32. Signorina F
Rebecca era la versione femminile di Diego. Era incredibile.
Vederli parlare era stato come assistere al chiacchiericcio di due bambini, più che di due adulti. Ma non era questo ad aver colpito Freya: Diego aveva diretto un discorso con una donna, una sconosciuta peraltro, senza inciampare nelle sue stesse parole. Gli avrebbe tirato una pacca sulla spalla.
L'indomani mattina, in un momento di calma, Freya si era seduta alla sua fidata reception ad ascoltare Radio Bergamo. Sembrava il preludio di una giornata qualunque.
«E rieccoci qui con la radio-servizio, gente. Inviateci i messaggi che vorreste passare a un amico, un amante, il vostro capo...» stava dicendo il conduttore radiofonico. «Oggi abbiamo un messaggio importante da trasmettere, ascoltate bene.»
Freya tese distrattamente un orecchio mentre scarabocchiava su un post-it giallo canarino di sottomarca.
«Ciao, Radio Bergamo.» iniziò il messaggio vocale del ragazzo che aveva risposto all'appello del presentatore.
Che strano, sembrava proprio la voce di Riccardo. Freya per un istante temette di essere talmente cotta da aver iniziato ad avere le allucinazioni. Posò la penna per ascoltare con più attenzione.
«Volevo dire alla signorina F che la prossima volta che mi ruba il sellino, si pente e me lo restituisce a domicilio con il passamontagna, dovrebbe fare molta attenzione a non essere vista. Mia madre l'ha quasi denunciata.»
E qui Freya per poco non ebbe un infarto.
Sembrava proprio la voce di Riccardo perché quella era la voce di Riccardo.
Quante altre signorine F nei pressi di Bergamo potevano aver avuto la sua stessa idea? Il pensiero di essere quasi stata segnalata alla polizia come ladra la fece sudare freddo. Si passò i palmi umidi delle mani sulle gambe per asciugarseli.
Dopodiché una seconda considerazione le attraversò la mente: l'immagine del ragazzo che con la sua faccia di bronzo si presentava in ufficio, la interrogava sulla stazione e, dopodiché, le faceva mille moine per distrarla.
Che bastardo!
Il signor Gigi abbandonò il suo ufficio per andare in bagno.
«Oh, Freya! Hai sentito che roba?» le domandò ridendo e indicando l'altoparlante.
Freya si sforzò di far uscire una risatina forzata.
Che roba essere finita sulla radio.
Aspettò che questo si fosse chiuso dentro la stanza del gabinetto per impugnare il cellulare e scivolare inosservata fuori dalla porta — per quanto il segnalatore acustico glielo consentisse. Si affrettò a chiamare Riccardo. Questo le rispose dopo neanche due squilli, quasi si aspettasse di ricevere quella telefonata.
«Tu sei fuori di testa.»
«Preferisco creativo, grazie.» gracchiò la sua voce divertita.
Questa era stata la sua battuta. Precisa e identica.
Fissò inebetita le piastrelle scheggiate del muro. Ecco com'era arrivato a lei: glielo aveva detto Margherita! Stava già meditando di farle trovare il Muro completamente vuoto per rifarsi.
«Da quanto lo sapevi?»
«Quanto tempo fa mi hai rubato la sella?»
«Che so, non ho tenuto il conto. Due settimane, forse.»
«Allora due settimane.» replicò lui con immediatezza. «Come sono tornato a casa, mia madre mi ha riferito di aver visto una ragazza scura di pelle lasciare qualcosa sulla soglia. E poi ho ricevuto un aiuto da terze persone.»
In effetti Freya aveva pensato a coprirsi il viso, ma non le braccia. Quante persone mulatte si contavano a Valle d'Arnosio? Solo lei. E sarebbe stato molto difficile credere che qualcuno da un altro paese avesse rubato un sellino e, a distanza di giorni, avesse indovinato la casa precisa a cui renderlo.
«Sono stata una stupida.»
«Oh, sì. Puoi dirlo forte. Però mi hai rallegrato la giornata, te lo devo riconoscere.» ammise Riccardo.
Si era lasciato scappare una risata; Freya aveva premuto più forte il cellulare all'orecchio, come se ciò servisse a sentire quel suono più forte. Avrebbe voluto rispondergli che considerato come era andata a finire, aveva già trovato il modo di farsi perdonare, ma voltandosi verso l'ufficio notò qualcosa che non le piacque affatto: Diego con la faccia premuta contro il vetro della porta d'ingresso. Non appena gli occhi di lei incrociarono i suoi, il collega si ritirò per far finta di nulla.
Inquietante. Semplicemente inquietante.
«Ti devo lasciare.» annunciò con tono piatto.
«Eh?!» domandò allarmato Riccardo. «Ma ta set 'nciucà?»
Non parlando bergamasco, Freya non aveva capito nulla. L'apprensione nella domanda del ragazzo era papabile, e non le ci volle un grande sforzo per capire che questo avesse preso in parola la sua affermazione.
«Ma non in quel senso, stupido! Ti devo lasciare perché devo tornare a lavoro!»
«Aaah, d'accordo. Non farlo mai più.» concluse il ragazzo, con tanto di sospiro sollevato.
Il campanello di casa sua suonò per due volte consecutive con due trilli corti e ravvicinati. Margherita, occupata a salutare il sole in mutande, si voltò verso la porta — ma prima ancora che potesse fare alcuna domanda alla coinquilina, si vide piovere addosso la maglietta che prima della sessione aveva poggiato a una sedia.
«Vestiti.» le pronunciò Freya, perentoria — e si precipitò alla porta.
Non l'aveva dato a vedere, ma contava i minuti sin da quando era rincasata. Questa attese che Margherita si coprisse le grazie, prima di far girare la chiave nella serratura e affacciarsi al pianerottolo. Dall'ascensore nuovo uscì Riccardo, armato di cappello da pescatore e occhiali da sole per non farsi riconoscere.
«Ti ha visto qualcuno?»
Riccardo sfiorò la stoffa del copricapo con un dito e le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso soddisfatto.
«Mi sono travestito apposta.»
«Un travestimento eccellente, non ti avrei mai riconosciuto.» lo derise lei.
Dopodiché si fece da parte e Riccardo, dopo essersi pulito le scarpe sullo zerbino, entrò in casa. Le prese il viso con ambo le mani e le depositò un bacio sulle labbra. Margherita li guardava dal salotto, le braccia incrociate al petto asciutto, poggiata al bordo del tavolo da pranzo rotondo.
«Ciao, Marghe.»
«Avrei scommesso di più sulla mia dipartita, rispetto a che vedervi insieme.»
«È il tuo modo di salutarmi?»
«Mi hai mandato all'inferno il Muro, è già tanto che non ti abbia ucciso.» borbottò di rimando lei.
Freya s'inserì sbuffando.
«Non hai un posto dove andare?»
«Fammi capire: mi stai sfrattando dalla mia stessa casa?»
«Ti sto sfrattando dalla tua stessa casa.»
«Ma non scherzare! Quando torno da lavoro voglio solo mangiare e rilassarmi, mica andarmene a zonzo per—»
Il campanello suonò ancora. Tutti e tre si scambiarono una serie di sguardi confusi.
«Aspetti qualcuno? Tipo Gigi o...»
«No. E tu aspetti qualcun altro?»
«No.»
Gli occhi di entrambe andarono a Riccardo.
«Non guardate me, questa non è nemmeno casa mia.»
Con ultimo sguardo allarmato, Freya andò a rispondere al citofono.
«Sì?»
«Freya, aprimi! Sono Diego, ho una sorpresa per te!»
Aveva paura. Anche perché le sembrava davvero troppo emozionato. Mimò in labiale il nome del collega: Margherita accentuò lo sguardo perplesso, a Riccardo per poco non caddero le braccia.
Il problema era che non poteva intimargli di andarsene, ma al tempo stesso non poteva nemmeno permettersi di farlo salire per non fargli vedere Riccardo. Che scusa si sarebbe inventata se, una volta raggiunto l'uscio di casa, questo avesse voluto entrare?
«Diego, sono un po' impegnata...»
«Sarà veloce, promesso!»
Non aveva altra scelta, se non scendere e vedere di che avesse bisogno. Andando contro a ogni protesta del geometra, Freya si infilò nell'ascensore.
Diego la aspettava raggiante davanti al portone d'ingresso, tra le mani reggeva un gattino. Freya strabuzzò gli occhi, se li strofinò come se ciò potesse servire a farli svanire entrambi. Quando il collega la vide spalancarli, le porse la bestiola con un sorriso ancora più largo.
«Tieni.»
Per quattro secondi buoni, Freya fu a corto di parole.
Il gracchiare del citofono la fece ridestare: qualcuno — con ogni probabilità Riccardo — stava origliando per assicurarsi del buon proseguire della conversazione.
«Ma... non so cosa dire, oltre a che non dovevi.»
Non doveva proprio. Anche perché la storia dell'andare al gattile per adottare un animaletto da compagnia era una balla colossale e perché Margherita l'avrebbe ammazzata. Ma come poteva rispondergli in questo modo?
In fondo al suo cuore, oltre alla papabile difficoltà, poteva sentire anche una sorta di tenerezza nei suoi confronti: gli aveva detto di non poter andare con lui alla festa degli alpini per un motivo e lui, per contro, glielo aveva eliminato senza pensarci su. Se avesse detto di volere la luna, Diego gliela avrebbe regalata solo per vederla felice.
Un principe azzurro sul suo maestoso cavallo bianco, ma Freya aveva già iniziato a far la corte all'antagonista. Le tornò alla mente quella volta in cui, appresa l'antipatia di Riccardo, si fosse domandata come mai il cattivo fosse sempre così attraente.
«Mi avevi detto che non potevi uscire con me perchè dovevi andare al gattile, così ho pensato di farti una sorpresa e prendertelo io, il gatto.»
Maledetto il giorno in cui gli aveva rifilato quella bugia. Freya si sforzò di sorridere anche se in realtà voleva solo piangere.
«Quindi—»
Un rumore assordate proveniente dal citofono li fece sobbalzare entrambi; una mossa strategica di Riccardo per impedire che lui la invitasse di nuovo, la ragazza avrebbe messo entrambe le mani sul fuoco.
Si strinse il tenero micietto al petto e, tra un suo miagolio e l'altro, Freya si lasciò scappare una risatina imbarazzata.
«Ti ringrazio, Diego. Sei stato proprio gentile. Ti farei salire per un caffé», altro boato gracchiante, condito da quella che sembrava un'imprecazione di Margherita, «Ma sono proprio impegnata e non posso fermarmi oltre.»
E prima che Diego potesse ribattere, schizzò su per la tromba delle scale. Riccardo la aspettava sull'uscio con la porta spalancata.
«Se volevi un gatto potevo accompagnarti io a prenderlo.» esordì lui con arroganza.
Freya lo guardò come se fosse scemo.
«Io non volevo un gatto, Riccardo.» replicò lei con un certo nervosismo. «Volevo solo declinare l'invito senza spezzargli il cuore.»
Dietro di lui c'era Margherita, nera in volto e con le mani sui fianchi. Non guardava lei, ma il cucciolo.
«E adesso che ce ne facciamo di un gatto?»
Si era posta quel quesito anche lei mentre Diego, felice come un bambino la mattina di Natale, le porgeva la bestiola. Di certo, però, l'opzione di renderlo indietro era da escludere. Non poteva nemmeno darlo a qualcun altro, perciò la soluzione era soltanto una:
«Lo curiamo.»
«Ma sporca.»
«Non più di quanto già non faccia tu, Margherita.»
«Va' all'inferno.» replicò lei, con tanto di gesto indicativo.
Si voltò per tornare in salotto mentre Riccardo, dopo una carezza al micio, richiuse la porta alle spalle di Freya. Sembrava meno turbato dal regalo improvviso che dal fatto che arrivasse da Diego, forse perché non sarebbe toccato a lui pulirlo e sfamarlo. Non le aveva nemmeno posto mille domande in proposito perché, ascoltando dalla cornetta, aveva già sentito tutto quello che c'era da sentire. L'unico commento fatto era inerente alla sua perenne gelosia.
«Come lo chiamerete?» chiese loro.
Freya lo guardò in volto, dopodiché sbirciò verso la coinquilina.
«Perché non "Margherita", visto che mi renderà la casa un porcile come fai sempre tu?»
Margherita la fulminò con lo sguardo.
«Va' al diavolo.»
«Non all'inferno?»
«Ciccio, non ti ci mettere pure tu.» Margherita minacciò Riccardo.
Per la prima volta, Freya diede una carezza sul capo del suo nuovo gatto. Era grazioso, aveva due belle iridi verdi e un manto tigrato. Al tocco, questo sollevò la testa ed emise un altro flebile miagolio. Gli grattò il mento e lui allungò il collo per incoraggiarla a continuare. Neanche due minuti prima avrebbe pianto per la disperazione, ora si sentiva quasi contenta che Diego glielo avesse dato in dono.
Cercò Riccardo: li stava osservando entrambi; all'incrociare del suo sguardo, le sorrise calorosamente e si avvicinò per passare una mano sulla schiena morbida dell'animale.
Ecco, ci mancava solo il gatto. Freya parla tanto di Diego, ma è un disastro pure lei. Sarebbe bastato parlare in modo chiaro sin dall'inizio, e invece...
Bando alle ciance: - 5
Lily
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