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XXII - Quattro matrimoni e un funerale.

Gli anni in motorino, sempre in due.

883 – Gli anni

Il ventisette giugno 2016 è una data che non dimenticherò mai. Credo sia stato il giorno più bello della mia vita. La Legge Cirinnà era in vigore da poco più di tre settimane e le mie madri non avevano voluto attendere un giorno di più. In quattro e quattr'otto fu organizzato tutto, chiamato il Sindaco, avvisato gli invitati – che erano quasi cento e nessuno voleva perdersi un evento simile, Giorgio tornò da Londra per l'occasione – pianificato il pranzo al ristorante della mia famiglia, speso un quantitativo indicibile di soldi per vestiti, truccatrice, parrucchiere, per tutte e tre, acquistato i fiori di tutta la provincia per decorare la casa comunale e il ristorante, le bomboniere, i confetti, il fotografo, tutto in meno di un mese. Le mie mamme indossavano due smoking bianchi, io un vestito rosa pastello che spiccava in mezzo a tutto quel bianco, mentre me ne stavo in piedi, in mezzo a loro due, un passo indietro durante la cerimonia. Mi hanno voluto lì accanto a loro e ho pianto così tanto che ho dovuto farmi rifare il trucco daccapo prima di andare a pranzo.

Non riuscivo a credere che stesse accadendo sul serio. La nostra famiglia era stata invisibile così a lungo che ormai c'avevamo fatto l'abitudine. Per lo Stato italiano, mamma Myriam non era stata altro che un fantasma per quindici anni, una persona che viveva a casa nostra senza alcun legame con me e con mamma Guenda, quella che quando mi ha accompagnato in ospedale quando mi sono slogata la caviglia, il medico non voleva far entrare perché non era una parente. E adesso, finalmente, dopo tanto tempo, ci stavano guardando, perché eravamo diventate visibili. Certo, non era un matrimonio a tutti gli effetti, bisognava e bisogna ancora lavorare sodo affinché le persone queer possano avere i medesimi diritti delle persone eterosessuali, a partire dall'adozione, ma per noi è stato un enorme passo in avanti.

Qualche settimana dopo, io e le mie mamme iniziammo il percorso di adozione per maggiorenni in modo che anche a livello legale fossi riconosciuta come figlia di Myriam Boschi e ho potuto aggiungere il suo cognome al mio. Finalmente, per tutti, non solo per me e le mie mamme, ero Emma Casali Boschi. Inutile dire che anche per questa occasione abbiamo fatto una festa con decine di invitati. Siamo una famiglia a cui piace festeggiare.

«Emma, a che punto sei con i fiori!?»

A cui piace festeggiare e anche un po' maniache del controllo. I miei occhi fanno un giro completo ed Erica si mette a ridere.

«Ho quasi fatto, mamma, dammi tregua!»

A che cosa servono, poi, tutti questi fiori. Me li ha fatti mettere dentro la sala del ristorante, fuori in giardino, sulle scale, ovunque. Manco si stessero sposando di nuovo.

«Ma quanta gente ci sarà?» domanda Erica con la sua solita innocenza.

«Non lo so», confesso. «Una cinquantina, credo.»

La rossa sgrana gli occhi. «Cinquanta persone?»

«Più o meno. Ormai è un evento, l'anniversario delle mamme.»

«E alle nozze d'argento, cosa faranno?» scherza la mia amica e io ricambio il sorriso.

«Spero che mi paghino una bella crociera!»

È quasi ora di pranzo e i primi ospiti stanno cominciando ad arrivare. Le Baresi sono state le prime: si sono piazzate qui dalle undici e Maria ha insistito per aiutare mamma Guenda a cucinare e ho il sentore che abbia combinato qualche disastro. Poi ho visto Anita, la madre di Giorgio, con il suo inconfondibile accento veneto e un bicchiere di prosecco sempre in mano, Isabella e Giovanni insieme a Enrico la peste, qualche amico di famiglia, nonno Alberto e nonna Teresa, i genitori di mamma Myriam, che come sempre mi hanno portato un regalo. Mi hanno sempre voluto bene, dal primo momento che li ho incontrati, a differenza dei miei nonni biologici. Non sono venuti oggi. Ho chiesto di soppiatto a zia Isa e lei mi ha confermato la loro decisione di non presenziare. Cerco di non rimanerci troppo male, in fondo ci sono abituata, i rapporti tra loro e la mia famiglia non sono mai stati idilliaci. Non hanno mai accettato la gravidanza precoce della loro figlia. I miei primi anni di vita trascorsi sotto lo stesso tetto sono stati estenuanti, a detta di mia madre, e anche io ricordo l'assenza di risate e tranquillità, che sono aumentate a dismisura quando abbiamo fatto le valigie e ci siamo trasferite nel monolocale dietro la trattoria dei Cavalieri, solo io e lei, raggiunte poco dopo da mamma Myriam. E se la teen pregnancy è stato un duro colpo da accettare, il coming out e la relativa relazione con una donna è stato quello di grazia per il deperimento dei rapporti con i signori Casali.

Li ho odiati per anni, finché alla fine ho smesso di prendermela troppo. Ero già stata rifiutata – anzi, mai voluta – da mio padre, detto anche il donatore di sperma, perché alla fine è questo che è stato, poi ci si sono messi anche loro, due persone che avrebbero dovuto stare vicino a mia mamma, aiutarla e amarmi con un'altra figlia, forse anche di più, ma che invece sono stati vittime del loro bigottismo. Non sono venuti al matrimonio delle mamme. Non sono venuti alla mia festa di laurea. Quando ci incontriamo in giro per Arona, ci salutiamo con educazione, ma niente di più. Era troppo sperare che decidessero all'improvviso di venire oggi, ma non posso negare di averlo fatto. L'unica rappresentante dei Casali è zia Isabella, la quale, al contrario dei suoi, è stata una roccia nella vita di sua sorella e della mia, nonostante la sua giovane età. La vedo avvicinarsi, con un soufflé al salmone in mano e un altro tra i denti.

«Ancora che sistemate i fiori?» esordisce, per poi tentare di ficcarmi in bocca il rustico. «Assaggia, è divino.»

«Grazie», mormoro a bocca piena, un'esplosione di sapore in bocca. Prevedo molte calorie in arrivo per questa giornata, ma è l'anniversario delle mamme, quindi uno strappo alla regola me lo posso permettere.

«Dov'è Enrico?» domando a mia zia. Lei sta per rispondere, quando un rombo copre le sue parole. Sollevo di scatto la testa e allungo il collo verso la moto di Giorgio. Ce l'ha fatta ad arrivare. Sento Erica soffocare una risatina.

«Eri così impaziente di vederlo?»

Le lancio uno sguardo indignato. Da quando è diventata così maliziosa? Ha trascorso troppo tempo insieme a me e ad Anna, che, tra parentesi, è in ritardo. 

«No», ribatto, secca. «Lo stavo solo dando per disperso.»

«Uhm», commenta ancora lei, ma cosa si è messa in testa? Vorrei replicare ancora, ma l'oggetto della conversazione si sta avvicinando. Per fortuna zia Isa non ha sentito nulla, troppo presa a rimproverare da lontano Enrico. Giorgio si ferma accanto a noi.

«Buongiorno a tutte.»

«Ti eri perso?» lo apostrofa la sua migliore amica storica, che non sono io, anzi, dopo gli ultimi avvenimenti, dubito di essere mai stata davvero sua amica.

«Scusate, avevo delle cose da fare, stamattina.»

Si tiene sul vago, poi dissimula dando un bacio sulla guancia a Isa, a Erica e infine a me. Qualcuno direbbe che negli ultimi tempi si è lasciato un po' andare: i capelli sono cresciuti, i ricci vagano ribelli e si muovono con il vento, dopo un'ora di viaggio intrappolati nel casco, non si fa la barba da qualche giorno e quando la sua guancia sfiora la mia sento un prurito sulla pelle. Dorme meno del solito e le occhiaie lo dimostrano. La sua mano destra mi tocca la schiena, mentre si china per baciarmi, e le sue braccia muscolose sembrano ancora più piene di tatuaggi. Forse qualcuno obietterebbe che ha un'aria più trasandata, ma qualcun altro direbbe che non ci sta per niente male. Mi sembra che le sue labbra indugino qualche secondo in più sulla mia guancia, ma forse è perché mi sento a disagio. Quando si allontana, incrocio i suoi occhi, grigi alla luce del sole, e mi sembra che stia per dire qualcosa, poi distoglie lo sguardo.

«Dove sono le festeggiate?» domanda, diretto a nessuno in particolare, gli occhi verso la folla che si sta accalcando verso i tavoli all'aperto. Abbiamo sistemato tutto fuori, nel giardino del ristorante, chiuso al pubblico per l'occasione, e l'atmosfera che si respira è elettrizzante. La mano di Giorgio indugia ancora qualche secondo sulla mia schiena, finché lui non la sposta, quasi come se ne fosse ricordato. Io sento dolore lungo la colonna vertebrale e capisco che è perché sono rimasta rigida per tutto il tempo. Maledizione, ho bisogno davvero di rilassarmi. Forse fa bene Anita a bere prosecco in continuazione, ha sempre un'espressione così rilassata.

Proprio in questo momento individuo Anna che si sbraccia per catturare la nostra attenzione. 

«Che fine avevate fatto?»

La mia amica si scioglie dalla mia stretta e indica il pancione sempre più grande. «Tua nipote ha fatto un po' di capricci, ma adesso siamo pronti a fare fiesta! Soprattutto io con il chinotto!»

Da quando è incinta ha sviluppato una malsana passione per quella bevanda dolciastra, ma chi sono io per giudicarla. Mentre ci avviciniamo al buffet dell'aperitivo – sì, le mie mamme hanno fatto le cose in grande – noto Giada accanto alla sua famiglia e Francesco di fronte a lei che fa lo svenevole con chiunque abbia voglia di stare a sentirlo. Ha l'ipnotizzante capacità di far stare zitta Maria Baresi e credo detenga il primato mondiale. Spero la intrattenga per tutto il giorno, anche se forse preferirei che si intrattenesse con Erica, in altri modi, però. Li ho tenuti sott'occhio durante l'ultima settimana: hanno un bel feeling, anche se non è che trascorrano chissà quanto tempo insieme. Sono in due postazioni diverse e non hanno molte occasioni per incontrarsi. Potrei e vorrei fare qualcosa, ma ho il terrore che succeda di nuovo un patatrac come con Filippo, quindi sto cercando di metterci poco lo zampino. Anche se basterebbe solo una spintarella... Magari potrei fare un semplice scambio. Ho guardato la disposizione dei tavoli e il mio barman preferito e l'aiuto cuoca del mio cuore siederanno allo stesso tavolo, insieme a me. Basta solo fare una cosa. Mi avvicino di soppiatto e noto che lui è stato piazzato tra Anna e Giada ed Erica di fronte a lui, vicino a me. Sospiro e compio un grande gesto di amicizia. Sostituisco il mio posto con quello di Francesco e mi sacrifico mettendomi accanto alla Farinelli. Lo so, lo so, sono l'amica migliore del mondo, non serve ribadirlo.

Il pranzo è un successo, ma non ne avevo alcun dubbio. Il cibo è di qualità eccellente, mamma Guenda si è impegnata come ogni anno nel creare il menù perfetto, il vino è buono, la compagnia ottima. Francesco ed Erica parlano per tutto il tempo e questa volta posso solo essere fiera La persona che più di tutte mi fa piacere rivedere è la madre di Giorgio, una donna sempre gentile e con la battuta pronta. Le piace rivangare momenti del passato che hanno unito le nostre famiglie, come gli anni in cui io e mamma abbiamo vissuto appiccicati ai Cavalieri, ma soprattutto adora mettersi a raccontare di quando io ero una bambina e suo figlio un adolescente che fingeva di essere ribelle. 

«Giorgio te l'ha mostrato il video che ho ritrovato l'altro giorno?» domanda a un certo punto. Io inarco le sopracciglia.

«Quale video?»

Anita scuote la testa. «Quel testone. Aspetta.»

Afferra lo smartphone che giace sul tavolo e sblocca lo schermo. Nel giro di cinque secondi lo trova.

«L'ho registrato dalla televisione, ma si vede abbastanza bene.»

Mette play e io mi ritrovo a fissare un video datato 2001. Riconosco me stessa, i capelli biondo cenere lunghi come spaghetti, troppo alta per i miei sei anni, magra come un chiodo dentro quell'orribile vestito da spagnola. Chissà perché all'epoca andavano di moda quei travestimenti tremendi. Accanto a me, alto e allampanato, i capelli neri arricciati davanti agli occhi, i vestiti troppo larghi come ogni adolescente che si rispetti degli anni 2000, l'espressione scocciata, Giorgio mi tiene la mano. Era Carnevale e l'avevano costretto a portarmi in giro, lui che era nel pieno della sua gioventù e io una marmocchia impertinente. 

Non ricordo questa giornata in particolare, ma la mia memoria è piena di momenti come questi, di lui che sacrificava il tempo per stare con me, prima perché sospetto che qualcuno lo pagasse per farmi da babysitter, poi perché aveva voglia di passarlo con me il tempo. I pomeriggi invernali, in trattoria o a casa mia. A sentire la musica, a parlare, a vedere film, a mangiare marshmallow. A ridere, a prenderci in giro, a raccontarci i nostri segreti. Quelli estivi, sul lago, a buttarci l'acqua addosso e a prendere il sole. Mi rendo conto che lo conosco da davvero tanto tempo. È una consapevolezza insensata, perché insomma, lo so che ci conosciamo da tanto, eppure non ci penso mai. Io so tutto di lui e lui sa tutto di me. Condividiamo segreti che nessuno sa, esperienze che nessuno conosce. Io e Giorgio. Alzo gli occhi alla sua ricerca, senza accorgermene davvero. Sta ridendo insieme a Giovanni, per una qualche idiozia che ha detto il PM. La sua risata fa sorridere anche me. E poi ci guardiamo. Ci capita che, quando siamo insieme ad altra gente, a un certo punto i nostri occhi si incrocino, a volte perché lui necessita di lanciarmi il famigerato sguardo rimproveratore, altre perché sentiamo il bisogno di comunicarci che ci siamo. Era da un po' che non succedeva e sento il mio cuore farsi più piccolo.

«Te lo mando?»

La voce di Anita mi giunge lontanissima.

«Emma, ci sei?»

Sbatto le palpebre e sobbalzo appena. Distolgo lo sguardo da quegli occhi scuri e li rivolgo ad altri due molto simili. «Sì, Anita, scusami.»

«Te lo mando il video?»

«Certo, mandamelo.»

Così quando la notte non prendo sonno, anziché rincoglionirmi davanti a TikTok, guarderò me e Giorgio mano nella mano e mi sentirò molto stupida, ma non potrò farne a meno. 

***

«Che fai?»

Ho preso ad esempio Anita e ho bevuto troppo prosecco, tanto che ho sentito la necessità di andare a fare una passeggiata, che in realtà si è interrotta subito e mi sono ritrovata seduta su una panchina vicino al parcheggio. Davanti alla moto di Giorgio, per la precisione, il quale, chissà per quale ragione, se ne sta in piedi a pochi metri da me.

«Niente, guardo la tua moto», rispondo del tutto sincera. «E penso.»

«A cosa?»

Anche la sua voce esprime sincerità. Fa un passo in avanti e per un attimo conto che voglia sedersi accanto a me, ma non lo fa. Se ne resta lì a guardarmi, la camicia di lino azzurra che gli accarezza la pelle già abbronzata e i jeans che mi domando come faccia a sopportare con questo caldo. Mi tiro indietro i capelli mossi dal vento e lo guardo.

«Che quando andavo a scuola volevo tanto chiederti di insegnarmi a guidarla.»

La mia confessione lo lascia sorpreso e forse fa lo stesso effetto pure a me. Non so perché stavo proprio pensando a questo, a quando mi veniva a prendere dopo le lezioni con la sua fighissima moto e faceva schiattare di invidia tutte le mie compagne, a quando ero sempre sul punto di chiedergli di insegnarmi a portarla, senza mai trovare il coraggio. Sarà che sua madre ha rivangato i ricordi della mia infanzia e della adolescenza e nella maggior parte di questi c'era sempre e solo lui. Oppure è colpa del prosecco.

«E perché non l'hai fatto?»

Sollevo le spalle. «Avevo paura che mi prendessi in giro.»

«Perché avrei dovuto? Dopotutto, è grazie a me se sai guidare una macchina.»

Ah, che bei ricordi, le lezioni di scuola guida di Giorgio Cavalieri. Trascorreva il tempo a dare i numeri e a rimproverarmi, però aveva una pazienza infinita. Era capace di stare per ore dentro la vecchia 500 di mamma Myriam a farmi provare i parcheggi. Forse avrei dovuto dirgli che volevo osare anche con le moto, ma mi sembrava un azzardo. Una cosa troppo da grandi, da maschi, da persone sicure di sé.

«Sai quanta poca fiducia avevo in me stessa, all'epoca.»

Poca, davvero molto poca. E lui forse era l'unico che cercava di infondermene un po'. Lo vedo riflettere. Me ne accorgo dal modo in cui corruga la fronte ampia.

«Dai, sali», dice infine. Io allargo gli occhi, ma forse ho capito.

«Dove?»

«Sulla moto.»

Allora avevo capito bene. Mi viene da ridere. «Perché?»

«Non volevi imparare a guidarla?»

«Stai scherzando?»

Non c'è cosa al mondo a cui Giorgio Cavalieri tenga di più che alla sua amata Yamaha. Ci tiene più dei coltelli e ho detto tutto. Mi sta prendendo in giro, è palese. Eppure, poche volte l'ho visto così serio.

«Non scherzo mai sulla mia moto. Dai, monta su.»

Ok, mi sta davvero proponendo di insegnarmi? Il mio desiderio adolescenziale sta finalmente diventando realtà? Potrei continuare a farmi queste seghe mentali, ma al contrario mi alzo e raggiungo saltellante la motocicletta. Mi sovviene che prima ho detto di aver bevuto troppo prosecco, ma forse non era così tanto, dopotutto ho mangiato parecchio, quindi ho ammortizzato i danni. E poi c'è Giorgio a condurre, no?

«Fai piano.»

Ed eccolo là. Mi sembrava strano che non si preoccupasse per la sua bambina. Mi sistemo con garbo nella parte anteriore del mezzo, le gambe nude coperte a malapena dal vestito, in una posizione che non mi è familiare, dato che sono sempre stata dietro e lui è sempre stato davanti. Stavolta, invece, Giorgio si mette dietro di me e sento il suo corpo aderire perfettamente al mio. D'istinto vado ad afferrare i manubri e lui subito copre le mie mani con le sue.

«Piano, ho detto», mi ammonisce all'orecchio. Il suo mento si appoggia sulla mia spalla sinistra e sento la presa delle sue mani grandi. Chissà perché, mi viene voglia di lasciare andare indietro la testa e rilassarmi, godermi la brezza lacustre sul viso e la stretta dolce di G. Che idea balzana. Sarà il prosecco.

«Inizia a dare gas, così», sussurra lui, facendo pressione sulle mie dita. «Piano, brava, lascia la frizione...»

Ok, forse l'ho lasciata troppo di scatto. La Yamaha fa uno scatto in avanti e a me scappa un urletto. Con un gesto esperto, Giorgio la immobilizza di nuovo e torniamo con i piedi a terra. Mi batte il cuore e credo di aver provato un leggero panico.

«Meno male che avevo detto piano. Dai, ricominciamo.»

Ah, così, subito? Allora vuole proprio insegnarmi per bene. Il secondo tentativo è un buco nell'acqua come il primo, ma almeno stavolta non urlo, mentre il terzo va in porto. Riesco a farla partire e a fare addirittura tre metri!

«Ma sono fortissima!»

Mi congratulo con me stessa, non pensavo ci sarei riuscita. Una risata calda raggiunge le mie orecchie e volgo la testa all'indietro. Sfioro per sbaglio il naso di Giorgio e cerco i suoi occhi.

«Sono brava?»

Lui mi guarda con un'intensità che non mi aspetto. «Non c'è male, dai.»

«Non c' male?» obietto, un po' indispettita. «Ho talento!»

Sta per rispondermi a tono, quando una voce molto familiare urla il suo nome. Ci voltiamo entrambi verso mamma Guenda. Lei si accorge che siamo entrambi sulla motocicletta e che sul posto del guidatore ci sono io.

«Ma che succede, state uscendo? E da quando sai guidare la moto, tu?»

Non attende nemmeno che le diamo una risposta, ché parla di nuovo.

«Gio, mi devi preparare il caramello», dice tutto d'un fiato. Segue un momento di puro silenzio. Io e Giorgio ci guardiamo ancora, d'istinto. Di tutte le cose che aspettavo dicesse, questa era l'ultima.

«Maria ha preparato la torta, ma si è dimenticata di metterci il caramello sopra. Non posso mollare cinquanta invitati, puoi prepararlo tu?»

E ti pareva. Spero che mamma la prossima volta si ricordi di non prendere il dolce dalla Pasticceria Baresi. Io lo dico sempre e nessuno mi ascolta mai.

«Vado.»

Giorgio fa per scendere dalla moto. Sento una fitta nello stomaco, mi stava piacendo questa lezione di guida improvvisata. Torno anche io con i piedi per terra.

«Mi accompagni?»

Alzo gli occhi verso di lui. «Dove?»

«Come, dove? In cucina. Mi aiuti a fare il caramello.»

Sollevo appena le sopracciglia. «Io non so cucinare, lo sai.»

Lui mi fa l'occhiolino con un'aria idiota che mi ricorda molto Francesco Caselli e infatti penso che lo stia imitando, ma sorvolo. «Ti insegno io, no?»

Decido di stare al gioco. «Quindi oggi è la giornata del Prof Cavalieri? Quante altre cose puoi insegnarmi, caro Prof?»

Ok, non volevo che mi uscisse così. Non volevo usare questo tono. Volevo solo prenderlo in giro, non c'era alcun doppio senso, giuro. Ma tanto Giorgio non l'ha colto. Lui non coglie mai queste cose, però me lo ritrovo di nuovo di fronte. Abbassa la testa e avvicina la bocca al mio orecchio.

«Non sfidarmi, Emmina cara. Non sai quante cose so e posso fare.»

Si volta, senza nemmeno guardarmi. Riprende a camminare, diretto verso la cucina. Resto qualche secondo ferma, senza sapere che cosa fare. Poi, faccio l'unica cosa che paia avere senso: lo seguo. Che Dio me la mandi buona, o meglio, che mi faccia capire qualcosa, perché oggi, nel mio cervello, è tutto un casino. E non so se è colpa del prosecco.

***

«Attenta, devi mescolare sempre verso il centro, altrimenti si brucia lo zucchero. Vai, così va bene, non ti fermare.»

La posizione è simile a quella di prima, ma adesso siamo in piedi e non sto tenendo in mano un manubrio, ma un cucchiaio di legno. Giorgio non ha le dita sulle mie, mi osserva semplicemente, la forza del suo corpo dietro di me. Mi accorgo che sto sudando, anche se c'è l'aria condizionata accesa. Sento i capelli umidi dietro al collo e un turbinio di pensieri che mi vortica nel cervello, mascherato dall'attenzione che ci sto mettendo a mescolare questo caramello. Questa ritrovata sintonia mi stupisce e mi spaventa allo stesso tempo. Le ultime settimane sono state particolari e le nostre interazioni non sono state delle migliori. Da quando Anna se ne è uscita con quella storia assurda di Giorgio e Giada insieme, avendo pure l'ardire di farlo presente al diretto interessato, non sono più riuscita a stare nella stessa stanza insieme a lui per più di dieci minuti, per non parlare di quando abbiamo avuto l'incidente ai Navigli, da allora guerra aperta, o quasi. Oggi, invece, è tutto diverso. Oggi parliamo, ci tocchiamo, ricordiamo il passato, siamo gentili l'uno con l'altra. Quanto durerà? Il tempo di preparare questo caramello e poi di nuovo ai ferri corti? Vorrei tanto saperlo. Forse dovrei spegnere il fornello e lasciar fare a lui, lasciare che questa bolla permanga, senza rischiare che si rompa. Sarebbe più facile. È più facile mantenere lo status quo, senza cambiare nulla. Ma ormai è troppo tardi e avrei dovuto pensarci prima.

«Ok, possiamo spegnere.»

Il caramello è pronto. L'odore è delizioso e il colore sembra quello che ci si aspetta. Giorgio mi prende il cucchiaio dalle mani e dà un'ultima mescolata. Ne raccoglie un po' e se lo porta alle labbra, che poi lecca per togliere gli ultimi residui. Mi accorgo troppo tardi di averlo fissato per tutto il tempo.

«Ottimo», ammette, guardandomi. Le sue labbra sono lucide di zucchero. Ok, Emma, adesso guardalo negli occhi, da brava. Tossicchio e provo a sorridere.

«Voglio assaggiarlo anche io!»

Ok, lo so, ho usato un tono fastidioso da bambina di due anni, ma fa parte del gioco. Giorgio mi fissa e sembra rifletterci su.

«G, dai», piagnucolo con lo stesso tono, se non peggio. Cede subito e mi sorride, mostrando tutti i denti. Ne prende un po' con il cucchiaio, poi soffia, per evitare che mi ustioni.

«Attenta che scotta.»

Non so se lo fa apposta. Non so se intenzionalmente voleva buttarmelo addosso per farmi un dispetto oppure se è stato un incidente. Fatto sta che gli scivola il cucchiaio colmo di salsa appiccicosa dalla mano destra e me la ritrovo dappertutto. Sulla bocca, sul vestito, dentro la scollatura, persino sui capelli. Per fortuna non è bollente, anche se con questo caldo non è comunque l'ideale. 

«G!»

«Scusa, scusami!»

Sembra davvero dispiaciuto, anche se non si muove. È immobile dinnanzi a me, i nostri corpi a pochi centimetri di distanza. È così vicino che percepisco le lentiggini sottopelle. Sento il suo respiro sulla mia bocca piena di caramello. Non resisto e mi passo la lingua sulle labbra. Una scintilla passa negli occhi di Giorgio e una scarica attraversa il mio corpo. Mi sento la gola secca. Non so cosa mi stia succedendo, ma sento il respiro affaticato. Devo fare o dire qualcosa. Dai, Emma, puoi farcela. Di' qualcosa. Qualsiasi cosa.

«È buono.»

No, ok, non proprio qualsiasi cosa, magari. Mando giù della saliva che non c'è.

«Cosa?» chiede Giorgio, la voce più roca e, maledizione, sensuale che gli abbia mai sentito, o che forse abbia mai sentito uscire dalla bocca di un uomo.

«Il caramello», rispondo e mi sento la persona più cretina del mondo. Lui non muta espressione.

«Ah, certo.»

Di nuovo silenzio, carico di qualcosa che non riesco a identificare, o forse non voglio identificare. Le gocce di sudore mi scivolano dalla fronte. Sono un fuoco, una supernova, ho il petto talmente caldo che temo che a breve esploderà e non so quanto possa essere positivo. Lui è sempre fermo davanti a me e non accenna a muoversi. Il suo sguardo passa dai miei occhi, alle mie labbra, fino a scendere al mio seno. Oltre al caramello che ci è finito sopra e dentro, non mi ero accorta che questo vestitino si fosse abbassato così tanto sulla scollatura. In un momento di follia, immagino la testa di Giorgio in un luogo in cui non dovrebbe essere e il fuoco passa dal petto a molto più giù. Oddio. Devo fare qualcosa.

«G?» lo chiamo, a voce bassissima. Lui torna a guardare i miei occhi.

«Sì?»

«Dovremmo...»

«Cosa?»

«Dovrei... Cioè, pulirmi.»

Mi sembra logica come affermazione, non stiamo a sindacare, per favore. Lui sembra quasi sorpreso.

«Dici?»

«Eh, sono tutta sporca.»

«Eh, già. Dovresti...»

E allora alza la mano destra. Me l'avvicina alle labbra e le tocca con le dita, che poi si porta alla sua bocca. Penso di non riuscire più a respirare. Non ho più un pensiero che abbia un senso.

«Meglio?»

Stavolta non ci sono più dubbi. Nella sua voce sento dell'impertinenza, della provocazione, della voglia. Voglia di me.

«Em?» mi domanda ancora. Io inghiotto per l'ennesima volta a vuoto.

«Sì?»

«Dovremmo...»

«Dovremmo?»

Credo che il significato di tortura sia questo. Giorgio Cavalieri a due centimetri da me, le sue labbra che mi chiamano, il suo fiato dolce sul mio, il suo corpo imponente che ho bisogno di toccare.

«Spostarci», sussurra e per un attimo resto confusa. In che senso spostarci? Ci metto poco a capire. Una provocazione, l'ennesima. Trattengo un sorriso.

«Sì, dovremmo proprio», lo stuzzico. Lui, se possibile, si avvicina ancora di più.

«Già.»

«G?»

«Uhm?»

«Lo vuoi davvero?»

Giorgio sbatte le palpebre. «Spostarmi?»

«Eh.»

Ghigna. L'ho fregato, ma non gli dispiace. «No...»

E infatti non ci spostiamo, o meglio, lo facciamo, ma l'una verso l'altra. Prima si toccano le fronti. Piano, come se temessimo di sbagliare, di fare qualcosa che non andrebbe fatto, di farci male. Poi si toccano i nasi, le punte si sfiorano, quasi a stuzzicarsi. Le guance, le sue con quella peluria che mi dà prurito, ma mi piace. Poi, con lentezza estenuante, le labbra. Quello superiore e quello inferiore. Restiamo così, in apnea, fermi, il passato che ci si getta addosso e ricorda. Il corpo ricorda prima della mente. Tentenniamo immobili, alla ricerca del coraggio per andare avanti. Troppo a lungo.

«Emma, Giorgio!»

La voce di Isabella squarcia la cucina e squarcia anche noi. Come un fulmine, si mette tra di noi e ci separa. Giorgio fa un salto all'indietro e all'improvviso sento il vuoto.

«Ma che state facendo?» continua la voce di mia zia, avvicinandosi sempre di più. Quando entra in cucina, è tutto finito. Incrocia le braccia e ci fissa.

«Figa, ma quanto ci vuole a fare un caramello? Tua madre sta sbraitando da mezz'ora!»

«Sì, Isa, scusa», parla Giorgio e la sua voce mi sembra quella di un estraneo. Io non parlo, non so che dire. Zia mi guarda.

«Ma te lo sei buttata addosso?»

La guardo nella confusione più totale. Capisco troppo tardi che parla del caramello sul mio vestito.

«Sì», mormoro, finalmente. «Sì, mi è caduto addosso...»

Lei scuote la testa ricordandomi molto mia madre. «Dai, venite. C'è pure una cosa che dovete vedere...»

Giorgio si acciglia. «Cosa?»

Zia esita. Zia Isabella non esita mai. La cosa mi mette in allerta. La vedo sospirare.

«Riguarda il locale. Niente di grave!» si affretta a dire, notando le nostre espressioni. «Più che vedere dovete leggere. Dai, andiamo.»

Non ci sto capendo niente, più di prima. Isa esce e noi restiamo di nuovo soli. A malapena riusciamo a guardarci. Io non so ancora descrivere cosa sia successo.

«Andiamo, dai», dice lui. Mi limito a seguirlo, rimandando a dopo qualsiasi spiegazione. Forse dovrei bere dell'acqua. O del prosecco. 

Note di Greta ❤️

Non ho niente da dire, ciao, solo che ho caldo pure io. 

Adios ❤️

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