mi colpiscono come lame. «Te lo meriti.»
«Certo, è fantastico per te, Eleonor. Per te va tutto sempre alla grande, vero?» Le parole mi sfuggono di bocca prima che possa fermarmi.
Eleonor mi guarda, sorpresa, e per un momento cala il silenzio.
Che vuoi dire?» Mi chiede, infine.
Mi giro verso nostra madre, gli occhi che bruciano di rabbia. «Voglio dire che questo trasferimento l'avete fatto per lei, non per tutti noi. E non cercare di negarlo!»
«Anne, non è il momento...» inizia mia madre, cercando di mantenere la calma.
«Non è mai il momento, vero?» sbraito. «Non era il momento quando mi avete detto che dovevamo lasciare Portland. Non era il momento quando vi ho supplicato di restare. Perché per voi conta solo Eleonor!»
Eleonor si stringe nelle spalle, visibilmente a disagio. «Non è colpa mia se lì non mi trovavo bene...»
«E a me? Qualcuno ha mai chiesto come mi sentivo io? Avevo una vita a Portland, amiche che mi volevano bene, e voi avete deciso di cancellare tutto per lei!» Il tono mi si spezza, ma continuo. «E sai una cosa? Non voglio più ascoltare le vostre scuse. A diciassette anni, tornerò a Portland, e non ci sarà nulla che possiate fare per fermarmi.»
Non aspetto la loro risposta. Mi alzo di scatto, sbattendo la sedia contro il tavolo, e mi dirigo verso la mia stanza.
Chiudo la porta e mi lascio scivolare contro il muro, le ginocchia al petto. Le lacrime iniziano a scendere silenziose, e il loro sapore amaro mi riporta a quel momento in cui mia madre aveva posato la rosa blu sulla mia scrivania. Irraggiungibile. E se invece fossi io, quella irraggiungibile? Forse loro mi vedono così ed è per questo che nessuno riesce davvero a capirmi.
Torno in stanza, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. La porta si chiude dietro di me con un leggero clic, isolandomi dal resto della casa. Mi guardo intorno: la stanza è ancora un disastro. Ogni angolo sembra gridare che non appartengo a questo posto.
Comincio a piegare gli scatoloni vuoti che sono rimasti sparsi. Uno dopo l'altro, li appoggio vicino alla porta. L'ultimo, però, non riesco a toccarlo. È quello che contiene le foto di Nicole e i suoi regali. Lo lascio in un angolo, lontano dagli altri, quasi come se volessi nasconderlo a me stessa.
Mi siedo sul letto, senza sapere cosa fare. Gli occhi mi cadono su di lei, la rosa blu. Resta immobile sulla scrivania, come se nulla fosse cambiato.
Mi avvicino lentamente e la prendo in mano. È fredda, il colore blu sembra ancora più vivido sotto la luce soffusa della stanza. La osservo, rigirandola tra le dita, mentre un misto di rabbia e dolore mi stringe lo stomaco. È così fragile, eppure è ancora lì, intatta. Perché questa rosa, che dovrebbe significare qualcosa di bello, mi fa sentire così insignificante?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro