XIII - I can buy myself flowers.
Metti la cera, togli la cera.
Karate Kid
Il giorno dopo arrivo in ritardo. Non chissà quanto tardi, però, quando varco l'ingresso, sono già tutti dentro, Francesco Caselli compreso, che mi fa pure la battuta.
«Abbiamo fatto le ore piccole?»
Il sussurro giunge alle mie orecchie e mi fa scappare mio malgrado un sorriso. Sistemo la giacca sull'appendiabiti e lancio uno sguardo al diretto interessato, che ricambia incurvando appena le labbra verso l'alto. Ci siamo spostati nell'ufficio dietro la cucina, che più che un ufficio è l'unica stanza libera dove abbiamo potuto posizionare una scrivania, qualche sedia, i nostri computer e le scartoffie che la sottoscritta si sorbisce ogni giorno. Se avessi saputo che Giorgio avrebbe ficcato tutti qua dentro, avrei messo un po' in ordine. Spero che nessuno noti che nella busta accanto al cestino c'è il mio reggiseno fucsia che non trovavo da due giorni.
«Allora, ragazzi», inizia il mio socio, accanto a me, con il timbro caldo che lo caratterizza. Con un calcio netto, sposta la busta dalla quale esce fuori la spallina colorata dietro la scrivania. Perfetto.
«Dato che finalmente ci siamo tutti...» Mi lancia uno sguardo dei suoi che io ignoro. «Vi ho convocato qui per...» Si interrompe, dopo che a mia volta gli ho scagliato uno sguardo parecchio eloquente. «Vi abbiamo convocato qui perché ci siamo. Ora che Francesco si è unito al gruppo, la brigata è al completo.»
Quanto gli piace dire brigata e soprattutto, quanto è fiero di averne finalmente una tutta sua. Sotto sotto, anch'io ne sono fiera. Guardo i professionisti davanti a me. C'è Giada, perfetta nella sua divisa immacolata da sous-chef, Stefano, lo chef preposto alla preparazione dei secondi piatti, Erica, che nelle ultime settimane è migliorata così tanto al punto tale che Giorgio l'ha promossa a braccio destro della Farinelli, l'altra aiuto-cuoca Eleonora, Martino Conti e i suoi tre camerieri, e infine Francesco e Claudio, i due barman. Francesco è anche sommelier, non ne avevo idea. Non siamo moltissimi, anzi, forse non abbastanza, ma al momento è quello che possiamo permetterci. Non saprò cucinare, ma di come funziona una cucina capisco qualcosa: tre chef e due commis – termine tecnico per gli aiuto cuochi, sono brava, eh? – sono pochi, dovrebbero essere almeno il doppio. Abbiamo cento coperti, ma non sappiamo ancora se riusciremo a coprirli tutti, quantomeno all'inizio. Io mi occuperò di accogliere i clienti all'entrata e darò un supporto in sala quando serve, oltre a gestire la musica e il dopo cena. All'inizio, tutti dovranno aiutare tutti, dovrà esserci una collaborazione generale e sarà un periodo di forte stress, soprattutto per me e per Giorgio, che ci giochiamo tutto, non soltanto i soldi che abbiamo investito. Ho un pochino di ansia, ma non posso permettermi di farmi prendere dal panico, anche perché siamo già sull'orlo dell'isteria.
«Come ben sapete, l'inaugurazione è il 20 maggio, tra circa due settimane. Non ci saranno ferie, permessi, malattie che tengano: dobbiamo lavorare come muli per far sì che tutto sia perfetto per il giorno dell'apertura.» Fa una pausa a effetto, il cui risultato è quello di mettere un'ansia tremenda a tutti, me compresa. Guarda negli occhi tutti, a uno a uno. Mi rendo conto di trattenere il respiro. «Non deludetemi.»
E alla fine guarda me. Ma è serio? Pensa davvero che lo deluderei? Non faccio in tempo a indispettirmi troppo che ha già congedato la brigata e ognuno si è rimesso al lavoro. Giorgio torna alla sua postazione e io lo seguo perché ti pare che lascio correre.
«Non deludermi, hai detto, eh?»
Vedo il suo impegno. È palese, lo conosco troppo bene per non accorgermene. Sta facendo uno sforzo bestiale per non sollevare gli occhi al cielo.
«Ho detto "non deludetemi"», ribatte, riuscendo nell'impresa e incrociando le sue iridi scure con le mie. «Coda di paglia?»
Dall'alto della maturità dei miei ventisette anni, quasi ventotto, contraggo la faccia in una smorfia infantile e affermo: «Gnè, gnè.»
Sarebbe bello continuare questo confronto da adulti, peccato che un baccano proveniente dall'entrata giunge alle nostre orecchie.
«Enrico, a papà, non toccare niente che dopo Zio Giorgio si arrabbia!»
«E poi Emma si arrabbia con Zio Giorgio!»
Riconoscerei queste voci tra mille. Mi dimentico all'istante della diatriba in erba e mi precipito nella stanza affianco.
«Emmaaaaaa!»
Cinque anni appena compiuti, un metro scarso di altezza e capelli neri come il papà, Enrico Preziosi è il bambino più bello del mondo. Non ci sono obiezioni che tengano, lui è il più bello, il più bravo, il più intelligente di tutti. Non appena mi vede, il mio cuginetto mi corre incontro e si butta tra le mie braccia, pronte a sollevarlo in alto. Le sue, più corte e più paffute, circondano il mio collo, mentre io socchiudo gli occhi e mi godo il suo odore così buono e così familiare. Lui profuma di borotalco e di cioccolato al latte, quello delle barrette Kinder che ama mangiare e che gli regalo sempre di nascosto a sua madre.
«Enri, tesoro, evita di strozzare tua cugina, ci serve viva ancora per un po'.»
Una ragazza con i capelli come i miei, solo lunghi fino alle spalle, mi sorride e mi sfiora la guancia. «Ciao, nipotina.»
Più che una zia, Isabella è stata una sorella maggiore. Più piccola di mia madre Guendalina di sette anni, aveva poco più di dieci anni quando sono nata e non è che sia stata proprio la zia ideale. Mi portava sempre con sé quando si trattava di andare al cinema, alle feste, al bowling, a vedere la partite di calcetto di Giorgio, che era ed è tuttora il suo migliore amico, a mangiare schifezze, a quattordici anni mi ha persino trascinata in vacanza in Liguria con lei – ed è lì che penso sia nato il mio amore adolescenziale per la cannabis. Siamo sempre state molto legate ed è, insieme ad Anna, l'unica persona a cui ho sempre detto tutto. Va be, quasi tutto.
«Lo Chef Cavalieri non si degna di venire a salutare i suoi amici?» continua zia Isa, dopo aver rinunciato a strappare suo figlio dalle mie spalle.
«O sta ancora dormendo perché non ce la fa più a fare tardi?»
«Guarda che ti sento.»
I battibecchi tra Giorgio e Giovanni, che qualcuno ancora chiama "i Gio al quadrato" come quindici anni fa, quando erano inseparabili, un po' come me e Anna, non passano mai di moda. Ho sempre ammirato il modo in cui il Dottor Preziosi riesce a prenderlo in giro con classe, senza sfociare nella volgarità e senza mai perdere un colpo. Giorgio esce dalla cucina e ci raggiunge, la divisa bianca con le iniziali GC in bella vista sul colletto, perfettamente sistemato. Non appena Enrico si accorge della sua presenza, si stacca da me e con un salto si fa acchiappare da lui, pronto ad accoglierlo. Resto ferma come una scema, un po' offesa dall'essere stata messa da parte in così poco tempo. Lancio un'occhiata a quel traditore di mio cugino che mi ignora e continua a ridere nell'orecchio del mio socio, che deve avergli detto una cosa davvero divertente per farlo scompisciare così tanto dalle risate. Però quanto sono teneri, insieme. Il ricordo di noi come suoi padrino e madrina di battesimo, ormai poco più di quattro anni fa, mi appare davanti agli occhi e mi fa scappare un sorriso. Giorgio era appena tornato da Londra e i nostri rapporti non erano proprio idilliaci, però fu una bella giornata. Stava davvero bene con quel completo blu scuro.
«Oh, Emma, mi senti?»
Mi volto verso zia Isa, la quale mi ha chiesto qualcosa che mi sfugge. Sono costretta a farla ripetere, anche se so quanto lo odia, e infatti sbuffa.
«Come è andata la festa di Anna e Riccardo? Mi ha detto Guenda che è una femmina.»
«Ci dispiace essercela persa, ma stamattina avevo udienza alle nove», si unisce alla conversazione il suo compagno, il cui livello di coglionaggine nella vita è direttamente proporzionale alla sua capacità e serietà come Pubblico Ministero. Recupera suo figlio con prontezza, che ancora penzolava dal collo di Giorgio, e se lo mette sulle spalle, forse per evitare che tocchi qualsiasi cosa sia a portata di bambino diabolico di cinque anni.
«Di' pure che per tornare a Rho ci vuole mezz'ora e che non avevi voglia di guidare di notte», ricambia il favore il suo migliore amico, che ancora non l'ha perdonato per essersi trasferito in provincia. Giovanni gli lancia un'occhiata muta, poi alza gli occhi verso Enrico, intento a stirargli i capelli.
«Amore, al mio via attacca zio Giorgio.»
«Se non la smettete, non andiamo al McDonald's dopo.» Isabella rimette a posto il marito e pure suo figlio, il quale inizia a piagnucolare. «E comunque non ci vuole mezz'ora per tornare a Rho.»
«Dove è finita la tua vena salutista?» le domando, aggrottando la fronte. Fino a tre mesi fa costringeva tutta la famiglia a mangiare vegano e accusava mamma Guenda e Giorgio di cucinare esseri viventi e di contribuire al cambiamento climatico. Mia zia sospira con fare un tantino melodrammatico.
«Quando avrai un figlio di cinque anni ne riparleremo», mi liquida, e io ho il buonsenso di non ribattere. «Insomma, 'sta festa?»
Raccontiamo ai coniugi Preziosi-Casali i punti salienti del gender reveal, con dovizia di particolari, fino a quando non arriviamo al punto clou della serata. Quando Giovanni scopre il "provino" attraverso il quale abbiamo assunto Francesco, per poco non gli cade la mascella.
«Cioè, mi state dicendo che tu, Giorgio Cavalieri, lo chef, anzi, la persona più rompicazzo del mondo, hai preso il barman in questo modo?» Si volta a guardare me. «Quanti Negroni aveva bevuto?»
«Tanti», faccio la spia, beccandomi una gomitata. Ahia.
«Mi ha costretto Emma», ribatte il suddetto chef, e io gli pesto un piede.
«Bugiardo!»
«Va be', allora vuol dire che è bravo, no?» Isabella si mette in mezzo e blocca la risposta di Giorgio, che ho l'impressione sarebbe stata piuttosto tagliente.
«Molto», affermo con convinzione, sperando di non aver tradito alcuna emozione. Il mio socio non riesce a trattenere uno sbuffo, ma non commenta. Ciò non vuol dire che non sfugga a Giovanni.
«Che c'è, non sopporti che ti rubi la scena?» sghignazza, ma Giorgio non fa in tempo a ribattere. Il protagonista delle nostre chiacchiere appare in scena.
«Emma, scusa, puoi venire un att... Oh, buongiorno.»
Inutile girarci intorno: Francesco è un uomo in grado di catalizzare tutta l'attenzione su di sé quando entra in una stanza. È bello e sa di esserlo e il suo carisma irradia tutti quelli che sono intorno a lui. Sul suo volto si apre un sorriso seducente.
«Francesco Caselli, molto piacere.» Offre la sua mano a Isabella prima e a Giovanni poi, e quando si accorge di Enrico gli dà un buffetto sulla guancia. Mio cugino fa una smorfia e sposta la mano del barman dal suo viso, non gli piace essere toccato da persone che non conosce. Fingo di non notare il ghigno insolente sulla faccia di Giorgio. Certe volte si comporta come un adolescente. Poi sarei io la ragazzina.
«Io sono la zia di Emma», prende la parola Isabella, per farsi dire, come ogni santissima volta, che è impossibile che sia mia zia, è troppo giovane, sembriamo sorelle!
«Ho due madri molto giovani», intervengo prima che Francesco possa dire la sua, ignorando l'espressione indispettita di zia Isa. Mi rendo conto che lui non sa niente della mia famiglia. Di solito, quando le persone scoprono che sono stata cresciuta da due donne restano interdette e fanno delle domande inopportune. Al contrario, lui non mostra alcuno stupore.
«Notavo una certa bellezza in comune.»
Provolone. In effetti, io e zia Isa ci somigliamo parecchio. È la fotocopia di sua sorella, con gli occhi castani e allungati, il naso piccolo e gli zigomi pronunciati, e io ricordo molto la mia mamma biologica.
«Io sono il marito.» Il commento di Giovanni è superfluo, ma da bravo siciliano quale è, e soprattutto migliore amico di Giorgio Cavalieri, ha dovuto sottolineare il suo ruolo da maschio alfa, nonché il suo legame parentale con Isabella. Lancia uno sguardo poco amichevole a Francesco e io vorrei sotterrarmi. Il genere maschile è quanto di più cavernicolo esista nell'universo.
«Fra, avevi bisogno di qualcosa?» Cambio discorso e l'elettricità nell'aria si dissipa, o almeno si attenua. Francesco coglie la palla al balzo e mi guarda.
«Erica mi stava dicendo che non avete ancora trovato un nuovo fornitore di vino. Se vuoi, se volete,» aggiunge, lanciando un'occhiata di sbieco a Giorgio che non ha smesso un secondo di tenere gli occhi fissi sulla sua schiena, «posso chiedere in giro, ho un po' di contatti nell'ambiente.»
Non mi aspettavo questa proposta e rimango piuttosto perplessa. Anche se dopotutto Francesco è un sommelier, la sua potrebbe essere un'idea niente male. Siamo in alto mare per quanto riguarda la questione del vino: da quando Filippo ci ha mollati – o meglio: Giorgio gli ha dato il benservito senza troppe cerimonie – non siamo riusciti a trovare nessuna azienda agricola che ci soddisfi al cento per cento. Non vogliamo affidarci a un ingrosso qualunque, vogliamo il meglio. In realtà, considerato il livello di disperazione e la data dell'inaugurazione che si avvicina, io prenderei pure quello del supermercato, ma poi al mio socio viene un infarto e chi lo cucina il brasato al barolo con riduzione di melograno? E poi, per prepararlo, lo chef pretende il barolo di non so quale annata, quindi mica posso prenderlo all'Esselunga.
«E che tipo di contatti avresti?»
Lo scetticismo che traspare dalle parole di Giorgio è al limite dell'offensivo. Questa volta sono io a lanciargli il famigerato sguardo e per un attimo ho l'impressione che un accenno di vergogna si disegni sul suo viso. Ma è proprio un attimo e giusto un accenno. Francesco sembra non notarlo e solleva le spalle.
«Conosco un paio di aziende a Lucca con le quali ho collaborato che producono vino di altissima qualità. Posso fare una telefonata.» Si volta a guardare Giorgio. «Sempre se ti fidi.»
Ahia, eccome se l'ha notato. Le narici di quest'ultimo si stringono e le pupille diventano più nere del solito.
«Lucca è lontana, a livello logistico è troppo complicato.»
«Sono tre ore di macchina.»
Stiamo seguendo tutti questo scambio di battute col fiato sospeso, persino Enrico non parla più. Si fissano in modo truce e anche un po' ridicolo, finché, con mia enorme sorpresa, Giorgio sotterra l'ascia.
«E fa' questa telefonata, ma che sia una cosa veloce, il vino ci serve.»
Ha davvero mollato l'osso? Vedo Francesco stringere le labbra e non dire niente e lo ringrazio con gli occhi per aver evitato di ribattere. Sto per farlo io, con qualche frase di circostanza, quando zia Isabella mi anticipa.
«Bene, ora che avete finito di parlare di queste cose noiose, che ne dite se iniziamo a fare qualche foto?»
Otto paia di occhi – non quelli di Enrico che sta cercando di suicidarsi gettandosi dalle spalle del padre – si posizionano su di lei. Non appena tira fuori la reflex e il cavalletto dallo zaino enorme che aveva poggiato sul divanetto, capisco. Ci aveva annunciato che ci avrebbe sequestrato per le foto promozionali del locale da inserire nel profilo Instagram già online, ma ancora poco attivo. Al momento ci sono solo poche centinaia di follower e alcuni post che annunciano l'immediata apertura, ma, come i migliori social media manager insegnano, bisogna metterci la faccia, sia nostra, che dei piatti.
«Isa, adesso te lo scordi, io devo ancora insegnare il menù a tutta la brigata.»
Giorgio non è molto d'accordo con la campagna social, o meglio, non crede che bisogna puntare principalmente su quella. Ritiene che sia sufficiente un buon sito web, il passaparola, la pubblicità vecchio stampo. Io penso che non voglia finire su Instagram – o, non sia mai, in un video su TikTok - perché non ama mostrarsi in pubblico, ragion per cui la sua presenza social è quasi del tutto inesistente, fatta eccezione per le foto che ho messo io sul mio profilo.
«Gio, finiscila,» lo redarguisce Isabella, che ha già montato tutto, «andate a sistemarvi che non ho tutto il giorno!»
Quando fa così è uguale a mamma Guenda. Il mio socio soffoca un'imprecazione nemmeno troppo sottovoce e se ne va in cucina, seguito da tutti noi, che non osiamo fiatare. Scappo in bagno a dare un senso ai miei capelli e a ritoccare il trucco e quando torno zia ha già iniziato a scattare. Mi sono persa il momento in cui salutava Giada e spero che non cominci anche lei a enumerare le numerose qualità della rampolla della pasticceria Baresi. Essendo ancora mattina, la cucina è in ordine e c'è persino qualche piatto pronto, che Isabella userà come oggetto di una foto estetica con l'hashtag #foodporn, ma questa cosa meglio che Giorgio non la sappia, non voglio essere responsabile di un infarto di un uomo di soli trentotto anni.
«Dai, forza, tutti in posizione!»
Mia zia comincia a dare ordini a destra e a manca, a posizionare i cuochi e i camerieri l'uno accanto all'altra, vicino ai cibi, dietro i banconi, i barman con le bottiglie in mano – si sofferma su Francesco un po' troppo tempo, per i miei gusti, soprattutto a ritrarlo mentre fa quelle maledette acrobazie – finché non arriva a me e a Giorgio. Fino adesso ho trascorso il tempo a cercare di far sorridere quest'ultimo, che ha la stessa espressione che avrebbe se stesse per affrontare una colonscopia. Lo so perché una volta l'ho accompagnato a farla. È stato imbarazzante.
«Adesso una bella foto dei proprietari insieme!»
Ed eccoci qua. Guardo Giorgio e con gli indici delle mani sollevo verso l'alto gli angoli delle sue labbra, costringendolo in un sorriso inquietante che, con mia sorpresa, si trasforma in un accenno di uno vero.
«Scema», mormora, e so di aver fatto centro. Gli afferro il polso e lo trascino da Isabella, dandole l'autorizzazione a far di noi quel che vuole.
«Gio, forza, accostati a Emma e rilassa quelle spalle! Ora guardatevi negli occhi e sorridete, come se non aveste mai visto niente di più bello in vita vostra. Anzi, Emmina tesoro, metti la mano destra sulla spalla di Giorgio e tu, musone che non sei altro, sciogli quelle braccia conserte e metti la sinistra sul fianco della mia bella nipotina!»
Ok, non era così che avevo immaginato questa foto. Pensavo che sarebbe andata bene una semplice foto di noi due accanto, con espressioni fiere, magari con le braccia conserte. Non credevo che mi sarei ritrovata con le mani addosso al mio migliore amico.
«Amore della mia vita», prende la parola Giovanni, serissimo. Ha rinunciato a star dietro al figlio, che attualmente è impegnato a riordinare i contenitori di sale, pepe e spezie varie insieme a Erica, che mi ha rivelato di avere una grande esperienza come babysitter e in effetti se la cava piuttosto bene. «Perché vuoi far sembrare che stiano flirtando?»
Saggia domanda. Io e Giorgio ci guardiamo in modo eloquente, senza dire niente. Siamo davvero troppo vicini. Credo mi stia andando a fuoco la faccia, e non solo. La sua mano sul mio fianco mi sembra troppo calda e sento il suo respiro sulla fronte, è più alto di me di almeno venti centimetri e le sue labbra sono proprio lì. Il suo profumo è così forte che non riesco a respirare bene.
«Perché il sesso vende, Preziosi.»
Oh, Cristo santo. Mezzo secondo dopo, ci ritroviamo a un metro di distanza. Mi sento le chiazze di sudore sotto le ascelle e la parte bassa dei capelli umida, come se fossi appena uscita da una sauna. Dannazione, Emma, ricomponiti.
«L'hai fatta 'sta foto?» Giorgio sta guardando Isabella e mi rendo conto che ha la parte dietro del collo tutta rossa, fin sopra le orecchie. Allora non ero l'unica imbarazzata. Per tutta risposta, mia zia sbuffa e fa per parlare, quando i suoi occhi notano qualcosa. Solleva in fretta la Reflex e la punta verso Giada e Francesco, catturando il momento in cui i due si stanno scambiando delle parole, in quella che mi sembra intimità. Molta intimità. Cavolo se sono vicini, più di me e Giorgio prima. Il rumore frenetico degli scatti li fa sobbalzare e capiscono che tutti li stanno fissando. Le guance di Giada diventano rosa, mentre Francesco non appare per niente turbato.
«Oh, questa sì che è naturalezza», commenta zia Isa fissando la foto dalla macchinetta. «Non come voi due che siete così rigidi.»
Non dobbiamo chiedere a chi si sta riferendo. Quanto non la sopporto quando fa così.
«Abbiamo finito?» chiedo, auspicando a un un'unica risposta. La fotografa sospira.
«Sì, dai, ho un po' di materiale su cui iniziare a lavorare. Giorgio, mi devi mandare il menù completo, lo devo passare alla grafica per il sito web.»
«Te lo mando io», replico, perché tanto lui se lo scorda, come ogni cosa che non rientra tra i suoi interessi. E infatti, ha già richiamato tutti all'ordine e ha ripreso a dare le istruzioni e a comandare i suoi sottoposti a bacchetta. Accompagno Enrico e i miei zii fuori – anche se non ho mai chiamato Giovanni "zio" in vita mia – e prima che se ne vadano, Isabella mi prende in disparte.
«Scusami, ma Francesco quanto è bello? Sembra uscito da una rivista!»
Il suo tono malizioso mi mette in imbarazzo, di nuovo. Lo so che Francesco è bello, soprattutto oggi con i capelli arruffati, palese segno che stamattina non ha fatto in tempo a sistemarli. Gli danno un'aria selvaggia che trovo disdicevolmente arrapante.
«Eh, lo so», è il mio unico commento, piuttosto sospirato, che mostra senza vergogna i miei sentimenti e che fa scoppiare a ridere mia zia.
«Ah, ti piace, lo sapevo!» Con mio sommo orrore, inizia a saltellare sul posto come se fosse un'adolescente e non una quasi quarantenne. Il mio volto sta di nuovo andando a fuoco.
«Zia, abbassa la voce!»
Sto piagnucolando, ma a lei non importa, anzi, rincara la dose.
«Emma, non c'è niente di male se ti piace qualcuno, soprattutto se è un manzo del genere.»
No, zia Isa non ha mai avuto molti peli sulla lingua. Io socchiudo gli occhi, sfinita già da questa giornata.
«Possiamo smettere di parlarne? Grazie.»
È più forte di me, ma odio parlare di queste cose. Delle persone che possono piacermi, di relazioni, di sentimenti, soprattutto con Isabella. Avrà pure solo dieci anni più di me, ma è pur sempre mia zia. Dal canto suo, lei si avvicina ancora, i nostri nasi quasi si sfiorano. Ho quasi paura di ciò che mi sta per dire.
«E fatti dare una bella ripassata da quel pezzo di barman, amore di zia!»
«Zia!»
Impreco ad alta voce, ricordando Giorgio nei momenti migliori. Isabella scoppia di nuovo a ridere e io reprimo l'istinto di picchiarla. Incrocio le braccia e assumo un'aria offesa che rispecchia il mio stato d'animo, ma questo atteggiamento non la tocca. Termina la sua risata inopportuna e poggia una mano sulla mia spalla.
«Tesoro, dai retta a una che c'è passata già.» Indica con la testa un adorabile Giovanni che sta giocando con suo figlio e sembra estremamente interessato a quello che il bambino sta dicendo. «I maschi sono creature stupide. Francesco non riusciva a toglierti gli occhi di dosso. Fagli capire che anche a te interessa lui e il gioco è fatto!»
Non aspetta nemmeno che risponda e richiama all'ordine gli uomini della sua vita. Io li saluto tutti e tre, stritolandomi Enrico il più possibile, poi li guardo andare via. Non riesco a non pensare alle parole di mia zia. Francesco non riesce a togliermi gli occhi di dosso? Mi sembra un po' esagerato, al massimo può trovarmi carina, come io trovo carino lui. E comunque non mi piace Francesco Caselli: io non ho tempo per un ragazzo, soprattutto per questi giochetti. Tra qualche settimana aprirà il locale e Dio solo sa quante cose abbiamo ancora da fare, figuriamoci se posso stare dietro alle chiacchiere di Isabella.
Rientro in cucina. Giorgio sta parlando con Giada ed Erica, chissà di cosa – mi pare di udire la parola "caviale" – Martino e i suoi camerieri non ci sono, mentre Francesco... mi sta guardando. Da quando sono entrata. E sta sorridendo. Per l'ennesima volta in poche ore ho di nuovo caldo, ma non ci faccio troppo caso. Incrocio i suoi occhi e sorrido anche io.
Oh, mamma mia, mi piace Francesco. E adesso come faccio?
Note di Greta
Scusate il mostruoso ritardo, ma purtroppo ho finito i capitoli pronti e tutto il resto è un work in progress. Spero che la storia vi stia piacendo, perché stiamo per entrare nel vivo.
Enjoy! E alla prossima!
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