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OCCHI NERI MORTE

ADELE

Aprii gli occhi bruscamente. Mi ritrovai nella mia camera da letto. Davanti ai miei occhi: la scrivania ingombra di libri, le mensole blu, la libreria.
Tutto nella norma.
Mi alzai di scatto ma dovetti risedermi perché mi si offuscò immediatamente la vista. Mi massaggiai le tempie non capendo cosa stesse succedendo. Avevo sognato tutto? Era stato un incubo architettato dal mio cervello?
Mi alzai e per poco inciampai a causa dei pupazzi che mia sorella aveva lanciato giù dal letto mentre dormiva. Il suo materasso era vuoto ma le coperte erano sfatte, segno che qualcuno ci aveva dormito.
Dei rumori di pentole e di voci arrivava alle mie orecchie. Il sorriso non riusciva a prorompere sul mio viso, c'era qualcosa che non andava.
La luce filtrava attraverso le tende bianche dell'enorme finestra che occupava l'intera parete davanti a me.  Mi diedi un pizzicotto sulla guancia e sul braccio ma non cambiò nulla.
Aprii di scatto le tende e la luce, prima affievolita, irruppe prepotente nella stanza e mi obbligò a chiudere gli occhi.
<<Maledetta...>> sussurrai. Spalancai la finestra scorrevole e feci cambiare aria alla stanza che sapeva di chiuso e marcio. Il rumore delle macchine risuonò petulante nella mia testa. Donne che parlavano , moto che sgommavano, bambini che urlavano, autobus che strombazzavano. Richiusi la finestra cambiando idea. Tornai nel mio mondo ovattato.
I libri mi guardavano da sopra le loro mensole. Mi avvicinai e ne presi uno: "cose che nessuno sa" di Alessandro D'Avenia.  Lo sfogliai, ne sentii l'odore e saggiai la consistenza della carta. Erano tutti intatti.
La camera era in perfetto ordine come se niente fosse mai successo. Forse ero impazzita io.
Riappoggiai il libro sulla mensola, vicino a Percy Jackson. Sospirai pesantemente, chiusi gli occhi e cercai di fare mente locale. <<Mi chiamo Adele, ho una sorella che si chiama Ilaria e i miei genitori sono Francesca e Andrea. Ho quindici anni e ho iniziato il Liceo Classico. Non sono un drago e non ho strani poteri... sono normale. La mia vita è quella di sempre. La tua mente ti sta imbrogliando, Adele. Sii più forte.>> mi incoraggiai. Non avrei parlato a nessuno del mio sogno, mi avrebbero presa per pazza.
Appoggiai la mano sulla maniglia metallica e fredda della porta in legno chiaro. Mi ritrovai in corridoio, le voci dei miei genitori rimbombavano nella casa come un flipper.
Mi tremavano le mani.
<<Oggi dobbiamo andare dal dentista, Andre. Le porti tu le ragazze?>> disse la voce di mia mamma. Ero bloccata in mezzo al corridoio vicino ad un quadro astratto di farfalle.
<<Finisco alle quattro e mezzo, dovrei riuscire. >> rispose mio padre.  Il cuore mi batteva imbestialito, anche se era stato un incubo era stato molto realistico e la loro voce mi mancava.
Ilaria non si sentiva. Riuscivo a captare solo un ritmico suono, come di un rubinetto che perdeva. 
<<Molto bene. Hai proprio una bella cera, ammo. Dormito bene?>> di nuovo la voce di mamma.  Feci un passo verso la porta della cucina. Afferrai la maniglia ed entrai. Le lacrime erano sul punto di fuoriuscire quando vidi le schiene dei miei rivolte alla mia figura. Papà era in piedi davanti al frigo aperto mentre mamma era dalla parte opposta della piccola cucina che preparava qualcosa da cucinare.
<<Mamma, papà!>> esclamai contenta.
Loro non si mossero, ci furono secondi di silenzio.  Il sorriso scomparve dal mio volto.  <<Che succede?>> chiesi preoccupata dalla loro reazione.
Mio padre sbattè violentemente l'anta del frigo e le bottiglie all'interno tintinnarono. Il frigo aperto mi copriva parte della visuale della stanza. Ora riuscivo a vedere il tavolo e il posto dove solitamente sedeva mia sorella era occupato, dal corpo inerme di lei.
Una corda pendeva dal soffitto e le circondava il collo gonfio e violaceo.  La pelle era bianca come il latte rimasto nella sua tazza. Dalle labbra ceree le fuoriusciva un rivolo di sangue scarlatto che stonava con la sua attuale tonalità, esso ritmicamente si staccava dalla sua pelle e cadeva nella tazza creando quel rumore che prima avevo creduto fosse un tubo che perdeva. 
Rimasi ghiacciata al mio posto.
Le uova nel pentolino producevano un odore nauseabondo come di bruciato e avariato.
Mamma e papà si girarono verso di me contemporaneamente dicendo
<<Ciao Adele>> mi salutarono all'unisono, con un tono di voce neutro.
Anche il loro aspetto lo era: la pelle era bianca come  la neve e gli occhi erano vitrei e senza vita. Girandosi il loro collo aveva prodotto suoni terrificanti come di un piatto che si sfracellava a terra.
I vestiti erano strappati in vari punti dai quali fuoriusciva sangue a fiotti. Li riconobbi all'istante, erano i punti precisi delle ferite inflitte da Edith. <<Cosa vi è successo?>> riuscii solo a dire.
Si avvicinarono a me, ma non riuscii a muovermi. I cadaveri dei miei genitori, consunti e decadenti, stavano traballando verso di me. Mi presero per le braccia e mi costrinsero a terra. <<Lasciatemi stare!>> urlai. Il mio sguardo incontrò quello assente e perso di Ilaria. Una lacrima solcò il mio viso e fu come liberarsi da un peso di troppo. Ben presto anche altre si unirono alla prima. <<Perché?>> chiesi.
Vedevo mia mamma trafficare con i fornelli. Mio papà mi teneva ferma, era molto più forte di me anche da morto.  Provai a dimenarmi ma fui subito messa a tacere quando vidi e capii cosa aveva intenzione di fare.
Nella mano destra, mamma, stringeva un coltello e dall'altra il cerchietto nero che si metteva sopra il fuoco nei fornelli. Passò il coltello a papà e mi sorrisero entrambi. Cercai di sfuggire ma erano troppo forti. Mio padre senza pensarci un attimo passò il coltello sulla pancia. Urlai dal dolore sia fisico che mentale.
Iniziai a tremare dalla sofferenza che quel gesto mi gettava addosso.
Mia madre passava il cerchio incandescente sulle braccia e sulle gambe lasciando scie di morte e dolore. La vista iniziò a diventare meno nitida.
Provai a guardare come stavano martoriando il mio corpo. Le gambe erano piene di vesciche e gonfie come palloncini. Mentre il ventre era pieno di ramificazioni di ruscelli di sangue che erano fuoriusciti dalle tre ferite principali. Creavano una lettera: N.
<<Tu sei destinata a servire il male, cara Adele. >> sorrise mio papà.
Il nero si stava impossessando di tutte le mie membra tremanti e ululanti dolore.
<<Ricordatevi che vi ho sempre voluto bene...>> sussurrai ai miei genitori.
Poi fu buio.

Mi risvegliai con uno scossone, non sapevo quanto tempo fosse passato.  Gli occhi sbatterono qualche volta prima di abituarsi alla luce soffusa di quella stanza. Provai a muovermi ma ero legata ad una sedia. Le mani dietro lo schienale e i due piedi alle gambe della sedia in legno.
Girai la testa a destra e a sinistra cercando di capire dove mi trovassi. Era un luogo freddo e buio, forse una caverna. Non riuscivo a distinguere bene cosa avessi intorno a causa della scarsa luce che emettevano le torce attaccate alle pareti in pietra. 
Ad un tratto un rumore di passi. 
Come di tacchi, si avvicinavano alla stanza in cui mi trovavo.
Mi guardai e notai che ero mezza nuda. Avevo indosso solo l'intimo, non avevo nessun modo per coprirmi.
Un porta in fondo alla stanza si aprì. Una falce di luce illuminò la stanza fino a raggiungermi.
La figura camminò verso di me con passo lento.
Il rumore dei tacchi rimbombava nella stanza con acuta costanza. 
Il movimento delle braccia, dei capelli intorno alle spalle, delle anche magre. La riconobbi immediatamente.
<<Edith...>> sussurrai.
Era fasciata da un vestito rosso sangue, le gambe scoperte mi lasciavano intravedere la pelle bianca come i capelli.
I suoi occhi si posarono nei miei, verde contro nero.
<<Adele, che piacere rivederti.>>
La rabbia crebbe in me, non capivo cosa stesse succedendo. Solo la sua vista mi faceva rizzare i peli sulla nuca. Le mani formicolavano dal desiderio di vederla stramazzare a terra.
<<Come stai? Le gambe? >> mi chiese appostandosi dietro lo schienale della sedia.
Osservai le mie gambe e notai che non c'erano segni di bruciature o simili. Cosa aveva fatto?
Cercai di guardarmi il ventre e rimasi scioccata. Una cicatrice orribile solcava la mia pelle sofferente. 
Una N enorme aveva preso posto sulla mia pancia, come a dirmi che non mi sarei mai liberata di lui.
<<Lasciami andare>> cercai di dirle il più rabbiosamente possibile.
<<Oh no, cara. Prima di andartene da qui, dovrai lottare >> Mi disse e irruppe in una risata grottesca.
Le luci si accesero e divennero più forti improvvisamente. Davanti a me riuscivo a scorgere un parallelepipedo di vetro trasparente. 
<<Sei pronta cara?>> mi chiese sorridendomi. Scossi la testa ma non servì a nulla. Il suo scopo era quello di farmi soffrire.
Mi slegò e minacciò di uccidermi sul momento se avessi osato ribellarmi, tanto morire ora o morire dopo cosa cambiava? Mi massaggiai i polsi rossi appena fui libera di muovermi.
I miei polpastrelli toccarono la cicatrice sul ventre, mi venne da piangere.
Ma mi trattenni.
Edith mi portò davanti alla bara di vetro, mi spinse dentro e chiuse tutto bene. Il panico iniziò a farsi spazio tra le mie membra.
Feci respiri profondi e cercai di calmarmi, iniziai a canticchiare e ad accompagnarmi con il ticchettio delle mie dita sul vetro.
<<Vedo che non ti stai divertendo, ti aiuto?>> sorrise maliziosamente Edith.  Schiacciò un pulsante e dopo poco dell'acqua uscì da dei fori sopra la mia testa. Era ghiacciata e ne usciva a fiotti. Non ebbi neanche il tempo di cadere nel panico che mi arrivava già al bacino.
<<Oh mamma mia! Ti prego! Basta!>> l'aria iniziava a mancarmi. Stavo tremando dal freddo e dalla paura.
L'acqua mi sfiorava in naso e si insinuava nelle mie vie respiratorie facendomi tossire continuamente.
Poco tempo e fui sott'acqua completamente. I polmoni iniziarono a bruciare, continuavo a colpire il vetro ma non accennava a rompersi o anche solo a creparsi. L'ultima cosa che vidi furono gli occhi contenti e gioiosi di Edith. 

Due mani mi afferrarono le spalle e mi portarono in superficie. L'aria fresca, inebriante e pura del bosco fece capolino alle mie narici che l'accolsero con grande gioia.  La figura mi trascinò sulla riva, mi accorsi che ero coperta da una camicia bianca e lunga.
Toccai la sabbia sotto di me e sorrisi felice.
Spalancai gli occhi e la luce del tramonto mi cullò dolcemente.  Voltai il capo e misi a fuoco la figura che mi aveva salvato dalle acque torbide del lago.
<<Julian?>>  chiesi contenta di vederlo di nuovo. I suoi occhi azzurri si posarono su di me.
<< Adele, come stai? Dobbiamo fare in fretta, mi stanno cercando>> mi disse sbrigativo
<<Chi ti sta cercando?>>
<<Non ha importanza ma so che mi vogliono morto.>> mi disse semplicemente guardandosi attorno. 
<< Perché mi hai salvata? Hai detto che non potremmo mai stare insieme>> dissi allontanandomi leggermente da lui.
<<So quello che ho detto. Siamo diversi, ma non opposti, nel tuo corpo scorre parte del mio stesso sangue. Se venissi con me potremmo provare...>>
Cercò di spiegarmi ma alla mia mente tornarono suoi comportamenti che mi avevano fatto stare malissimo.
<<Lo sai che non si può aggiustare tutto con un "vieni via con me?" Io non posso farlo. Non dopo quello che hai fatto. Io sono buona e decido che sarà la parte di me che sceglierò >>
Risposi sicura non completamente.
<<Ah davvero? Credo proprio che tu ti stia sbagliando...>> mi disse lui.
<<Oh, è vero, io sono solo un errore>> gli rifacciai ciò che aveva detto. Mi alzai e feci per andarmene.
<<O anche solo una cicca sotto una sedia, bensì una nullità! >> Lui si alzò e si avvicinò pericolosamente a me.
<<Smettila di dire così, Adele.>> le sue labbra erano a pochi millimetri dalle mie. Desideravo ardentemente distruggere i confini che ci separavano  <<Cosa hai di diverso?>> mi chiese sorridendomi. Chiuse gli occhi, stava per appoggiare le sue labbra alle mie quando dalla sua bocca proruppere un gemito di dolore. Mi sputò sul viso un fiotto di sangue.
Cadde in ginocchio sussurrando il mio nome.
Urlai.
Una freccia gli aveva trapassato il torace e ora il suo corpo giaceva morto ai miei piedi.
Davanti a me gli assassini: Sofia, Lidja, Fabio, Karl, Chloe ed Ewan.
<<Come avete potuto fare una cosa del genere!>> urlai con le lacrime agli occhi, le mani sporche di sangue.
Mi inginocchiai di fianco al corpo di Julian e lo appoggiai sulle mie gambe.  Guardai quelli che erano miei amici e per poco non svenni. Erano bianchi come dei cenci. Fecero qualche passo verso di me, poi crollarono. Spuntavano anche a loro delle frecce dietro al schiena.
La mia voce si disperse tra le chiome degli alberi alberi attorno a me, ma il mio dolore non venne captato da nessuno, ero rimasta sola con le mie sofferenze.
Le lacrime solcavano dolorosamente il mio viso sporco. <<Perché?>> urlai.

Il buio calò attorno a me. Freddo, spietato e terrificante.
Non distinguevo più nulla, solo l'oblio più devastante.
Due occhi rossi splendevano tra quelle tenebre. Nidhoggr.
<<Tu!>> urlai
<<Sì? Ciao figlia>> mi salutò con la sua voce raggelante.
<<Non sono tua figlia!>>
<<Sì che lo sei. E il tuo comportamento lo dimostra, non riesci a controllare la tua parte malvagia. Prende possesso di te e la malvagità che tanto reprimi nel tuo essere esce fuori>> disse ridendo.
Mi presi i capelli tra le mani e li tirai con forza. Mi tappai le orecchie con le mani ma la sua voce rimbombava nella mia mente.
<<Sono tuo padre.  Il male scorre nelle tue vene come inchiostro. Fai quello che ti dico io o dovrò convincerti con la forza. >> mi minacciò
<<Non puoi darmi ordini! Vattene! Lasciami stare! Non puoi comandarmi >> gli urlai contro.
La sua risata vibrò in tutto il mio corpo. 
<<Ma io ti sto già controllando. Sei mia>>

Mi alzai di soprassalto dal letto. Le coperte bianche davano fastidio agli occhi impastati dal sonno.
Non riuscivo a entrare in contatto con il mio corpo, sembravo assente, impotente. Come rinchiusa in un angolo del mio animo incapace di controllare quello che facevo.
Vidi Ilaria che si avvicinavano a me e mi scuoteva per le spalle.  La presi con forza e la scaraventai e terra.
Le mie mani erano sul suo collo dopo che lei ebbe urlato.
Sentivo che qualcosa non andava. Urlavo ma non riuscivo a farmi sentire.
Ewan entrò nella camera, mi mise in piedi e mi scrollò con prepotenza. 
Mi urlò in faccia di smetterla.
Fu questione di un attimo non sentii più i suoni come ovattati o le immagini sfocate.
Ero tornata in me.
Gli sguardi increduli dei presenti mi bruciavano sulla pelle come carbone ardente.
<<Scusate...>> sussurrai e corsi verso il bagno chiudendomi a chiave. Vomitai nel gabinetto tutto quello che avevo dentro represso. 
Mi guardai allo specchio mentre mi sciacquavo il viso. 

Un occhio era nero come la morte l'altro verde come un prato. 
Qual'era la vera me?
Perché non riuscivo a controllarmi?
Cosa stavano a significare quei sogni? Le mani mi tremavano, mi appoggiai al lavandino per sorreggermi, il mio zaino delle responsabilità si stava facendo troppo pesante.
Mi alzai la maglietta e un gemito mi scappò dalle labbra screpolate quando vidi la cicatrice. <<Non è possibile, non può controllarmi>> sussurrai anche se sapevo di avere torto.

Il suono della campana mi destò dai miei pensieri malati e mi avvisò che era pronta la cena. Mi misi un jeans scuro e un maglione blu e scesi con calma le scale. Sapevo che nessuno si sarebbe aspettato il mio arrivo.
Feci respiri profondi.
Arrivai in cucina e tutti gli occhi si puntarono su di me, compresi quelli di Ilaria.
<<Buonasera>> dissi sedendomi a tavola.

#angoloautrice: eccomi! Ciao a tutti! Come vi è sembrato il capitolo? Troppo lungo? Troppo noioso? O vi è piaciuto? Abbiamo scoperto quali sono le paure di Adele: perdere la sorella, il ricordo dei genitori, Edith, la claustrofobia e perdere chi ama. Ha attaccato la sorella ma non era in sé. Ilaria accetterà? O non vorrà stare più con la sorella? Come andrà a finire tra Sofia e Fabio? Cosa dovrà dire sul proprio lavoro il prof? Nidhoggr è riuscito ad entrare nella mente di Adele?
Grazie a tutti <3

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