33. La parola 'fine'
Alla fine Freya aveva deciso, di comune accordo con Riccardo, di soprannominare il micio Grisù — come il draghetto pompiere — perché oltre a non essere una femmina e non potersi quindi chiamare Margherita, questo le aveva fatto pipì sul tappeto da yoga.
Uscendo di casa per andare alla festa degli alpini con Riccardo, Freya l'aveva lasciato a dormicchiare sul cuscino del suo letto. Gli altri inviti di Diego erano stati declinati con dei no piuttosto evasivi.
Salì sulla Opel nera di Riccardo con un bel sorriso in volto, il trucco ben fatto e l'outfit più femminile che fosse riuscita a mettere insieme. Con la coda dell'occhio notò soddisfatta Riccardo squadrarla da capo a piedi. Non le disse nulla, non commentò in modo ironico come era solito fare — piuttosto si allungò sul sedile per darle un bacio. Ingranò la prima, le poggiò una mano sul ginocchio, e partì.
Piazza Sant'Anna non era mai stata tanto affollata. O almeno di ciò si convinse Freya mentre, tenendosi per mano, osservavano sfilare gli Alpini. Ogni tanto Riccardo sollevava un braccio per scattare una foto ai militari, ogni tanto per attirarla a sé per il fianco e raccontarle aneddoti sulle precedenti edizioni.
Era uno spettacolo vederlo così emozionato, ricordava un bambino davanti al cartone animato preferito; Freya credeva di star avendo accesso a una parte di lui che non tutti avevano l'occasione di vedere.
Le Frecce Tricolore volarono sopra le loro teste, lui le osservò con bocca aperta, a momenti si dimenticò addirittura della sua presenza. Fu solo quando si sedettero su un marciapiede, gelato in mano, che le pose la prima vera domanda diretta del pomeriggio.
«Allora? Il verdetto finale?»
Freya si finse pensierosa per punzecchiarlo un po'.
«Beh, alla location do dieci, all'accompagnatore invece...»
«Dieci più.»
«Il "più" è per la modestia, ovviamente.»
«Corretto.»
Riccardo trattenne a fatica un mezzo sorriso, stirò le labbra per costringersi a mantenere la sua intramontabile espressione arrogante. Si guardarono negli occhi e Freya si piegò di lato per rubargli un bacio che lui le concesse volentieri. Quando Freya fece per ritrarsi, lui la seguì per non fermarlo.
Erano come due adolescenti mentre pomiciavano in mezzo a tutta quella gente, e a Freya mi tornarono alla mente le sagge parole di sua madre: "l'amore ci rende sempre un po' bambini".
Il gelato iniziò a colare sulle sue dita. Freya ridacchiò contro le labbra di lui, piegate a loro volta in un sorriso a pochi centimetri dalle sue. I loro occhi si scontrarono, prima che quelli di Riccardo scivolarono sul tessuto a fiori del suo abito primaverile.
«Proprio bello questo vestito.» mormorò. «Non vedo l'ora di lanciarlo sui sedili posteriori della mia macchina, questa sera.»
«Ah, sì?»
Riccardo le passò la mano libera tra i capelli per discostarglieli dal viso, il palmo caldo le accarezzò la guancia.
«Oh, sì. Voglio pensarti così tutte le volte che mi metterò alla guida per andare a lavoro.»
Freya sostenne il suo sguardo.
«Mi sembra un'ottima idea.»
Il freddo del gelato che cola sembrò finalmente ricordargli dove si trovavano. Riccardo si leccò le dita prima di ricominciare a mangiarlo. La gente passeggiava loro davanti, del tutto ignara del programma della serata o del discorso appena concluso. Dopo appena qualche minuto, fu Riccardo a riprendere la parola.
«Ci pensi che a quest'ora avresti potuto essere qui con Diego, invece che con me?» le domandò all'improvviso, quasi il pensiero gli sia rimbalzato nella testa per tutto questo tempo.
«Non ci ho pensato finché non me l'hai detto tu, ora.»
Distolse lo sguardo per portarlo di nuovo sul cono gelato.
«Io sì.» borbottò. «Avresti dovuto essere più diretta, più cattiva.»
«Non voglio farlo soffrire.»
Le palpebre gli si assottigliarono per il fastidio.
«Non vedo dove stia il problema: tu gli piaci, ma non corrispondi. Succede.» scrollò le spalle. «Digli chiaro e tondo che non ti interessa e falla finita. Non mi piace che vada avanti a ronzarti attorno.»
Magari fosse così semplice.
Sarebbe piaciuto tanto anche a Freya poter uscire da questa situazione con un semplice: "mi spiace, non provo nulla per te", ma la verità era che Diego le sembrava troppo fragile e vulnerabile al rifiuto. Doveva anche riconoscere, suo malgrado, di aver commesso svariati passi falsi nel percorso: tanto per dirne uno, aveva tirato questa storia troppo per le lunghe, e ora si sentiva costernata all'idea di provocargli questo dolore. Aveva paura di mettere a repentaglio l'amicizia che li legava.
«Questo non posso farlo.» sospirò.
«E perché mai?»
«Perché è mio amico, Riccardo.»
Riccardo si bloccò un attimo quando si rese conto del modo in cui Freya aveva scandito il suo nome, come a volerlo invitare a tacere. Ma lui non si diede per vinto.
«Non cambia le cose: dovresti dirgli di no in modo spiccio.»
«Ho già commesso l'errore di non stroncarla sul nascere. Io ho sbagliato e io troverò il modo di rimediare; perciò, ti chiedo di non intrometterti. Gli dirò tutto nel momento e nel modo più opportuno.» concluse risoluta.
«Ah, sì? E quando arriverà questo momento più opportuno?»
«Quando avrò trovato le parole e i modi migliori per dargli la batosta!»
«Beh, allora auguri. Nel caso non l'avessi ancora capito, quello là non riesce a leggere tra le righe. Continuerà a farti una corte spudorata finché tu non gli spezzerai il cuore.»
«Non se troverò le parole gius—»
«Non esistono le parole giuste, Freya!»
Freya si sentì graffiare dal suo tono furioso, in netto contrasto con la maschera apatica che si era calato sul volto. Sentì le narici tremarle.
Le parole giuste devono esistere. Era sicura che Riccardo non stesse parlando in modo oggettivo e che volesse solo metterle fretta.
«Puoi fare tutte le ricerche che vuoi, ma un rifiuto rimane un rifiuto, indipendentemente da quanto tu lo voglia ricoprire di miele. Stai solo rimandando l'inevitabile.»
«Lascia. Fare. A. Me.» scandì lei a denti stretti. «E poi con che faccia vieni a farmi queste prediche da ragazzino geloso, quando non hai nemmeno il coraggio di parlare di me con nessuno?»
Riccardo si immobilizzò. L'aveva colpito.
Alcuni passanti lanciarono loro occhiatine curiose, attirati dalla lite in atto.
«Non è la stessa cosa.»
«Sì, che lo è!» ribatté Freya. «Io voglio aspettare il momento giusto per dirlo a Diego, tu per dirlo ad amici e parenti. Avanti, se è così semplice come dici, perché non lo fai oggi?»
«Ho detto che voglio aspettare.»
«Sei un ipocrita.»
La incenerì con lo sguardo, restituendole un'espressione così fredda, che le sembrò di essere ritornata indietro di mesi, quando ancora la disprezzava e la vedeva solo come un'intrusa in casa sua. Il balzo nel passato le fece male. Arrivata a questo punto credeva — e sperava — che mai avrebbe più dovuto scontrarsi con questa sua versione, che avessero finalmente messo da parte ogni divergenza e che avrebbero finalmente potuto passare del tempo assieme come amici o come coppia; invece ora Freya si ritrovava al punto di partenza, solo con più rammarico e meno voglia di lottare.
«Metti caso che io adesso me ne torni a casa, raduni la mia famiglia in salotto e glielo dica... lo sai che comunque, finché tu non metterai a posto il tuo amichetto del cuore, noi due dovremmo continuare a nasconderci mentre siamo in giro, vero?!»
Verità.
«Perciò, Freya, qui ritorniamo sempre alla stessa solfa: se davvero vuoi renderla pubblica, devi prima dare il ben servito a Diego. Io sarò l'ipocrita, ma non ti rendi nemmeno conto di star partecipando anche te a questo disastro.»
Fu come se fosse appena detonata una bomba.
Questo disastro.
Freya lasciò che la sua definizione riverberasse nella sua testa, isolò tutti i restanti rumori di sottofondo.
«"Questo disastro"?!» scandì allibita dopo un primo momento di pausa. «Davvero lo trovi un disastro?! Allora sai che ti dico? Poniamogli rimedio.»
«Che intendi dire?»
«Finiamola qui!»
Non lo voleva davvero, ma la rabbia era troppa e le parole le uscirono di bocca prima che potesse applicar loro una censura. Non voleva che la loro storia — o qualsiasi cosa intercorresse fino a poco prima — finisse in questa maniera o così presto, non voleva ritornare al periodo in cui si odiavano, ma non poteva nemmeno ignorare la definizione che Riccardo le aveva dato.
Un disastro.
E a Freya chi lo faceva fare di spendere tempo ed energie per un disastro?
Riccardo serrò la mascella in modo talmente stretto, che per un momento Freya temette potesse farsi saltare i denti. La guardò freddamente, la maschera ben ancorata sul viso come se gli fosse stata inchiodata sopra. Quando parlò, la voce di Riccardo fu altrettanto gelida.
«Bene. Ma poi non dire che sia stata solo colpa mia se non ha funzionato.»
«Portami a casa e basta. Non voglio più stare qui.»
E sebbene Freya non fosse stataesplicita, il resto della frase aleggiava sospeso nell'aria: non voglio piùstare qui con te.
*musica drammatica*
Capitolo super breve e messaggio altrettanto breve: quanto siete pronti per il finale?
- 3!
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