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la ridicola storia di un miserabile

Stava per finire di leggere quelle ammalianti pagine , in un parossismo di ambascia e inquietudine, quando l'orologio del soggiorno suonò all'improvviso. Si trattava di un orologio parecchio antico, un ricordo lontano di qualche progenitore. Il garrulo rumore non gli sarebbe parso per nulla strano, se non fosse stato che quell'orologio non funzionava ormai da anni. Così depose il libro, si alzò dalla vecchia poltrona e andò risoluto a controllare. Quando fu a pochi passi, si accorse che l'orologio era fermo. La vista delle lancette al loro posto in parte lo tranquillizzò, e ritornò quindi alla sua cinica lettura, autoconvincendosi che quello che aveva udito non fosse altro che il suono delle campane vicine. Eppure era ben consapevole che le cose stavano diversamente. Dopo alcuni minuti di assidua lettura, o almeno così gli parve, successe di nuovo. Si alzò di scatto e andò a controllare , col terrore di impietrirsi ancora davanti alla funerea immobilità di quelle dannate lancette. E quando le vide lì, che giacevano come paralizzate sul grande sfondo ligneo di quel cimelio di famiglia, ecco che sentì la sua fronte grondare della prima, fredda, spietata goccia di sudore. Ma ancora una volta se ne tornò a leggere sulla sua poltrona, apparentemente incurante di ogni cosa. Ormai ansia e agitazione avevano preso il sopravvento, e ogni parola veniva letta in modo meccanico e inconsapevole. Quando sentì l'orologio suonare per la terza volta , ormai se l' aspettava: capì che di lì a poco qualcosa sarebbe ineluttabilmente cambiato. E a quest'ultimo suono se ne aggiunse un altro, e poi un altro ancora, fino a quando il ritmo divenne ossessivamente incalzante: a questo punto lasciò che le "Operette morali" cadessero dalle sue mani tremanti, le quali andarono a stringere compulsive i braccioli della poltrona, così ferocemente da far sbiancare le nocche, pallide come pallido era ormai il volto. Si stava aggrappando alla sedia con la forza sovrumana di chi agli ultimi attimi di una travagliata esistenza non cede per un istante allo spettro della morte, specchio di ogni paura umana. Ma finalmente cominciò a regnare il silenzio; perchè -come si disse qualche ora dopo quando disteso sul letto si fu liberato da ogni trepidazione- tutto, prima o poi, si spegne. Trascorse una notte inquieta, avvolto dalle coperte madide di freddo sudore, e più sudava più cresceva l'orrore al pensiero di dover sentire ancora quel grido straziante.
Si svegliò quando era ormai l'alba. Si alzò dal letto, con le gambe intorpidite e la testa che gli pulsava incessantemente; ma quel che più lo sconvolse era il senso di disgusto e spossatezza che lo consumava. Certo, erano già diversi giorni che aveva quell'amaro in bocca, ma quella mattina era più intenso, insostenibile. Così pensò bene di prepararsi un buon caffè: quando fu pronto, si portò la tazza alla bocca, e proprio quando il liquido caldo sembrava rianimarlo mentre scorreva lungo la gola, gli tornò in mente la sera passata, e il suono dell'orologio, e il terrore che seguì. Avvenne tutto in un lampo, ma bastò perchè si versasse il caffè bollente nei pantaloni: emise un grido inumano, selvaggio, che, a sua insaputa, fece gelare il sangue dei suoi vicini. Questi, quando l'urlo cessò, ripresero le attività che avevano interrotto per quei pochi e terribili secondi: sapevano del periodo difficile che quel pover'uomo stava attraversando, e d'altronde era normale che, dopo quasi un anno che si era chiuso in casa per non si sa quale motivo, avesse anche lui degli attacchi d'ira e momenti di frustrazione. E infatti era impensabile che quel grido fosse dovuto all'alta temperatura del caffè: quel verso bestiale era la disperazione urlata al mondo intero, mista a un senso di smarrimento e perdizione che rendeva quell'uomo drammaticamente impotente.
Quando finalmente il miserabile tornò in sè, sentì una fausta ondata di sollievo, a cui non seppe affatto dare una spiegazione: il suo malessere rimaneva infatti qualcosa di fatalmente potente, intenso, insanabile in vita.
Ma presto capì quell'improvvisa calma, quel senso di liberazione e conforto: aveva trovato finalmente il rimedio ai suoi mali, l'unico possibile, a cui stava già pensando inconsciamente nei giorni passati, quando stanco di tutto si era messo a leggere quei libri. Ora era tutto chiaro: le campane della morte del giorno prima che lo avevano così terrorizzato, il bruciore infernale del caffè bollente, l'amarezza che gli riempiva la bocca -"È destino" si diceva- tutto era perfettamente chiaro...
Non gli restava che preparare tutto l'occorrente: inchiodò un gancio sul soffitto a cui legò una grossa corda, poco meno lunga dell'altezza della stanza. Poi prese dal bagno uno sgabello, che posizionò proprio sotto la corda oscillante . Finito il lavoro, osservò compiaciuto il tutto e sussurrò: "Quando la corda finirà di oscillare, salirò sullo sgabello e la farò finita". Lo disse con un tono inconsueto, era parecchio eccitato per il suo atto eroico. Così si mise sulla poltrona a osservare attentamente la corda, che andava a mano a mano scandendo gli ultimi istanti della sua vita, e guardandola si ricordava di tutte le sofferenze che aveva patito, dei piccoli barlumi di felicità di cui aveva goduto, e pensava a quanto la sua vita fosse mediocremente accomunabile a quella di tutti gli altri uomini. E questo sentimento di autocommiserazione lo finì di persuadere circa la giustezza della sua scelta, che si presentava come l'unica che lo potesse far riemergere dallo squallido grigiore della sua vita. Così, forte di questo ragionamento, si avviò verso lo sgabello e ci salì su. La corda infatti non si muoveva più, il tempo era scaduto. Si avvolse la corda al collo, si guardò intorno ed emise un lungo e profondo sospiro: non gli rimaneva che fare un'ultima cosa: dare un calcio allo sgabello e aspettare la morte dei sensi.
Tuttavia ebbe un attimo di esitazione, senza comprenderne il motivo, e una caterva di domande, le stesse che gli uomini si pongono durante la loro vita irrisolta, cominciò ad assillarlo. Nel frattempo i suoi piedi tentennavano, indecisi se lanciarsi nel vuoto della morte, oppure differire di un altro misero secondo l'atto fatale.
Si trovava in questo stato di inquieta incertezza, quando all'improvviso accadde di nuovo. L'orologio, o qualunque cosa fosse, suonò, squarciando senza pietà quel silenzio che preannunciava già un'eterna quiete. Il miserabile trasecolò, e perse l'equilibrio. A quel punto, inspiegabilmente, chiamò a sè tutte le forze che gli rimanevano per restare in piedi sullo sgabello, che ormai traballava sotto di lui, e invocò santi e divinitá a cui non aveva mai creduto in vita, tutto per non morire. Aveva smesso miracolosamente di voler togliersi la vita, forse per un improbabile attacco di panico, o forse perchè, in un straordinario momento di lucidità tipico di chi sta per morire, aveva finalmente riconosciuto nel fatidico rumore il suono del campanello.
"Non era dunque l'orologio, e non poteva in alcun modo esserlo -era rotto da una vita- non c'era nessuno spirito del mondo che decidesse con il suono di un orologio quando un uomo dovesse morire, non era niente di tutto ciò, tutta una creazione della mia mente miserabile..." si disse l'uomo, "e adesso chi sarà mai alla porta , che suona con tanto furore, chi è, forse il postino, forse un vicino, o forse -ahime- qualcuno che col suo ingresso avrebbe cambiato la mia triste esistenza... chi è...?
Ma tutte queste risposte non ebbero risposta, giacchè alla fine lo sgabello, dopo lunghi e penosi secondi d'incertezza, scivolò via dai suoi piedi , e con esso la vita.

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