"NON SONO CHIUNQUE"
FABIO
Ero seduto ancora lì. Davanti a quella maledetta porta che non si voleva aprire.
Gli altri ragazzi erano andati a casa a riposare. Io ero rimasto per fare compagnia a quel dolore che sentivo come mio, come se in parte fosse colpa mia.
Questa responsabilità da portare sulle spalle, forse troppo pesante per quelle spalle, mi faceva stare male, troppo per tutto.
Ripensai alla sua vita, alla famiglia, alla scuola, allo sport, agli amici... tutte cose che le stavano per essere strappate e portate via, lontano, irraggiungibili.
Io avevo sempre creduto che quella mia responsabilità fosse stata un miracolo perché mi aveva salvato; non avevo niente e mi ha dato tutto.
Sapevo che era forte, ma non sapevo quanto.
La mia domanda era: accetterà di perdere tutto per questo?
E mi toccai il neo che avevo sulla fronte che ormai aveva perso il suo colore e non pulsava più di vita.
Sorvolavo su ali turbate i miei pensieri.
Mi accorsi dopo un po' che davanti a me si era posizionata una persona.
Alzai di scatto la testa e mi ritrovai davanti due ferite verdi che mi guardavano.
<<Ciao>> le dissi con non-chalance
<<Ciao>> mi rispose
<<Che ci fai qua ?>> mi chiese schietta
<<Ti stavo aspettando>> le risposi con la più semplice e pura verità
<<Ma chi sei?>> mi chiese
<<Fabio>>
<<E chi sei?>> mi richiese tranquilla
<<Il fratello di Karl>> le risposi
<<Ah... vi trovate bene tutti e quattro?>> mi chiese curiosa
<<Benissimo>>
<<Ti volevo ringraziare>> mi disse guardandomi
<<Non ho fatto niente di particolare>> dissi
<<Piantala di fare il modesto. Comunque grazie, non so se ce l'avrei fatta senza di voi.>> disse riferita anche a Karl
<<Come mai eri lì?>> mi chiese ancora più curiosa. Aveva ancora la voce roca infatti prima di parlare tossicchiava leggermente.
<<Sofia mi aveva avvisato. Appena sono arrivato mi ha raccontato che una ragazza era rimasta bloccata, allora ho provato a cercarti.>> le dissi
Lei rimase in silenzio.
<<Come stai?>> le chiesi, sapevo che non era una domanda adatta, ma ora che lei si trovava davanti a me non sapevo cosa dire.
<< Io bene.>> rispose semplicemente.
<<Sicura? Non sei arrabbiata, delusa, frustrata... >> sapevo che non era il modo di parlare a una che aveva i genitori mezzi in questo mondo e mezzi nell'altro ma volevo trattarla nel modo più normale possibile.
<<Servirebbe? >> rispose alla mia domanda con un'altra domanda. Ma prima che potessi replicare continuo'. <<Ormai il mio cuore batte a ritmo del suono di quei marchingegni. Finché so che loro sono ancora con me io sto bene. >>
<<Mi dispiace per quello che è successo>> le dissi semplicemente.
<<Anche a me>>
Non seppi più cosa dire.
<< Al posto mio, tu cosa faresti?>> mi chiese di punto in bianco.
<<In che senso?>> alzai le sopracciglia non capendo cosa intendesse.
<<I tuoi stanno per morire... scapperesti? Andresti in orfanotrofio? O moriresti?>>
<<Morire!?>> le chiesi quasi urlando.
<<Ovvio, potrei prendere una manciata delle pillole che sono sul comodino dei miei o la lametta... veloce>> mi rispose lei ovvia.
<<Non pensarci neanche>> gli risposi io perentorio.
<<Sarebbe l'unico modo per scappare dal dolore...>> ammise.
<<L'orfanotrofio è la miglior scelta.>> le risposi deviando il percorso che quel discorso stava prendendo.
<<Credi?>>
<<Sì>>
Lei sospirò.
<<Comunque non potrei mai togliermi la vita, sono una codarda. E il sangue mi fa schifo... quindi stai tranquillo>> mi sorrise.
La guardai e vidi che non ne era convinta.
<<So che non ce la faranno.>> ammise <<Ma non voglio più piangere, mi sono promessa che ce la farò, che andrò avanti. Non mi fermerò.>> sospirò <<Sia per loro che per me>>
<<Sei forte e ce la farai>> la incitai
<<Me lo dicono tutti. Infatti è da un po' di tempo che mi chiedo chi mi conosca veramente>>
<<Posso?>> mi chiede riferita alla sedia di fianco a me.
Le feci cenno di sì. Si sedette tutta scomposta, si portò in avanti e posò i gomiti sulle ginocchia. Espirò forte.
<<Lo so che non ce la faranno... vorrei tanto essere sicura del contrario>> ammise guardando la porta che ormai avevo logorato con lo sguardo.
<<Non sono uno che dice balle solo per compassione, ma non puoi saperlo. Magari tutte queste visite, queste medicine... serviranno a qualcosa, no!?>> cercai di consolarla
<<Boh... se lo sapessi ora non sarei qua.>>
<<Completamente ragione>> risposi
<<Parlami un po' di te.>> mi chiese.
<<Non ne parlo con chiunque...>> iniziai ma lei mi fermò.
<<Non sono chiunque. Ma se non vuoi fa lo stesso>> aveva centrato il bersaglio, non volevo.
Si alzò dalla sedia. <<Grazie comunque>> accennò una lieve smorfia che evoluto sarebbe stato un sorriso.
Un sorriso che forse non avrebbe più solcato quelle labbra.
Si avvicinò alla porta e prima di entrare espirò, afferrò la maniglia preparandosi a tornare tra il suo dolore.
Non la lasciai continuare.
<<Vivevo in Ungheria. Solo con mia mamma, lei mi voleva bene al contrario di mio padre che mi aveva abbandonato considerandomi uno scherzo della natura, queste sono state le sue parole.>> la vidi girarsi con la mano appoggiata ancora sulla maniglia
<<Poi mia mamma si è ammalata e ho passato un anno della mia vita in un ospedale fino a quando è morta.>>
Si sedette davanti a me, con la schiena appoggiata al muro, le ginocchia vicino al petto circondate dalle braccia.
Mi fece cenno di continuare.
<<Vivevo per strada quando scappavo da un orfanotrofio all'altro e molto spesso intraprendevo strade poco raccomandabili.>>
Mi guardava e non faceva domande, non mi giudicava.
Aveva capito che non ero una brutta persona, che non ero poco raccomandabile, che non ero un ribelle... sapeva che dietro a tutto ciò si nascondeva un indelebile dolore.
<<Poi sono arrivati il prof e gli altri...>>
Il mio racconto era stato molto, molto veloce. Ma le avevo raccontato tutto. Tutto quello che di importante avevo passato, a volte le parole non servono a descrivere ciò che si è passato.
Lei mi guardava e basta.
Non aveva proferito parola.
I minuti passavano lentamente, e lei ancora non diceva niente.
Mi resi conto solo dopo che alla fine io, lei non la conoscevo e che le avevo parlato della mia vita così.
Le parole ormai erano state pronunciate e non potevo tornare indietro.
Lei chiuse gli occhi mentre io viaggiavo tra i ricordi che come uno tsunami mi avevano invaso la mente.
Prima i ricordi di mio padre: il fumo, le botte, l'alcool, le urla sia mie che di mia madre.
Poi i ricordi di mia madre: i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze, quando cercava di nascondermi da papà, le medicine, l'ospedale.
Poi i ricordi più recenti: le notti passate da solo, le botte, i casini.
Poi il mio drago: la sua forza, la sua potenza, la malinconia, il fuoco.
Poi la nuova famiglia: il prof che era diventato come un padre, Karl e Ewan i miei migliori amici, Chloe sempre affidabile, la testardaggine di Lidja e infine Sofia. Accennai un lieve sorriso.
Era stato il ricordo della prima volta che l'avevo vista, in quel circo.
Lei appena mi aveva visto dall'altra parte del vetro era diventata tutta rossa poi aveva fatto mille casini. Non avevo mica capito subito che mi sarei innamorato di lei perché avevo sempre pensato che l'amore uccidesse, distruggesse, logorasse.
Invece il suo ricordo mi faceva compagnia, mentre camminavo, prima di addormentarmi, nei sogni... ovunque.
<<Ti brillano gli occhi.>> mi disse lei semplicemente.
All'improvviso tornai al presente. Mi ero perso.
<<Come mai?>> mi richiese lei stringendosi ancora di più tra le sue braccia.
<<Sofia...>> riuscii solo a sussurrare.
<<Siete una bella coppia. Ci credi se ti dico che lo sapevo già?>> scherzò lei ma senza sorridere.
<<Come facevi a saperlo?>> le chiesi incuriosito.
<<Sofia mi ha raccontato del suo ragazzo e della vostra storia, c'è voluto poco a collegare te a lei.>> mi rispose. Mi squadrò.
<<Non ti agitare... non ti farò il terzo grado anche di questo>> mi disse e mi uscì una risata spontanea.
Spostai il mio sguardo da lei all'orologio.
<<Com'è tardi!>> esclamai stupefatto.
<<Meglio se li raggiungi.>> mi disse lei.
<<Ti verrò a trovare domani.>> le promisi
Mi salutò con un cenno del capo.
Camminai per il corridoio con il suo sguardo stampato sulle spalle.
Ti ho regalato parte della mia vita, fanne buon uso.
Pensai correndo giù per le scale.
Le porte scorrevoli mi lasciarono passare e uscii dall'ospedale. La leggera pioggia mi lavò da tutto.
Dai pensieri, dai ricordi, dalle paure.
Presi un taxi e mi feci portare alla stazione del treno. Mi sedetti vicino a un ragazzo che ascoltava la musica. Fuori dal finestrino si succedeva tutto velocissimo: case, giardini, spiagge. Stazione dopo stazione mi ritrovai a Santa.
Arrivai alle 20.30 in hotel. Ormai la luce aveva abbandonato ogni cosa lasciando spazio alla luna.
Entrai in camera e ciò che vidi mi lasciò sorpreso.
#a.autrice: cosa sarà mai successo nella camera di Fabio? Il suo passato non è dei migliori... Come vi è sembrato? Piccolissimo spoiler: in ospedale succederà qualcosa. Ma cosa? Lo scoprirete solo continuando a leggere. <3
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro