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PRIGIONIA D'AMORE

ADELE

Socchiusi piano gli occhi. Sopra di me un soffitto affrescato con colori tenui ormai quasi scomparsi del tutto, una luce dorata entrava timidamente dalle finestre spalancate della stanza bianca. Le tende svolazzavano fruscianti a causa di un venticello fresco caratteristico di Marzo.

Mi sedetti sul letto morbido su cui avevo dormito non sapevo per quanto tempo.
Mi alzai reggendomi alla colonnina del letto a baldacchino in legno chiaro dello stesso colore dell'armadio, della scrivania e della porta che si trovava al lato opposto della finestra.

Mi guardai allo specchio a fianco dell'armadio: la pelle era bianca, quasi grigia, la ferita ancora rossa sulla guancia risaltava terribilmente, le labbra screpolate, gli occhi vitrei, gonfi e rossi. Nuovi lividi sulle braccia. Notai dopo un poco che mi avevano cambiata d'abiti. Il mio vestito ormai consunto si era trasformato magicamente in una leggera camicia da notte bianca.
Chi me l'aveva messa?
Alzai la stoffa sopra la vita lasciando scoperte le gambe distrutte da graffi e lividi.
Proprio sopra il bacino, sotto l'ultima costola sinistra si trovava un cerchiolino nero con delle ramificazioni violacee intorno ad esso. Provai a sfiorarlo ma  una scossa di dolore mi attraversò la spina dorsale.

<<Adele...>> sussurrai
<<Ce la puoi fare. Ritrovala>> mi incoraggiai.

Il mio sguardo si riposò sulla lastra riflettente. Dietro di me notai una poltrona in pelle nera.
Nella stanza non ero sola. Mi girai di scatto spaventata.

Seduto sulla poltrona alla sinistra del letto, davanti alla finestra, si trovava Julian.

Le palpebre abbassate, le ciglia che sfioravano le guance arrossate rispetto al candore della pelle, il petto muscoloso che si alzava regolarmente, il leggero tremolio della mano.
Cosa ci faceva li?
Notai, avvicinandomi a lui che ai piedi del letto aveva posizionato una conca piena d'acqua fredda e in mano teneva uno straccio.
Forse avevo avuto la febbre? Mi chiesi, mentre guardavo fuori dalla finestra.

<<Dove mi hanno portata?>> sussurrai ad una tonalità grazie alla quale nessuno avrebbe potuto sentirmi.
La finestra era bloccata da una griglia di ferro, come in una prigione.  Fuori dal villone in cui mi trovavo si estendeva un bosco folto per non so quanto spazio. Era molto in alto a giudicare anche dal freddo pungente. Infatti il versante scendeva ripido verso una valle sfolta dalla quale riuscivo a intravedere un piccolo lago e forse anche un ruscello. 

Maledetta la mia vista bacata.

Mi avvicinai alla porta cercando di muovermi a lato della stanza per evitare di far scricchiolare le assi del pavimento. 
Appoggiai una mano sulla maniglia girandola.

Era chiusa a chiave.

<<Merda>> imprecai sempre sottovoce.
Mi girai appoggiandomi alla porta con la schiena. Appoggiai la fronte al palmo della mano pensando a cosa fare, a come uscire da lì e andare a cercare mia sorella.

Un lampo di genio.
Mi avvicinai silenziosa a Julian. Mi sedetti vicina a lui, sulla sponda del letto davanti alla poltrona.
Lui dormiva beato.
Chissà per quanto era rimasto sveglio. 
Lo studiai e anche se non era il momento non potei fare altro che rimanere spiazzata dalla sua bellezza. Sentii le gote avvampare mentre sbirciavo dove avesse potuto aver messo le eventuali chiavi della mia stanza.

In qualche modo era entrato, no?

Le trovai, agganciate alla cintura. Le sfilai con delicatezza senza che lui si svegliasse. Avevo l'adrenalina al massimo perché sapevo che al minimo movimento lui si sarebbe svegliato. D'altronde era stato addestrato per quello.

Mi fidavo di lui.
Avevo creduto alle sue parole e guarda dove mi ero ritrovata.
Il mio cuore palpitava al solo sentire pronunciare il suo nome.
Mi aveva risvegliata dal mio stato di congelamento, ma stavo per essere bruciata dal suo stesso fuoco.
Lui non mi amava, lui voleva solo usarmi. 
Speravo non fosse vero, ma la mia mente mi diceva tutto il contrario.
Sapevo che fosse così, ma non riuscivo. Non riuscivo a smettere di pensare a lui.

Gli sistemai i capelli con la mano tremante. Erano lucenti e setosi, profumavano di buono. Gli posai un bacio sulla fronte, delicato, quasi inesistente.
Le sue palpebre fremettero per un secondo poi tornò al suo stato dormiente.

Le chiavi tintinnarono tra le mie mani mentre cercavo quella giusta.

La trovai dopo diversi tentativi falliti.

La rivoltai nella serratura e un tac secco mi fece intuire che la fuga era possibile. Che la porta era aperta e la mia guardia non se n'era accorta.

Uscii solo con la testa osservandomi intorno. Solito arredamento: mobili in legno levigato scuro, affreschi sbiaditi sui soffitti, tappeti colorati, arazzi vari e ritratti attaccati alle pareti, poche e piccole finestre lungo i corridoi.

Sospirai constatando che nessuno si trovava nei due corridoi laterali che si diramavano dalla mia stanza.

Uscii richiudendomi la porta alle spalle. Udivo delle voci poco distanti da me, si stavano allontanando.
Svoltai a destra e per poco non andai a scontrare contro un mobiletto con sopra vari oggettini in vetro.
Imprecai.

Chinata mi avvicinai velocemente alla svolta successiva. Sembrava un Labirinto.

Non ci misi molto a intuire di chi fossero le voci.
Quella femminile era sicuramente quella rapa bacata di Edith, mentre l'altra era di un assoggettato perché troppo meccanica e nodosa.

Mi affacciai, con solo una parte di testa che spuntava. Li scorsi a pochi metri da me.
Edith era tutta tumefatta e rantolante mentre l'altra era un,assoggettata, era una ragazza più giovane dell'altra.
Mi dava le spalle nascondendomi da Edith.
Aveva lunghi capelli bruni, una forma del corpo familiare, una persona che mi sembrava di conoscere.
Cosa stava succedendo?

<<Come vanno gli esperimenti?>> chiese la strega
<<Procedono senza intoppi. Non tutti i soggetti sono adatti alla trasfusione.>> rispose la ragazza.
<<Quanti trasformati fino ad ora?>> chiese  Edith toccandosi il labbro gonfio. Soddisfatta del lavoro che avevo fatto al suo viso, una bella plastica facciale non guastava mai.

<<Prima del gruppo H eravamo in tredici. Ora potrei stimare altre quattro trasformazioni. E con la piccola saremmo diciotto, più ovviamente te e Julian. >> rispose preparata l'assoggetata.

<<La piccola?>> sussurrai.
Ilaria? Cosa volevano farle?

<<Cosa è stato?>> esclamò Edith rizzandosi e guardandosi intorno.

Merda.

Sentii le due muoversi e guardarsi intorno. Pregai che non mi scoprissero e tornassero a parlare.
Mi appiattii al muro cercando di occupare il minor spazio possibile. Mi tappai la bocca e per secondi inesorabili non respirai.

Il rumore dei tacchi di Edith si stava avvicinando a me.
<<Edith! Alessia!>> urlò una voce dal fondo del corridoio .
Alessia!? O mamma mia! Come avevo fatto a non riconoscerla?

Placai l'istinto inesorabile di sgusciare fuori e andare ad abbracciarla.
Sentendo che Edith se ne stava andando decisi di dare ancora una sbirciata.
Era proprio lei, ora era di profilo e potei notare i segni che la contraddistinguevano: i capelli mossi sulle spalle, gli occhi grandi e solari, il sorriso teso e le fossette agli angoli delle labbra.

La ragazza che le aveva chiamate non era altro che Marta. L'altra mia amica.
Come mai erano lì? E perché erano assoggettate?
Lei aveva i capelli boccolosi legati grazie ad uno chignon spettinato e la pelle cerea sua tipica, gli occhi grigi non luccicanti di vivacità come al solito.

Dovevo capire cosa le avessero fatto. Dovevo scoprire cosa si nascondeva dietro quegli occhi grigi e dietro il piano nascosto di questo maledetto Nidhoggr.

<<Dicci perché ci hai disturbate.>> chiese Edith a Marta con un gesto scocciato della mano.
<<Il nostro padrone desidera parlare con Adele. Dobbiamo andare a prendere i vestiti e portarglieli per poi scortarla in sala udienza.>> rispose lei. Edith sembrò risvegliarsi.
<<Molto bene, ora vado a cambiarmi, voi due andate a portare dei vestiti alla ragazza. Ci vediamo tra un quarto d'ora davanti alla sua camera. >>

Detto questo si divisero prendendo corridoi diversi, fortunatamente non verso quello dove mi trovavo io.

Aspettai alcuni secondi per poi respirare rumorosamente, rilassando i nervi tesi.

Mi alzai di scatto dall'antro in cui mi ero ranicchiata.
Iniziai a correre verso la mia stanza ricordando dove avevo girato qualche minuto prima. 
Mi accostai alla porta che avevo lasciato aperta. La spalancai di fretta.

Dall'altra parte un rantolo, avevo colpito qualcosa. Anzi, qualcuno.

<<Adele, ma che cosa stai facendo!>> esclamò Julian mentre richiudevo la porta a chiave.
Si teneva le mani sul naso, luogo dove probabilmente l'avevo colpito.
<<Scusa, ti ho fatto male?>> chiesi avvicinandomi a lui e posando le mani sulle sue guance.
<<No, nulla di che.>> rispose guardandomi.
Ritrassi le mani e feci un passo indietro. La sua espressione non mi ispirava nulla di buono.

<<Dove sei stata>> non sembrava una domanda, quasi una forzatura.
<<Qualche corridoio più in là >> risposi facendo spallette.
Mi afferrò per le spalle e mi bloccò contro il muro.
<<Ti rendi conto che se ti avessero scoperta saresti finita in un mare di guai?>> sibilò a qualche centimetro dal mio viso.
Deglutii rumorosamente.
<<Non possono farmi del male.>> affermai con convinzione. Il mio sguardo tremava mentre il suo era ghiacciato su di me. La luce del sole filtrava dalle tende illuminando i nostri visi.
<< Ti sbagli>> mi disse
<<Non possono ucciderti, ma possono farti del male. E ti assicuro che non è piacevole>>

Iniziai a tremare inconsapevolmente.

<<Io...io>> balbettai
<<Tu niente. Devi rimanere qua e spostarti solo quando ti viene richiesto.>> mi spiegò sempre a poco spazio di distanza da me. Il cuore palpitava e le mani fremevano.
<<Una prigionia>>
<<Esatto>> rispose solamente

Sì staccò da me con un scatto, appoggiandosi con l'avambraccio al muro dietro la mia schiena. Mi sembrò quasi di sbilanciarmi in avanti.
<<Cosa hai sentito?>> chiese perentorio riguardandomi.

Riusciva a mettermi a disagio in un millesimo di secondo e a farmi sentire perfetta in un tempo tanto veloce.

<<Niente, in realtà>> risposi enigmatica.
<< Fai la seria. Cosa hai sentito? Non m'inganni.>> affermò per la seconda volta facendomi capire che non accettava scuse.
<<Stanno per venirmi a prendere. Vogliono portarmi da Nidhoggr>> spiegai abbassando la voce.

Lui si raddrizzò lanciandomi uno sguardo confuso.<<Di già? >> chiese. Io risposi con un'alzata di spalle.
<<La settimana rossa sta per iniziare ma non credevo volesse parlarti immediatamente. Non so... stai attenta.>> sussurrò l'ultima parte avvicinandosi.

<<Stai attenta, ti prego. >> continuò appoggiando le sue mani callose sul mio viso.
<<Non voglio che ti succeda nulla>>

<<Perché fai così?>> chiesi
<<Così come?>> rispose ad una domanda con un'altra domanda.
<<Perché fai finta di preoccuparti?>> chiesi dando voce a ciò che mi frullava nella mente. Ciò che avevo paura di tirar fuori. Ciò che non mi faceva stare tranquilla. Ciò che rendeva le farfalle nello stomaco assetate di sangue.

<<Perché sono innamorato di te.>> rispose guardandomi negli occhi.
Il mio cuore batteva e sembrava rispondergli. La mia mente non si collegava al resto del corpo. Non riuscivo ad articolare parola. 
<<Amo il modo in cui ridi, amo il modo in cui cerchi di evitarmi, amo il modo in cui mi lanci occhiate fugaci, amo il modo in cui le tue labbra si piegano creando quella bella fossetta, amo il modo con cui ti batti per le tue idee, amo la tua mente, amo la tua passione per la scrittura, amo il modo in cui cammini, amo ogni forma del tuo corpo, amo il fatto che tu ti veda brutta quando in realtà ai miei occhi sei meravigliosa. Non mi importa cosa deciderai, il mio cuore sarà sempre tuo. Non sono riuscito a levare la tua immagine dalla mia mente, non so cosa tu abbia di diverso dalle altre, ma non voglio che tu ci sia solo per una notte. Voglio che tu ci sia sempre, che tu sia vicino a  me o tra i miei pensieri. >> appoggiò la sua fronte sulla mia. Non potevo crederci, quello che avevo sempre desiderato.

Qualcuno che mi amasse proprio come nei libri. Qualcuno che accettasse ogni lato di me. Qualcuno che mi notasse, che vedesse in me qualcosa di più.
Avevo trovato qualcuno che mi amava proprio come io amavo lui.

Ero disposta a cedere? Sì.
Sentii il mio cuore rimettersi in sesto, come se qualcuno avesse raccolto i cocci e li avesse riattaccati. 
Era il mio salvatore.  Mi avrebbe salvato dell'oblio regalandomi un pò di luce.

La sua mano accarezzava la mia guancia. Sembrava non ci fosse nient'altro oltre a noi. Niente che importasse.

<<Grazie a te il mio cuore ha ricominciato a battere.>> sussurrai prima che qualcuno bussasse alla porta.

<<Adele dobbiamo andare, ti abbiamo portato il cambio. >> Sentimmo una voce al di fuori della stanza.
<<Devi andare...>> sussurrò lui al mio orecchio lasciandomi un bacio bruciante sulla guancia destra.
Mi avviai alla porta camminando all'indietro e non lasciando il suo sguardo glaciale.

Mi guardava con timore. 
Di cosa aveva paura?
Lo vidi fare uno scatto e arrampicarsi fuori dalla finestra per rientrare in villa da non sapevo dove.

<<Eccomi, passatemi i vestiti che mi preparo>> dissi rivolta alle tre ragazze. Mi rinchiusi nella stanza.
<<Massimo cinque minuti, Adele>> mi ammonì l'assoggetata voce meccanica di Alessia.
Cinque minuti per mettere a posto i pensieri?
Impossibile. 

#angoloautrice: ciao a tutti! Ecco a voi il capitolo bonus di questa settimana! Ci sono riuscita! Cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Di cosa stava parlando Edith con Alessia? Di cosa dovrà parlare Nidhoggr? Perché Julian era spaventato? Sarà vero il suo sentimento? Come andrà avanti la missione? Riusciranno i draconiani nel loro intento? Continuate a seguirmi per il prossimo capitolo! Commenti e stelline <3 <3 <3

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