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"Se pensi che a Parigi aspettino te, principessa, è meglio che torni a casa ora."

Mi giro verso la voce e incontro due occhi castani che mi guardano con un pizzico di ironia. La ragazza di prima, la stessa che stava affiggendo qualcosa alla bacheca della segreteria, ha un sorrisetto sghembo e le mani infilate in una felpa grigia. La lunga coda di cavallo mette in risalto un viso allungato e delicato, in netta contrapposizione con il modo con cui si atteggia. Ha il tipico comportamento di chi si aspetta di avere il mondo ai suoi piedi.

«Sei italiana?» è la prima domanda che mi sfugge di bocca. Non "che cazzo vuoi?", né "ma che stai dicendo, aspettare me? Ma chi vuole che i francesi aspettino me". Nonostante a pelle non mi piaccia come si atteggia, il fatto che mi abbia parlato in italiano mi dà speranza. Posso ancora trovare una soluzione a questo casino.

«Più o meno» risponde lei, con quel suo accento vagamente strascicato, francese. Si stringe nelle spalle. «Sono originaria di Lugano, ma vivo a Parigi da un po'.»

«Vivi a Parigi da un po' e stai ancora in una residenza universitaria?» farfuglio, stringendo le maniglie delle mie valigie.

Lei sorride e si sporge in avanti. Richiama l'ascensore, il suo braccio mi sfiora un fianco. «Non ci vivo, non più» replica. Poi, non appena le porte dell'ascensore si aprono, si infila dentro e mi guarda con aspettativa. «Scendi pure tu, giusto?»

La sua domanda mi getta nello sconforto, perché ha ragione. Io non ho niente da fare, qui, perché nessuno mi ha voluto far fare il check-in. Sono ufficialmente senza fissa dimora, in una città che non conosco.

Voglio morire.

«Sì» mormoro controvoglia, facendo un paio di passi. Mi ritrovo presto nello spazio angusto dell'ascensore con la ragazza. È alta quanto me, ma mi guarda come se mi superasse di almeno due metri.

Ludovica, devi chiamare qualcuno. La residenza, il Crous...

Voglio morire, per due.

«Sei qui per studio?» mi chiede la tipa mentre l'ascensore si ferma al primo piano e un nuovo ragazzo si stringe con noi. Mi ritrovo faccia a faccia con la sconosciuta.

Annuisco. «In teoria, sì...»

«Sorbonne? Polytechnique?»

«No, no. Un museo.» L'ascensore raggiunge il piano terra e il ragazzo davanti a noi sguscia via.

«Un museo? Sei un'artista?»

«Più o meno...» rispondo io, e mi accorgo di aver echeggiato la sua affermazione di prima proprio mentre il suo sorriso sghembo si accentua.

Mi lascia uscire dall'ascensore e mi segue. «Beh, figo.»

«Figo, ma l'inizio non è dei migliori...» Mi fermo davanti al cancello della residenza, il telefono in mano. Recupero il numero del Crous e inizio a chiamare, ma il telefono squilla a vuoto. Nessuno risponde e io inizio a seccarmi – avessi per le mani qualcuno di loro, in questo momento me li mangerei. Possibile che non si degnino di rispondere? Vogliono davvero lasciarmi senza una stanza fino a domani? Dovrò prendere un hotel, cazzo.

Un peso mi scende nel petto. Ho i soldi contati e il portafoglio già piange.

La ragazza di prima si è avvicinata a una parete dall'altro lato dell'ingresso e ha raccolto alcune cartacce da una cassetta della posta.

«Ma vivi qui o no?» domando io, perché per essere una che in questa residenza "non ci vive, non più", avere addirittura una cassetta della posta...

Lei solleva lo sguardo su di me. Una ciocca castana le ricade sulla fronte quando scuote la testa. Storce le labbra in una smorfia mentre cerca palesemente di trattenere una risata. «Vuoi la verità?»

Eddai. Mo' sono pure curiosa. Mi maledico per quel che sto per dire. «Se me lo chiedi così, sì.»

La ragazza soffoca una risata. Indica la cassetta. «Questa è della mia ex» spiega, sollevando poi le cartacce che ha recuperato. «E queste sono di un'altra ex. Le recupero prima che possa scoppiare una bomba.»

Una ex, e un'altra ex.

Il suo atteggiamento strafottente inizia ad avere senso, e anche la sensazione a pelle che avevo avuto quando mi è spuntata dietro al piano di sopra.

È una di quelle. È una stronza.

«Non è un po' illegale spulciare nella posta della tua ex?»

«Ho le chiavi, eh.» Me le agita davanti al naso. «Me le ha date lei.»

«Te le ha date prima o dopo che vi siete mollate?»

La ragazza rimane in silenzio per alcuni secondi, poi si sfiora il mento come per pensare a una risposta. «Ho la sensazione tu non voglia davvero saperlo.»

Probabilmente ha ragione.

«Antisgamo, proprio.»

Lei ridacchia e io alzo gli occhi al cielo. Fantastico – sono qui, senza una fissa dimora, senza un posto dove dormire, e in compagnia di una traditrice che viola la legge rubando la posta della sua ex.

Un inizio con i fiocchi, Ludovica. Non c'è che dire.

Fisso lo schermo del mio cellulare, sconsolata. Poi faccio per cercare alberghi in zona. La tipa non si è mossa, non accenna a volersene andare e, per di più, mi guarda fisso.

Dopo un po' che scrollo vari hotel, mi sento ancora il suo sguardo addosso. Le lancio un'occhiataccia semi disperata. «Hai bisogno di qualcosa? Vedi che la ex potrebbe tornare da un momento all'altro» sbotto.

Lei trattiene un altro sorriso e indica il mio cellulare con il mento. «Cerchi un hotel?»

«Prima rubi la posta alla tua ex, e ora mi spii il telefono?»

«Se lo tieni piegato così, l'occhio cade.»

«Solo l'occhio di un'impicciona.»

La ragazza scoppia in una risata e la sua voce è calda e profonda. Non vorrei, ma purtroppo avvampo e mi mando a cagare da sola. Ludovica, cosa diciamo sempre? Non si reagisce alle stronze, cazzo! Smettila subito.

Mi ricompongo a fatica e la ragazza si avvicina. Si ferma a un passo da me e posso quasi sentirne l'odore. Si sta sporgendo verso lo schermo del cellulare. «In questo periodo gli hotel costano un occhio della testa.»

«Me lo dici tanto per infierire?» ribatto sarcastica. Questa tipa avrà anche una bella risata, ma tira fuori informazioni a dir poco inutili.

«Volevo dire che se hai bisogno, conosco un posto dove puoi risparmiarti qualche euro» chiarisce, poi punta un dito verso una delle mie valigie. «E se vuoi ti ci porto.»

Rimango imbambolata per alcuni secondi, mordendomi le labbra. La sua offerta, però, è abbastanza allettante da convincermi ad annuire.

Non le lascio la valigia, però. «Per quanto ne so vuoi scipparmi.»

«Non penso mi rincorreresti, carica come sei. Se volessi scipparti, l'avrei già fatto.»

Non ha tutti i torti. La fisso titubante per un minuto prima che lei sgrani gli occhi, prendendomi ancora di più in giro. «Guarda, tieni» dice poi, e mi porge le lettere delle sue ex. Me le infila nella tasca della giacca. «Se scappo con la valigia, hai il permesso di tornare a darle a Valerie Chancel

Abbasso lo sguardo dove la sua mano ancora sfiora le lettere, e quindi la mia giacca. Sono a Parigi da qualche ora, e già sono nelle mani di una sconosciuta che mi promette l'America?

O per meglio dire, la Francia...?

Stringo le labbra mentre realizzo che, però, lei ci perderebbe quasi quanto me a prendermi in giro. Per questo, le porgo la valigia e faccio un passo indietro. Con la mano libera copro la carta delle lettere, guardandola con cautela. «Vedi che ci vado davvero, da Valerie.»

Lei sorride. «Ottima scelta, principessa.»

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