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SOTTERRANEI

JULIAN

La vidi camminare lungo il corridoio con il suo solito passo sicuro in contrasto con il suo sguardo, al contrario, insicuro.
Aveva le mani leggermente tremolanti e lo sguardo vagante che si posava sugli arredi e sul viso di Alessandro.

Perché continuava a fissarlo? Cosa aveva di tanto bello?

Vedevo le sue labbra rosee muoversi creando suoni a me inudibili. E ciò mi urtava tremendamente. Come un pugnale che lentamente mi inchiodava alla parete. Mi sentivo così imprigionato dalla sua immagine impressa nella mia mente che non potevo muovermi o scacciarla perché mi avrebbe fatto male, mi avrebbe fatto sanguinare.

Mi passò accanto e finalmente distolse lo sguardo da quel bamboccione biondo.
La guardai negli occhi e mi incantai. Ne avevo viste a vagonate di ragazze ma mai nessuna con il suo sguardo, così forte e fragile allo stesso tempo. Mi sembrava come un oggetto caro e prezioso da proteggere, la sentivo mia come non avevo mai sentito nient'altro.

La voce di mia madre mi risuonò nella mente, mi stava accarezzando la guancia e mi guardava con i suoi occhi ghiaccio. Avevo preso tutto da lei.
<<Quando troverai l'amore lo capirai... il tuo cuore batterà>> mi disse sussurrando sdraiata sul lettino di ospedale.
<<Mamma ma io amo solo te>> gli risposi ingenuamente
<<Trova una ragazza che ti accarezzai come sto facendo io, che ti sappia leggere dentro, figliolo. Ama e sii amato, solo questo ti potrà salvare...>>

Queste furono le sue ultime parole, quelle che ancora adesso mi erano rimaste impresse nella mente, indelebili.
Mi passò accanto e il suo profumo inebriò le mie narici. Poteva essere lei? Non poteva... non lei. Non quella che avrei dovuto odiare. La mia nemica.

<<Hei>> mi salutò con uno dei suoi enormi sorrisi tanto rari.
Potevo suscitare anche emozioni positive? Qualcuno poteva essere felice nel vedermi?
Non mi capacitavo del fatto che una ragazza semplice come lei avesse potuto attirare la mia attenzione in modo così esponenziale.
<<Ricordati>> le risposi scappando da lei e dal suo sguardo.
Avevo paura di quello che avrebbe fatto dopo aver sentito il discorso di Nidhoggr.
Non dovevo aspettarmi nulla di buono, ma l'avevo in pugno. Doveva ricordarsi ciò che le avevo detto, avevo disobbedito a un sacco di regole per lei ma non me ne ero mai pentito. Doveva ricordarsi delle parole che avevo pronunciato, doveva ricordarsi.
Avevo svolto bene il mio compito, in fondo.
Forse avevo fatto qualcosa di più.

Era cresciuto un germoglio nel deserto del mio cuore e come una stella lo illuminava di una luce calda e piacevole. Quegli occhi facevano battere il mio cuore e quelle mani che accarezzavano la mia guancia mi davano brividi lungo la schiena. Quelli che mia madre mi aveva detto di cercare...

Dovevo aspettare la Luna Rossa per far fuoriuscire tutti i miei sentimenti, dovevo aspettare che lei fosse completamente dalla nostra parte. Ora era troppo pericoloso.
Mi dava un fastidio tremendo ammetterlo, ma dovevo lasciarla con Alessandro. L'avrei riavuta al mio fianco quando la sua anima fosse diventata completamente nera.
Nera come la mia.

Io prima non ero così, assolutamente.
La mia anima era bianca e lucente ma la gioia della mia infanzia fu velocemente scambiata con l'odio e il dolore dell'adolescenza.
Mio padre sembrava un brav'uomo ma non lo era. Sotto quella scorza di bello e buono si trovava un mostro, un verme senza cuore.
Quando perse il lavoro e non avevamo più soldi neanche per mangiare iniziò ad addebitarsi e a bere. Mi odiava, come non aveva mai odiato nient'altro, tranne la vita forse. Mi vedeva come il motivo dei suoi problemi e per quello mi picchiava ogni giorno, ogni ora, appena poteva, appena ero a portata di schiaffo.
E così faceva anche a mia madre, la violentava sia da ubriaco che da sobrio, ma quando beveva tanto arrivava perfino a riempire il suo corpo di lividi violacei che avevo ancora stampati nella mente.
Avevo quattordici anni, una sera aveva esagerato. Stava minacciando mamma con un coltello.
Lei era l'unica luce nelle mie giornate, non poteva abbandonarmi, non per causa sua. Mi prese dal basso ventre una rabbia repressa che fuoriuscì da me con una tale potenza da spaventare me stesso.
Lo spinsi dalle scale e cadde rotolando, rovinosamente, su se stesso.

Era morto.
Finalmente eravamo liberi.
Scappammo di casa prendendo l'essenziale, come due fuggitivi che riuscivano finalmente a scampare alla prigione.
Ci rifugiammo in un ostello nel quale mamma lavorava a tempo pieno così da guadagnarsi la cameretta che ci avevano assegnato.
Vivemmo contenti per qualche mese, poi lei si ammalò. Passai l'anno seguente a rubare, a lavorare in nero cercando di raccattare più soldi possibili per le cure.
Non servì a molto.
Un tumore la divirava giorno dopo giorno e la sentivo sfuggirmi dalle mani come sabbia al vento.
E così fu, mi ritrovai da solo senza una meta o destinazione, senza un punto di riferimento, senza una strada o senza uno scopo.
Ma sapevo che dentro di me non c'era più del bene o del bianco.
Era rimasto la desolazione completa. Qualcosa di indispensabile mi aveva abbandonato per sempre.

Inutile.
Così mi sentivo.
Fino a quando incontrai Edith e Alan.

Arrivai alla mia camera di corsa ed entrai sbattendo la porta.
Mi ritrovai davanti ad una figura austera.
Era vestitita con un vestitino attillato nero, stivali alti fino al ginocchio del medesimo colore e i capelli bianchi sparsi sulle spalle.
<<Ciao fratellino>> mi salutò sedendosi sulla sedia girevole delle scrivania.
<< Sorellina, come mai questa visita?>> chiesi stendendomi sul letto con le mani sotto la testa. Dovevo mostrarmi il più impassibile possibile.
<<Sono venuta solo a farti compagnia>> rispose lei muovendo la mano circolarmente. Faceva così quando mentiva.
<<Non raccontarmi balle, di cosa vuoi parlare? >> chiesi tagliando la testa al toro.
<<Adele>> mi guardò negli occhi.

La profondità dei suoi nero pece contro la freddezza dei miei azzurro ghiaccio.
<<E?>> chiesi sottointendendo il fatto di andare avanti
<<Dimmi perché eri con lei>> mi ordinò
<<Quando scusa?>> chiesi perdendo tempo
<<Venti minuti fa, nella sua camera. Prima che arrivassimo noi a prenderla. >> specificò.

<<È il mio compito>> annunciai serrando la mascella.
<<La tua missione è finita, lei è qua. Dovresti smetterla.>>
Non seppi cosa rispondere, allora mi accontentai di fissare il soffitto che da un momento all'altro era diventato molto interessante.
<<Tu la ami.>> esclamò alzandosi
<<Ma cosa ti viene in mente?>> chiesi alzandomi a mia volta dal letto avvicinandomi a lei.
<<Si vede dai tuoi occhi, Julian. Ti avevo detto di stare attento! Ti avevo detto di non cadere nelle sue grinfie, ma tu hai fatto tutto di testa tua!>> urlò arrabbiata.

Come poteva permettersi di insultarmi così? Come poteva anche solo immaginare che ciò che provavo fosse sbagliato? Come faceva a non vedere la sua purezza?
<<Non puoi capire cosa stia provando, cosa sento quando lei è con me. Non mi interessa contro chi dovrò lottare. Lei sarà mia e io suo. Ma forse tu non puoi capire, non hai mai provato una sensazione simile...>> sibilai a denti stretti sputando veleno a raffica.

Lei si avviò verso la porta. La aprì e fece per uscire ma prima si girò dicendomi <<Sappi solo che potrai andare contro tutti, ma non contro di lei. Il nostro padrone le sta svelando il piano e tu sai come ne hai fatto parte. Sarà sempre tua dopo questo?>> chiuse la porta lasciandomi annegare tra i miei pensieri.

ADELE

Spalancai le porte in mogano, di Alessandro nessuna traccia.
Meglio, non avrei mai voluto mi vedesse con le lacrime agli occhi. Stavo per cedere, il cuore mi faceva troppo male. Era stato schiacciato, calpestato, pugnalato troppe volte. Non aveva più la forza di battere. Anche la piccola speranza che Ilaria fosse viva mi stava abbandonando.

Ne valeva la pena? Tradire la mia squadra? Rischiare per la mia vita e anche quella di mia sorella? Credere alle parole di Julian?

Speravo mi venissero a prendere, ma mi rendevo conto che sarebbe stato praticamente impossibile.

Le donne innamorate sono più facili da comandare... quella teoria mi frullava nella testa distruggendo tutti i castelli di carta che mi ero fatta.
Lui non voleva me. Voleva il mio potere, la mia discendenza, il mio sangue.
Tutto quello che mi aveva detto era falso, tutto quello che aveva provato era falso, tutto quello che mi aveva dimostrato era falso.
Io mi ero raccomandata di non farmi imbambolare da lui, ma al cuore non si comanda.
Mi ero innamorata perdutamente ma non ne sarebbe valsa la pena. Come al solito avevo fatto la scelta sbagliata, mi aveva illusa, delusa e usata.
Peggio di così a una ragazza non si poteva fare.

Meritavo qualcuno che mi amasse veramente. E lui non lo aveva mai fatto. Le sue carezze, i brividi, le parole dolci... non valevano nulla. Solo l'ordine di una missione.
Io non ero una persona, sembravo un oggetto. Pronto all'uso e veloce da scartare e buttare.

Mi appoggiai al muro cercando di riprendere fiato, quello che avevo trattenuto per non so quanto tempo. Una paura profonda mi imprigionava ancora lo stomaco e anche il tremolio alle gambe e mani non accennava a fermarsi.
Se non avessi obbedito a quello che mi diceva lui, avrebbe ucciso Ilaria. Non avrei potuto sentire il peso di un'altra morte sulle spalle. Ero una marionetta in balia degli eventi, ero nelle sue mani senza alcuna difesa o diritto.
Sarei dovuta tornare in villa come una ladra e rubare i frutti, nel dungeon, quelli che proteggevano l'intero edificio.

Non potevo farlo, li avrei lasciati in balia del nemico.
Ma se non l'avessi fatto mia sorella sarebbe morta e mi avrebbero fatto del male.
<<Cosa?>> sussurrai prendendomi i capelli scappati dalla treccia e tirandoli con forza.

Rimasi lì ferma, immobile, mentre nella mia testa si combatteva una guerra su due fronti.
All'improvviso delle voci.
Erano familiari: una era sicuramente Edith, accompagnata dal rumore dei suoi tacchi. L'altra era quella pacata e dolce di Alessandro.
Camminavano per il corridoio vicino al mio, li seguii. Chissà dove mi avrebbero condotta. Riuscii a captare pezzi della loro conversazione.

<<Marta e Alessia sono già nei sotterranei, dobbiamo andare a scambiare un Mutato.>> spiegò Edith e Alessandro rispose con un solo cenno della testa.
Entrarono in una stanza aprendo delle porte sulla destra, li seguii senza farmi sentire.
Il vento era forte all'esterno e anche la pioggia prepotente copriva i miei passi rumorosi.

Entrammo in una biblioteca, era bellissima ed enorme. Gli scaffali arrivavamo fino al soffitto a volta con vari rosoni colorati. Libri sia nuovi che vecchi mi osservavano dagli scaffali impolverati.
La moquette rossa attuativa il rumore delle mie scarpe.

<<Pronto?>> chiese Edith rompendo il silenzio
<<Certo, andiamo su >> disse di fretta all'altro.
Edith spinse un libro con la rilegatura nera e si aprì un tunnel nel pavimento che si allungava, non sapevo fin dove, grazie a una scala a chiocciola.
Entrarono nella cavità e prima che il tunnel si chiudesse entrai anch'io.

Le torce illuminavano la strada. Ebbi difficoltà a camminare a causa degli scalini in pietra levigata dalle troppe persone che ci avevano camminato sopra.
Cercai di fare il più silenziosamente possibile ma il cuore mi batteva a mille e avevo paura che qualcuno potesse sentirlo e quindi scoprirmi.

Sentivo la sua presenza, Ilaria era lì. Ne ero sicura.
Finalmente avrei capito cosa combinassero quei pazzi scatenati. La domanda su quale fosse il loro piano mi premeva da tanto tempo e finalmente potevo ricevere delle risposte.

Sentivo le voci dei due pedinati che si allontanavano dalle scale a chiocciola nelle quali ero ancora ranicchiata.
Udii delle urla potenti e strazianti, del movimento, una botta e un corpo che veniva trascinato.
Mi tappai la bocca per non urlare. Cosa stava succedendo?
Sentii una porta sbattere e finalemente mi decisi ad uscire dal mio nascondiglio.

Mi ritrovai in un corridoio lunghissimo che si diramava sia alla mia sinistra che alla mia destra. Lungo le pareti erano posizionate della gabbie, una dietro l'altra fino al muro in fondo che era occupato da una porta. Probabilmente quella che avevo sentito sbattere prima.

Mi avvicinai a una cella con le griglie di ferro. La luce non arrivava benissimo e quindi non riconobbi subito la figura al suo interno.

<<Adele...>> sussurrò la figura avvicinandosi alle sbarre.
Si appoggiò a queste circondandole con le mani.
<<Giulio?>> chiesi con un misto di preoccupatezza e tristezza.
<<Sono io, devi stare attenta.>> mi ammonì
<<Cosa ci fai qui? Perché ti hanno portato e rinchiuso qua dentro? Cosa hanno in mente? Mia sorella?>> iniziai a bombardarlo di domande.
<<Abbassa la voce. >> iniziò lui pacato e sussurrando. Annuii aspettando risposte mentre gli acarezzevo la guancia contenta di vederlo.
<<Sono qua perché ti conosco bene, come lo sono tutti gli altri. Adele, so la tua storia e so che lotterai per la causa giusta. Ci sono finito in mezzo, sfortunatamente, ma sono felice di rischiare per te. L'unica che mi abbia mai capito veramente... >> lacrime dolorose gli solcavano le guance.

<<Non piangere, va tutto bene...>> cercai di consolarlo invano.
<<Non va affatto tutto bene. Stanno effettuando degli esperimenti su tutti noi. Il padrone vuole trasformarci tutti in viverniani grazie a dieci trasfusioni del suo sangue. Non tutti se la cavano perché bisogna essere molto forti per sopravvivere. Il suo piano è questo: creare un esercito di persone che hanno la forza necessaria da resire al sangue di viverna e quindi da esserlo. >>
<<Ma che senso ha? Come si fa ad essere così pazzi?>> chiesi non ricevendo risposta. Non si poteva dare una risposta.

<<Non è colpa tua, Adele. Siamo qua perché crediamo in te. >> mi incoraggiò lui sempre sorridendo.
<<Quante trasfusioni hai fatto?>> chiesi prendendogli il braccio e notando che era di un nero pece inquietante, mi salii un conato di vomito.
<<Sei, ma reggo abbastanza.>> mentì.
Mi baciai il palmo della mano e gliela appoggiai alla guancia.

<<Tua sorella è nell'ultima cella opposta alla porta nera.>> mi spiegò sorridendomi e tornando a nascondersi all'ombra.
<<Grazie, tornerò e vi salverò tutti quanti.>>

Camminavo per il corridoio e vidi solo facce amiche. Consunte e doloranti appese alle sbarre.
Ognuno di loro una storia, una vita, un destino che aveva permesso che si intrecciassero con il mio e quindi a una fine lenta e terribile.
Il mio cuore ricevette un'ulteriore stilettata quando le loro mani cercavano di accarezzarmi, come saluto in silenzio.

Non dovevamo salutarmi.
Avrebbero dovuto odiarmi per averli messi in quel casino.
Ma i loro occhi, non mi guardavano con paura, erano pieni di coraggio.
E ne infusero anche a me.

Corsi verso l'ultima cella.
<<Lilly?>> chiamai sperando fosse ancora lì, che non me l'avessero portata via per sempre.
<<Adele?>> la sua voce mi arrivò all'orecchio forte e decisa. Il sangue pompava velocissimo e l'adrenalina era al massimo.
<<Ilaria, ti hanno fatto del male?>> chiesi con la gola secca
<<No, ma mi hanno minacciata. E poi rinchiusa qui dentro. Sapevo saresti venuta.>> mi sussurrò lasciandomi un bacio sulla guancia.
<<Resisti puzzola mia. Amor vincit omnia, ricordatelo. Tornerò a prenderti, tu non mollare >> le raccomandai prima di uscire da quel tunnel infernale.
Sentivo le voci vicine di Edith e Alessandro tornare su. Il tunnel era aperto e scappai fuori.

Arrivai alla mia camera e mi cacciai sul letto. Ero stremata sia fisicamente che psicologicamente.
Era viva e quello era importate.
Dovevo risolvere quella situazione, ci stavano andando di mezzo troppe persone.
Qualcuno bussò alla porta.

Chi sarà mai?

#angoloautrice: ciao a tutti! Come state? Come vi è sembrato il capitolo? Chi avrà bussato alla porta? Cosa succederà nel sotterraneo ? Adele come farà per la sua missione? E con Julian? Mentre Sofia e gli altri? Cosa staranno facendo? E in villa si aspetteranno un attacco a sorpresa? Continuate a seguirmi, tanti commenti e stelline, alla prossima <3

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