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Capitolo 3

Accettare l’invito di quel ragazzo, probabilmente, è la cosa più stupida che avessi mai fatto, ma anche la più sensata. La verità è che non capivo se avevo fatto la scelta giusta o quella sbagliata. Comunque il danno era fatto, quindi tanto valeva continuare, no?

Anche se non ero molto convinta di abbandonare le mie amiche, sembrò quasi la cosa più facile del mondo. Il ragazzo mi si avvicinò di più mentre camminavamo uno al fianco dell’altro. -Per la confusione e la fretta non mi sono nemmeno presentato.- Si fermò non appena mi vide rallentare. -Io sono Derek e sono particolarmente felice di essermi scontrato con..-

-Camilla, e penso la stessa cosa.- Non mi fece finire la frase, che aveva già ripreso a camminare verso.. Già, verso dove? Non sapevo nemmeno dove stavamo andando, questo preludeva che sarebbe stata una serata intensa, o forse era solo un calcolo sbagliato della mia razionalità. Di certo non si preannunciava una serata monotona.

Camminavo accanto a Derek con il suo stesso passo, ogni tanto sbirciavo nella sua direzione, ma mi voltavo di scatto, senza nemmeno avere il tempo di vederlo per intero, per paura che notasse questo mio comportamento. In realtà io non ho mai amato le sorprese,e quest’occasione non era certo diversa dalle altre, ma c’era qualcosa che mi spingeva a non pronunciare un sola parola, qualcosa che non riuscivo a comprendere. Sentire il suo respiro a meno di un metro da me era una sensazione indescrivibile, la regolarità con cui inspirava ed espirava, il modo in cui ogni tanto si voltava distratto da chissà cosa, erano tutte cose che mi attraevano. La verità è che ogni cosa di lui mi affascinava, perfino le cose più stupide e banali. Non avevo mai creduto all’amore a prima vista, ma questa circostanza era diversa, forse per una volta poteva essere l’eccezione alla regola, sempre ammesso che anche lui provasse lo stesso, altrimenti era tutto inutile. Un sentimento non ricambiato è inutile, non ha senso che esista.

Ad un certo punto girò per un vicolo, e aumentò l’andatura. Facevo fatica a stargli dietro, ma non mi lasciavo certo demoralizzare, non quel giorno. Si fermò davanti una cabrio nera nuova di zecca, infilò la mano nella tasca destra, e ne estrasse un mazzo di chiavi.

La sua guida era veloce, come dire, spericolata, ma c’era qualcosa di strano, di diverso. Non avevo paura. Non ero mai stata una di quelle ragazze che non temono nulla, quelle con coraggio da vendere che non si lasciano intimorire da niente e da nessuno, ma in quel caso non riuscivo a provare timore. Non potevo perché l’unica emozione che provavo era soddisfazione, la soddisfazione che finalmente qualcosa stava andando nel verso giusto nella mia vita.

Derek guardava fisso la strada e un sorriso ogni tanto gli illuminava il viso. Com’era bello, non avevo mai visto niente di simile in vita mia. Qualcosa in lui mi diceva che non era il tipo che ha sempre il sorriso stampato in faccia, è questo mi piaceva. Non era nemmeno uno di quei cattivi ragazzi che ti affascinano quando tu sembri l’unica a renderli “buoni”. Non era nemmeno uno di quelli che sono sempre dolci e gentili con tutti, quelli col tempo diventano noiosi. Invece lui era diverso, speciale, nessuno era come lui. Non ero ancora sicura di che tipo fosse, ma ero certa che non esisteva nessuno come lui, nessuno alla sua altezza.

Naturalmente non potevo stare tutto il tempo a fissarlo, quindi il mio sguardo si posava spesso fuori. Dal centro pieno di vitalità e colori della città, ci stavamo spostando verso la periferia, però verso una parte in cui non ero mai stata. La mia città è molto grande quindi, spero che nessuno mi biasimi perché non conosco ogni singolo vicolo. Comunque Derek sembrava proprio sapere dove stava andando, quindi decisi che non era il caso di preoccuparmi. Pensai così, almeno finché non ci inoltrammo in un quartiere in cui non ero mai stata per ovvie ragioni. Uno di quei quartieri in cui spacciatori, ladri e pedofili circolano liberamente, un quartiere malfamato. Uno dei posti più pericolosi della città, ed era anche quello in cui la gente per bene non metteva piede.

I pali della luce erano quasi tutti rotti, i ripetitori per i cellulari fuori uso, niente polizia per almeno un raggio di mezzo miglio, niente farmacie o qualunque altra cosa che garantisca la salute. Le case diroccate si ammassavano le une addosso alle altre, ai piedi di esse ogni tanto c’era qualche barbone che si stringeva nella coperta. Una vista orribile per una come me, che conoscevo solo la parte bella del mio mondo, che sì, avevo sentito parlare di cose simili, ma vederle con i propri occhi è tutta un’altra cosa.

Derek guidava, quasi serenamente, certamente era abituato a vedere quella scena, ma si capiva perfettamente che gli faceva male ugualmente ogni volta che passava di lì. Io non riuscivo a capire perché mi avesse portato in quel posto, che senso aveva una cosa del genere? La mia confusione sembrava non voler cessare, anzi, continuava a aumentare.

Girava ad alcuni incroci, ed angolo dopo angolo io perdevo il senso dell’orientamento, di certo senza di lui non sarei mai riuscita a uscirne viva. Quando la strada cominciò a stringersi, rallentò, poi senza alcun preavviso spense il motore e scese dall’auto.

Io feci lo stesso e a quel punto un insieme confuso di sensazioni, odori e suoni mi invasero. Per tutto il viaggio i finestrini dell’auto erano rimasti chiusi, e adesso che ero tornata all’aria aperta, che era molto diversa da quella di prima, tutto era differente. Non riuscii molto a fare caso a ciò che mi circondò subito fuori dall’auto, perché Derek non me ne diede il tempo. Mi portò qualche metro più in là, c’era un’insegna a pezzi accanto alla porta, alcune lettere non c’erano più, e la cosa che più mi faceva ammattire era che non ci stavo capendo niente. Spinse la porta e mi condusse giù per le scale che vi erano di fronte. Gli scalini, in legno, sembravano ammuffiti e molto pericolosi, ma Derek mi tirava così veloce che non ebbi il tempo di preoccuparmi.

La prima cosa che mi colpì dell’ambiente in cui mi condusse furono gli odori, a parte l’odore di ammuffito, che in fondo non si sentiva così tanto, quello che prevaleva era la puzza di fumo, e dei vari tipi di alcolici che probabilmente erano stati serviti da non troppo tempo. C’era anche un lieve odore di erba mischiato a tabacco e non so che altro, perché c’erano anche strane fragranze che non avevo mai sentito. Il pavimento era liscio e scivoloso, probabilmente per via di alcuni drink versati o solo di pochi schizzi che accumulati lo rendevano anche leggermente appiccicoso. Qualche vecchia trave di legno, scheggiata in vari punti,  invadeva lo spazio circostante. In un lato un lungo bancone si estendeva per tutta la distanza di due pareti, era anch’esso zeppo di incisioni e scalfito in ogni modo esistente. Degli sgabelli, messi molto male, si innalzavano verso il bancone, alcuni erano anche leggermente pendenti a destra o a sinistra, e a prima vista sembravano molto instabili. Dietro il bancone si poteva scorgere la vasta “collezione” di alcolici, sistemati in modo scomposto nei vari scaffali. Alcune bottiglie erano rovesciate, altre rotte o semplicemente vuote. A sinistra del bancone, subito di fianco alla scale c’era una grande porta, probabilmente la cucina, che forse era ancora più mal ridotta di tutto il resto. Per non parlare del bagno, che era dalla parte opposta del bancone, non mi passò nemmeno lontanamente nella testa il pensiero di metterci piede. Derek  mi stava conducendo verso i pochi tavoli che si ammassavano in fondo. Attraversammo un piccolo spazio vuoto, quello che un tempo doveva essere stato la pista da ballo, infatti al centro di essa pendeva una vecchia sfera da discoteca, probabilmente utilizzata per l’illuminazione durante le serate. A sinistra, proprio dalla parte opposta rispetto al bancone, si ergeva un piccolo palchetto destinato alle band o ai dj.

Infine c’era qualcosa di particolarmente inusuale per un luogo del genere, dei vecchi lampadari di cristallo, ricoperti da uno spesso strato di polvere si abbassavano dall’alto soffitto, presumibilmente non venivano usati da oltre un secolo, ma non si capiva il motivo per il quale non erano stati rimossi. Di certo erano l’unica cosa che non quadrava in quel disegno vecchio e inguardabile.

La sedia che mi ritrovavo davanti era ricoperta di polvere, avrei tanto voluto pulirmi prima di accomodarmi, ma non volevo sembrare snob o qualcosa del genere, agli occhi di Derek. Infatti, dopo che lui si sedette, io non attesi molto per fare lo stesso, anche se nel preciso istante in cui stavo compiendo quell’azione pensavo già al momento in cui avrei dovuto fare i conti con i pantaloni sporchi. Comunque, una volta seduta non pensai molto al futuro, diciamo così, l’unica cosa che riuscivo a fare era concentrarmi sul presente, anche se visto da fuori poteva perfino apparire strano.

Per un tempo che non so dire, rimasi immobile a guardare Derek come non avevo mai guardato nessuno altro. Sembrava tutto così bizzarro, ogni cosa: quel posto, il viaggio, il nostro incontro, gli odori, i suoni, che tra l’altro in quel momento non si riuscivano a percepire, e addirittura Derek, le cose più singolari che avessi mai avuto il piacere di vedere, o di vivere, erano raggruppate in quel giorno. Non ne capivo il motivo, né riuscivo a comprendere perché mi stessi facendo tutti quei problemi in testa. Forse era perché non stava accadendo quello che mi ero aspettata nel momento in cui avevo accettato l’invito, ma in fondo ,cosa importava?

In quel momento, per la prima volta da quando ero entrata in quell’ambiente, cominciai a sentire della musica. Era vecchia, non riuscivo a distinguere la canzoni o la band, ma ero certa che fosse vecchia, e anche di averla già sentita. Al sottofondo della musica si aggiunse un altro rumore, dei passi, provenivano dalle mie spalle, avrei tanto voluto voltarmi, ma non lo feci. Vedendo lo sguardo calmo di Derek, puntato nella direzione dalla quale proveniva il rumore, riuscii a tranquillizzarmi anch’io. A quel punto un uomo entrò nel mio campo visivo. Era basso, di corporatura robusta, il viso rotondo era coperto da una lunga barba, ma aveva un’aria simpatica. Derek in quell’istante si alzò, e lo salutò, io nel dubbio rimasi ferma a guardare.

-Derek, quanto tempo che non ti si vedeva da queste parti.- La sua voce, profonda e calma, sembrava.. felice.

-Da molto direi, scusami, sono stato impegnato.- Cercò di giustificarsi lui.

-Oh, non ti preoccupare. Comunque, ci sarà tempo per parlare un po’, vero? Forse ora è meglio che vi lasci da soli.- Stava già andandosene, quando sembrò ricordare qualcosa di importante. -Cosa vi porto? Il solito per due?-

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