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PRIMA NOI

JULIAN

I raggi deboli e mattutini entravano timidi attraverso l'enorme vetrate della villa.
Il nostro padrone aveva deciso che la nostra "stazione di controllo" si sarebbe trovata proprio lì, in una bellissima ed enorme villa su una collina nascosta dal folto del bosco.
Posai la sciabola con cui mi stavo allenando. Il sudore scendeva lento lungo la tempia.
Mi avvicinai lentamente, con i muscoli pulsanti e contratti e le mani tremanti per lo sforzo, a una parete tappezzata di armi.
Mi trovavo nella mia stanza preferita, quella per l'addestramento.

Quella notte non avevo chiuso occhio e l'unico modo che avevo per scaricarmi e celare i pensieri che mi tormentavano era straziarmi di allenamento.
Appena mi fermavo la sua voce tornava, potente nella mia mente.
Presi dei coltelli da lancio, ne saggiai il manico e poi uno alla volta li scagliai davanti a me, muovendo il mio corpo fluidamente.
Uno, due, tre... non avevo centrato il bersaglio.
Non eccellevo in lancio di pugnali.
La verità era che non riuscivo a concentrarmi a dovere.

Mi sedetti per terra, anzi mi sdraiai lasciando l'alone del mio sudore sul pavimento.
Sopra di me un soffitto a volte decorato da affreschi raffiguranti la guerra dei Draghi contro le Viverne.
Pensai a come fossi arrivato lì, al motivo per cui mi avevano convinto.

Il padrone mi aveva salvato dal fango, mi aveva fatto risorgere come una fenice. Non potevo farmi sopraffare da un cuore palpitante, da due occhi verdi, da un'anima intricata.

Nonostante ciò le sue parole, le sue grida si erano scolpite come su roccia nella mia testa:
Hai permesso che la mia anima venisse distrutta.
Non avrei mai voluto, non a lei.
Ero complice tanto quanto Edith, ne ero consapevole, ma il mio cuore richiamava perdono cosa che un viverniano non dovrebbe desiderare. Il mio io del passato doveva essere distrutto definitivamente.
Niente risa, niente sorrisi, niente farfalle nello stomaco, niente sentimenti esternati.
Dovevo tornare il solito Julian: calcolatore, freddo, insensibile e che non ama nessuno tranne che se stesso.

Staccai con forza un pugnale dal muro, lo impugnai decisamente e con forza compii un arco ampio segnando il mio ventre scolpito. Immediatamente una riga rossa e pulsante colorò il pallore della mia pelle.
Strinsi i denti cercando di non pensare al bruciore che provavo, sia esteriormente che interiormente.
Perché ciò che prima mi sembrava tanto ovvio ora mi sembrava così instabile ?
Avevo solo diciassette anni ma il mio corpo era già segnato da molteplici segni bianchi, le cicatrici avevano segnato la mia esistenza fin da quando ero nato.

Credevo di essere sempre stato destinato a combattere per un bene superiore e quando mi avevano offerto questa possibilità avevo deciso di afferrarla al volo, tanto chi mi avrebbe fermato? Non mi era rimasto nessuno.
Tutta la mia famiglia era morta in un incendio e io ero stato l'unico sopravvissuto.
L'unico a cui era stata donata la possibilità di cambiare, la possibilità di diventare qualcosa di più. Di diverso...

Mi aveva scovato Edith, non sapevo dove andare allora girovagando di città in città e dormendo sotto i ponti, lei mi aveva trovato.
Anzi ci eravamo trovati entrambi sotto un ponte, lei era scappata di casa perché il padre abusava di lei e io ero rimasto solo come un topo.

Entrambi avevamo bisogno di qualcuno a cui aggrapparci e finalmente l'avevamo scovato.
Era diventata subito mia amica e io non ne avevo molti a causa del mio carattere freddo e distaccato, ma lei sembrava adatta a me.
Sembrava in grado di capirmi su ogni cosa, in grado di comprendere il mio dolore.
Era diventata una sorta di famiglia, ma non bastava. Non avevamo soldi per andare avanti o anche solo cibo. Eravamo costretti a fare piccoli furti per sopravvivere e quindi a cambiare spesso "casa".

Molto diversi: io la mente, lei il braccio;
io il silenzioso, lei la logorroica;
io il freddo, lei la dolce;
io guardavo al passato, lei al futuro.
L'unica cosa che ci accomunava era il nero dei nostri cuori, quell'ombra inarrestabile che ci nascondeva dal resto del mondo, che ci rendeva degli emarginati.
Come succedeva con i raggi del sole al tramonto, la linea di luce arrestava velocemente ma era impossibile fermarla. Il buio si stava impossessando di me come il nero della notte dopo il tramonto.
Non facevo nulla per fermarlo, sapevo che fosse una guerra persa.

Poi un giorno, ci trovavamo in uno dei tanti paesini della Puglia, lui ci trovò. Era un riccone senza limiti, arrogante e presuntuoso.
<<Sono a servizio del mio padrone e se vorrete sarà anche il vostro, ma solo se vi reputerà degni...>> risentii la sua voce potente e provocatoria nella mia mente.
Avevamo accettato, non sapendo ancora cosa ci aspettasse.
<<Sempre meglio della strada>> diceva Edith, ma io sono sempre stato diffidente.

Ci avevano spiegato che dovevano radunare un esercito di persone ipersviluppate. E noi eravamo i candidati ideali, bella sfida.
Io amavo le sfide.
Quindi avevo accettato e anche Edith, non ci importava del fine, volevamo solo un ruolo in quel mondo che ci aveva abbandonati.

Ci eravamo  addestrati e siamo stati sottoposti a vari esperimenti, ci siamo trasformati con il tempo, diventando veri e propri viverniani.
Dopo la trasformazione si diventava dipendenti dalla sua forza, non potevamo sfuggirgli, eravamo diventati di sua proprietà. Ed era stato in quel momento che mi venne raccontata la storia dal principio: la guerra, i draconiani, le varie avventure con i frutti e poi Khatai. La nostra missione era far passare Adele dalla nostra parte, ago della bilancia.

Ora il nostro padrone stava facendo lo stesso con altri individui cercando di radunare più viverniani possibili. Solo che non sapevo se fosse giusto, non sapevo se quello fosse il modo adeguato. Non credevo che il fine giustificasse i mezzi, anche se tutti intorno a me la pensavano così... 
Ero a un bivio, dovevo scegliere che parte di me seguire.

Mi fasciai l'addome con delle garze disinfettando la ferita con cura.
Sospirai appoggiando la due mani sul tavolo. Mi rimisi la maglia sentendo dei passi in corridoio.
L'enorme porta si spalancò e ne entrò un figura.
<<Edith>> la salutai
<<Julian, pronto?>> chiese guardandomi e sorridendomi, cosa che dedicava solo a me.
<<Per cosa scusa?>> non capivo, mi ero perso qualcosa?
<<Abbiamo la prova dell'abito...>> disse a denti stretti, odiava ripetere le frasi.
<<Oh, bene. Chi si sposa?>> chiesi ironico. Lei si avvicinò minacciosa e fece per tirarmi un schiaffo ma la scansai ridendo.
Lei si unì a me in una lotta come tra bambini delle elementari.
<<Sei una maggiorenne vaccinata e non riesci a prendermi>> le dissi schernendola.
Lei mi guardò assottigliando gli occhi, poi il suo sguardo si posò sul tavolo al centro della stanza.
S'incupì violentemente alla vista delle garze sporche. 

Imprecai mentalmente, non ero riuscito a buttare prima del suo arrivo.
<<Cosa fai? Ti sei ferito?>> chiese osservandomi con la coda dell'occhio.
<<No, solo un graffio con un coltello da lancio.>> risposi il più neutro possibile.
Lei si avvicinò con la sua aria da dura e malvagia.
<<Dimmi la verità Julian>> non feci neanche in tempo a rispondere che mi alzò la maglietta rivelando il taglio profondo sull'addome  non ancora coperto bene.
Rimase per qualche secondo a fissare il taglio, sospirò e alzò lo sguardo.
<<Perché?>>
<<Non c'è un motivo>> ammisi abbassandomi la maglietta, nascondendo le mie debolezze
<<Sì che c'è, solo che non vuoi dirmelo>>
<<Non so...>> sussurrai

<<Non sai cosa? Parlami! Sono qua per te... non ti devi preoccupare>> mi rassicurò lei osservandomi con i suoi occhi neri.
<<Non credo sia giusto quello che stiamo facendo.>> dissi convinto di quello che stavo dicendo, non dovevo avere paura di quello che pensavo. Me lo aveva insegnato mia madre.
<<Shhh!!!>> esclamò lei tappandomi la bocca con le mani.

<<Non farti sentire! Non osare dire una frase del genere mai più, intesi?>> la guardai spaesato.
<<Ti devo ricordare dell'immenso aiuto che ci ha fornito il nostro padrone? Devo ricordarti del patto di sangue che abbiano stretto con lui? Devo ricordarti della nostra situazione prima di tutto ciò? Cosa preferisci? >> mi fissò intensamente e io non seppi cosa rispondere.
No, non volevo perdere tutto quello, non mi pentivo delle nostre scelte.
<<Ricorda: prima noi, poi gli altri.>> annunciò avviandosi verso la porta e facendomi segno di seguirla.
Gli altri ci avevano abbandonati nel momento del bisogno, noi non ci saremmo stati per loro.
Se il mondo giocava ad essere egoista bisognava adattarsi.

<<Comprendo a pieno>> sussurrai facendo tacere i miei pensieri.
Nulla mi avrebbe ostacolato d'ora in poi.
Impugnai il coltello ancora sporco del mio sangue scuro e con forza lo scagliai verso la parete.
Ondeggiò in aria prima di conficcarsi precisamente al centro della testa della sagoma.
Espirai cercando di farmi forza. 

Uscii dalla sala di addestramento chiudendomi dietro le pensati porte con all'interno tutti i miei demoni.

ADELE

Le porte in mogano si chiusero davanti ai miei occhi.
Ma stiamo scherzando? E io che faccio adesso?
Non sapevo cosa fare, ero maledettamente spaesata.
Mi sedetti per terra davanti alle porte del Dungeon aspettando qualche indizio divino che però tardava ad arrivare.

Il tempo passava e io non giungevo a conclusioni, anzi mi stavo quasi addormentando, appoggiata al muro in pietra.
<<Dai Adele, concentrati!>> tossicchiai leggermente e mi concentrai sui pensieri che mi frullavano nella testa.
Mi passarono davanti agli occhi: mamma e papà, Ewan, Giulio, Ilaria, Edith, Julian...
Scossi la testa contrariata, non dovevo perdermi in ricordi stupidi.

Avevo ancora la pelle d'oca al ricordo delle sue labbra a pochi centimetri da me, delle sue mani che mi sfiorava dolcemente la guancia, la sua voce che implorava il mio perdono.
Non avrei ceduto.
Mente e cuore in continua guerra tra di loro, cosa scegliere?
Luce o tenebre?
Aveva ragione, amavo il controllo e avevo provato una certa euforia a estirpare la vita da quel corpo malvagio.
Ma io non ero così, anzi non volevo esserlo.
Mi posai  un palmo sulla guancia ancora ferita, sospirando.
Ero stanca di tutto quello, volevo svegliarmi da quell'incubo che aveva inghiottito la mia vita in un vortice di tenebre senza via di salvezza.

Avevo sempre sognato di diventare la protagonista di un libro fantasy o partecipare a un'avventura simile o a entrare in contatto con esseri sovrannaturali, ma mi pentii amaramente di quei pensieri.
Era stato il periodo più duro e straziante della mia esistenza, non credevo di riuscire a sopportare altro, mi sembrava di essere sull'orlo del collasso totale.
Mi sarebbe bastato un leggero soffio di vento e sarei caduta nel burrone, senza capacità o possibilità di risalita.

Mi alzai di scatto parlando tra me e me <<Cosa hai contro di me? Vuoi rendere le cose più difficili di quanto siano già? >> urlai quasi.
Perché questo drago non mi rispondeva? Non negavo che certe volte avessi provato a parlare con lui ma mi ero data delle scema al suo silenzio.

Ora che mi serviva non si faceva vivo lo stesso.
<<Ma che bufala è  ?>> chiesi a me stessa. Ero contenta per Ilaria, ma allo stesso tempo spaventata, non era al sicuro.
Era una custode, la mia custode, ma non avrei mai permesso che rischiasse la vita per me.
Per lei avrei sacrificato la mia vita, non avrei retto il contrario.

<<Pizza! Lasagne! Libri!>> urlai contro la porta sperando che si aprisse. 
<<TV! Foto! Puzzles! >> camminavo avanti e indietro cercando altre parole da sparare a caso.
<<Criminal minds! Shadowhunters! L'ho già detta Pizza?>>
Sospirai rassegnata, non ce l'avrei mai fatta, non ero in grado e stavo solo sparando scemate su scemate.

Non potevo arrendermi così.
Urlai e corsi verso le porte.
Spalla destra avanti come per attutire il colpo.
Pensai di riuscire a passare poi il mio corpo venne scaraventato a qualche metro di distanza, nuovamente. 
Non resistetti e il corpo cadde in uno stato di sonno profondo.
Come sottofondo solo il tumulto irregolare del mio cuore e del mio respiro rauco. 

Mi trovavo in un tempio, le colonne ioniche dividevano la superficie in tre navate. In fondo a quella centrale si trovavano cinque troni messi a ovale con in centro un tavolo in legno d'ulivo.
Un grande subbuglio di voci irrompeva da quel luogo. Esse rimbalzavano lungo le pareti in marmo e sulle volte del soffitto.
Mi incantai guardandomi intorno, feci per spostarmi dalla navata di destra. Mi massaggiai la testa perché mi doleva molto. Mi nascosi dietro un'enorme colonna e spiai quello che stava succedendo.
Quattro draghi maestosi confabulavano tra di loro, notai che un trono era vuoto, il più grande e imponente impose il silenzio tra i presenti dicendo.
<<È inutile urlare, troviamo ordinatamente una soluzione. >> annunciò il drago dalle squame verdi.
<<Stanno abbattendo il nostro fronte, tra poco saranno nelle nostre mura>> annunciò Aldibah, il drago azzurro.
<<Dobbiamo agire di furbizia, loro vogliono arrivare all'albero del mondo, non gli interessa il resto. >> spiegò Rastaban, il drago di Lidja.
Come facevo a sapere i nomi? Non ne avevo idea.
<<Direi di rafforzare le linee con gli umani e di dividere le legioni in più parti così da riuscire a spostarsi meglio. >> espose la sua teoria Kuma.
<<Interessante>> esclamò Thuban dal suo trono decorato d'oro.
<<Ma non credo basterà, dall'ultima battaglia abbiamo perso gran parte dei soldati, la tua teoria può servire solo per facilitare il movimento ma non per riuscire ad allontanare i nemici dal nostro confine. >> sospirò esasperato il capo <<Non c'è una soluzione, a breve verremo invasi>>
Le porte si spalancarono e ne entrò un drago imponente e bellissimo ai miei occhi. Camminava lento verso il centro del tempio.
Era di un colore blu scuro, tendente al nero. Due occhi colore del sole illuminavano un muso affusolato. Le ali erano frastagliate, di un colore giallo accesso simile a quello degli occhi. I colori si equilibrato in maniera sorprendente, rendendo quell'essere misterioso e affascinante.
Appoggiò una pergamena sul tavolo e se ne andò lasciando spiazzati gli altri draghi.
<<Chi sei?>> urlò Thuban ma non ricevette risposta. Non avevo bisogno di una riposta, sapevo fosse lui. Il mio cuore lo diceva. Guardavano la pergamena con meraviglia, avevano trovato una soluzione, evidentemente. La mia curiosità era oltre i limiti e non avrei voluto altro che leggerla e sapere cosa ci fosse scritto.
<<Figlio di Nyx, nostro Auril sei proprio tu?>> chiese Kuma. Ma tutto intorno a me iniziava a farsi meno nitido e cominciò  a girarmi tutto.

Aprii gli occhi improvvisamente e mi misi a sedere sulla roccia fredda e umida. Mi massaggiai le tempie perché pulsavano doloranti, che sogno era? Un ricordo forse?
Seppi immediatamente cosa fare, mi avvicinai alla porta e sussurrai alla serratura in bronzo con sicurezza <<Auril>>.

SOFIA

Avevamo appena finito le tre serie di addominali, ci mancava solo esercizi di controllo dei poteri e saremmo potuti essere finalmente liberi da quella tortura.
Mi asciugai la fronte dalle goccioline che la imperlavano.
Lidja mi si avvicinò silenziosa <<Perché non mi hai detto nulla?>> chiese
<<Te lo avrei detto, ma non abbiamo avuto molto tempo.>> dissi secca
<<Non fare l' arrabbiata >> mi chiese guardandomi negli occhi
<<Non puoi sempre interferire nella mia vita, se ho avuto problemi con Fabio sono affari miei, non te ne deve interessare >> dissi, forse troppo seccamente. Mi pentii del mio tono quindi lo cambiai.

<<Non fraintendere, intendevo dire che potresti chiedere a me in privato e non fare scenate davanti a tutti, mi bastano solo le mie figure di merda>> conclusi ironica.
Lei si mise a ridere insieme a me.
<<Mi impegnerò, servono a questo le amiche, no?>> chiese retoricamente. 

In quel preciso istante la porta si aprì e ne entrò una Adele soddisfatta e contenta. Ilaria l'abbracciò euforica mentre il Prof sorrideva compiaciuto. 
<<Bene, visto che sei riuscita ad entrare è giusto che ti unisca a noi per la lezione di controllo>>
Il suo sorriso scomparve dal viso e mi scappò una risata accompagnata da un suo sorriso sotto i baffi.
<<Se proprio devo>> sussurrò.

Ci sedemmo in cerchio in mezzo alla stanza. Il Prof da un angolo insieme a Ilaria ci impartiva ordini.
<<Silenzio!>> ordinò e il vociare si spense immediatamente.
<<Ora concentratevi, visualizzate il vostro potere interiore, scorre nelle vostre vene, dovete solo cercarlo. >> Sentii la voce del Prof che pacata ci indicava cosa fare.
Scavai dentro di me, in mezzo ai miei casini e ai miei pensieri. 
Poi una scintilla, di un verde intenso. Era come correre per afferrare una farfalla.

Iniziò la mia corsa su un pavimento nero come il vuoto, la luce si faceva sempre più intensa e così anche la forza.
La raggiunsi, allungai la mano e afferrai lo scintillio.
Il mio corpo pulsava di potere ed energia e non mi ci volle molto per farlo fuoriuscire da me, come per scaricarmi dopo averlo trattenuto per troppo tempo.  Come togliersi uno zaino pesante dalle spalle dopo ore di camminate sui monti.
<<Concentrate la forza in un punto e create una sfera di energia>> annunciò il prof.
Spalancai gli occhi, congiunsi le mani e aprendole piano piano sprigionai ciò che avevo all'interno.  In poco tempo una sfera verde e luminosa volteggiava davanti al mio viso.
Dopo essere stata sicura di averla stabilizzata mi guardai intorno.

Sentivo il sudore scendermi lungo la tempia ma non ci feci caso.
Anche gli altri avevano davanti a sé una sfera di energia, Adele ne aveva una un pò piccola e poco stabilizzata, barcollava di qua e di là ed era di un colore scuro simile al nero.

<<Alzatela sulla vostre teste >> ordinò il prof.
Alzai le mani e la sfera seguì i miei movimenti.
Quando tutte le sfere furono sopra le nostre teste sentii il prossimo comando. <<Sdoppiatela in tre. >>
Aprii le dita e in poco tempo ebbi tra le mani tremanti sfere più piccole.

Sentivo una certa gioia dentro di me che non provavo da molto tempo.  Mi mancavano i miei poteri e poterli riutilizzare mi faceva uno strano effetto.
<<Ora colpite i bersagli>> alzai lo sguardo. Al muro c'erano delle figure in legno di colori diversi.

Mi concentrai sui tre verdi.
Scagliai le sfere; uno, due e tre.
Avevo colpito due figure in testa e una sull'addome. Un buon risultato per essere fuori allenamento.
Sorrisi soddisfatta guardando anche gli altri. 
Tutti bene tranne Adele che aveva colpito solo il braccio di una figura di Lidja, vicino a lei.
<<Dai, sarà per la prossima >> le dissi appoggiandole una mano sulla spalla  <<Bisogna anche accontentarsi, l'importante è averci provato>> mi rispose lei.
<<Giusto>>

<<Bravi ragazzi, siete andati molto bene. Mi aspettavo peggio sinceramente, ora andate a lavarvi e fatevi trovare tra mezz'ora in sala da pranzo. >> annunciò il Prof, per poi andarsene.
Corsi su il più velocemente possibile giusto per non parlare con nessuno, non mi andava, soprattutto con Fabio.  Non sapevo cosa fare, mi sentivo abbattuta dentro. Dovevo prendermi un pò di tempo per me, poi avrei sicuramente chiarito con lui.

Scesi al piano di sotto vestita con la mia solita tuta verde e trovai Adele, Karl e Chloe a giocare alla play mentre Fabio leggeva e Lidja e Ewan parlavano abbracciati sul divano. Non feci neppure in tempo a sedermi vicino ad Ilaria, che si beveva un te, che il campanello suonò.
<<Chi diavolo è?>> chiesi. Nessuno doveva farci visita. Almeno, questo era quello che credevo.

#angoloautrice: ciao a tutti! Come state ? Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ditemi cosa ne pensate nei commenti, grazie.  Domande: Cosa dovranno fare Edith e Julian per la missione? Chi ha ragione tra i due? Perché Adele non sente il suo drago? Chi avrà suonato il campanello?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo che cercherò di postare il prima possibile ma capitemi sono umana anch'io, ho bisogno di un pò di tempo ahaha alla prossima <3

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